Le file. Chiunque sia abituato a seguire Zerocalcare, in arte Michele Rech, come fan casuale o appassionato sostenitore della prima ora, sa che le file sono un corredo fisiologico di qualsiasi manifestazione a cui il fumettista romano partecipa. Tredici ore di attesa per ottenere l’agognato disegnetto sulla propria copia di “Dimentica il mio nome” sono un episodio entrato nell’aneddotica della storia del fumetto italiano ma soprattutto una pietra di paragone con cui misurare un successo esploso nel corso degli ultimi anni, che non conosce battute d’arresto.
Per questo non c’era da stupirsi che anche sabato 10 novembre al MAXXI – Museo nazionale delle Arti del XXI Secolo le file fossero co-protagoniste di rilievo insieme all’inaugurazione dell’esposizione su Zerocalcare. File per l’incontro moderato da Marco Damilani fra il fumettista e il fotografo Paolo Pellegrin – anche lui presente negli spazi museali con una mostra fotografica. File per i biglietti, ovviamente, ma anche per guadagnare l’ingresso dello Spazio Extra MAXXI. Spazio in cui, fino al 10 marzo 2019, i visitatori potranno ammirare strisce inedite, tavole originali, poster, cover di dischi, pagine di Moleskine realizzate da Zerocalcare in un lungo percorso artistico che si snoda a partire dai suoi diciassette anni e che, dopo altrettanto tempo, porta a opere come “Macerie Prime – Sei mesi dopo”.
La mostra si presenta divisa in quattro aree tematiche: Pop, Tribù, Lotte e Resistenze, Non Fiction. Prima di arrivare all’openspace che accoglie queste sezioni – divise da muri dagli orli tondeggianti, che richiamano la corazza dell’Amico Armadillo, coscienza di Zerocalcare – tocca attraversare una tromba delle scale, dove due elementi accolgono il visitatore. Si tratta di una replica del murale del mammut, che campeggia all’uscita della Metro B di Rebibbia, e della biografia del fumettista romano, che si inerpica lungo i muri fino al piano superiore. E già qui si nota il forte taglio politico (perché, per dirla con le parole del contributo video di Marco Damilano all’interno della mostra “sappiamo tutti qual è l’orientamento politico di Zerocalcare”) della mostra.
Zerocalcare, ancora una volta, approfitta della sua arte e della sua capacità di toccare i cuori di tanti, indipendentemente dalla generazione d’appartenenza, per parlare d’altro. Non di se stesso ma dei temi che più gli sono cari: ogni tappa della sua vita, personale e artistica, si intreccia con un evento che ha interessato la vita, sociale e politica, del Paese. E così, i diciassette anni sono l’occasione per parlare dell’evento traumatico del G8 di Genova. I primi passi nel mondo del fumetto autoprodotto corrono paralleli al problema, sempre più grave ma sempre meno raccontato dai giornali, delle rappresaglie fasciste contro gli esponenti dell’universo antifascista e dei centri sociali.
E questo rimando costante alla realtà che lo circonda, pur partendo quasi sempre da esperienze autobiografiche, è uno dei due punti forti di una mostra che offre prospettive anche nuove sul lavoro che c’è dietro il successo di Zerocalcare: al visitatore sono offerti contenuti video, la possibilità di sfogliare tutti i fumetti che l’artista ha pubblicato con la casa editrice BAO – in un sodalizio che dura ormai da sette anni – tavole inedite, ripescate dall’archivio personale del fumettista, ma quello che colpisce è altro.
Prima di tutto gli onnipresenti e irrinunciabili disegnetti: vergati a pennarello sui pannelli della mostra, come ironiche note a piè pagina, riportano la voce personale di Zerocalcare a tutti i presenti, illustrando le ragioni dietro alcune scelte espositive (“Oh questa è una selezione di tavole, non sono tutte consecutive. Quindi se non capite non è perché so’ una pippa e neanche perché c’avete avuto un ictus voi. È normale” esclama in una di queste didascalie) o le polemiche dietro una vignetta disegnata a diciassette anni.
E poi ci sono i visitatori.
Per capire fino in fondo la presa che Zerocalcare ha sull’immaginario collettivo, tocca voltarsi, di tanto in tanto, e seguire il rumore degli improvvisi scoppi di risa o il movimento con cui tante persone si accovacciano, per continuare a leggere uno dei fumetti esposti. E non si tratta di una curiosità che colpisce solo gli inediti: l’attenzione e l’ilarità si scatenano persino per le tavole disponibili sul blog di Zerocalcare, già lette e condivise, e che pure continuano a catturare la curiosità di chi passa. Sta tutta lì la testimonianza di quanto sia vivo il percorso di una mostra i cui contenuti riescono a parlare a tanti, toccando le corde più contradditorie – in quel mix di risate e improvvisa e tremenda serietà a cui la narrazione del fumettista romano ci aveva già abituato fin dai tempi de “La profezia dell’Armadillo”.
“Scavare fossati ∙ nutrire coccodrilli” è un’esposizione che già nel titolo si porta impresse le sue tematiche: la narrazione di un percorso artistico compless e in cui nulla è mai stato dato per scontato, certo. Ma anche la proiezione, su tavola, dei tormenti non del solo Michele Rech, l’uomo dietro Zerocalcare, ma di tutta la comunità che lo circonda e in cui si muove. Una riflessione sul mondo da cui proveniamo e quello in cui stiamo sprofondando, una palude in cui si scavano fossati per proteggersi dal “diverso” e ci si lascia affascinare dal sorriso squamoso dei coccodrilli.
È un’esposizione importante, che non scade mai nell’autocelebrazione, ma semplicemente mostra una storia che è assieme autobiografica e collettiva, come lo sono tutte le vicende che Zerocalcare racconta – un autore da cui non si può prescindere, se si vogliono cogliere importanti sfaccettature della società italiana contemporanea.
Di Ilaria Vigorito, 11/11/2018