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Utopie in frantumi. Andrea Mastrovito al Museo Andersen

Concepire una mostra personale nelle sale del Museo Hendrik Christian Andersen di Roma porta quasi inevitabilmente gli artisti a fare i conti con l'arte e la personalità, le ambizioni e le difficoltà di un artista complesso come lo stesso Andersen (1872-1940). È come entrare nelle stanze private di qualcuno (e in questo caso la cosa avviene in senso letterale) e modellare il proprio discorso sotto l'influsso del padrone di casa. Con le necessarie differenze, è stato così ad esempio per Nick Oberthaler, Matteo Montani e ora anche per l'ultimo degli artisti ospitati dal museo, Andrea Mastrovito (Bergamo, 1978).

Il rapporto con lo scultore di origine norvegese è in questo caso esplicito già dal titolo della mostra, "Here the Dreamers Sleep", che è la frase riportata sulla tomba della famiglia Andersen nel Cimitero Acattolico di Roma.

Proseguono dunque questo legame le quattro personificazioni scultoree di altrettanti membri della famiglia: il pittore Andreas, fratello dell'artista, sua moglie Olivia Cushing, la madre Helen e lo stesso Hendrik. Ai quattro personaggi sono associate le figure di David, Ebe, Venere e Mercurio, presenti nelle sale in riproduzioni da giardino in gesso volutamente grossolane. Sia nel disegno a matita sulla superficie bianca delle sculture che nei collage a parete, l'artista propone immagini che aprono lo sguardo dalla mitologia alla storia dell'arte (il Marat di David), fino alle famose scene che mostrano la rimozione dei monumenti di Lenin e Saddam Hussein, simbolo del disfacimento del potere nel mondo contemporaneo.

Nelle quattro sale laterali quindi, assistiamo al crollo, uno dopo l'altro, dei personaggi appartenenti ai gruppi scultorei, una deflagrazione ben visibile dai piccoli e grandi frammenti ancora lasciati a terra e che rimarca la fine delle vite dei componenti della famiglia Andersen.  

Mastrovito mette in scena un crollo che è dunque metaforico (la morte dei protagonisti) ma anche reale, letterale, non limitandosi a tematizzarlo ma ricreandolo artificialmente. La distruzione arriva come elemento concreto che pone fine all'insieme armonico (o presunto tale) delle riproduzioni in gesso.

Infine, anche l'utopia a cui si accennava in precedenza è insieme un riferimento ideale ma anche una testimonianza concreta: ipotizzata dallo stesso Hendrik nel "Word Center of Communication" (1913) – un progetto di città ideale per l'arte, la musica e le scienze che non vedrà mai la luce – trova spazio qui nel disegno a matita che Mastrovito fissa sui cocci ormai smembrati delle sculture e accostati fra loro nel salone centrale del museo, a comporre l'ultima tappa della mostra, certo, ma anche di quell'idea utopica ormai frantumata nel presente. 


(Marco Pacella)

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