Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 635

Elogio della presenza, disegnando la sua assenza: Mar Hernández, l’ultimo capitolo della Trilogia del Silenzio alla White Noise Gallery

La "Trilogia del Silenzio" alla White Noise Gallery di Roma raggiunge l’epilogo – che poi è una ripartenza – con la giovane artista spagnola Mar Hernández Riquelme (Madrid, 1984) e il suo “Rewind”.
Ci si era lasciati con gli edifici abbandonati, toni acidi e confini spigolosi stagliati su squarci desolati di paesaggio nel capitolo “Stand-by” di Lee Madgwick, che seguiva i classici cinematografici condensati in unico frame, della personale “Fast Forward” di Jason Shulman.
Fino al 31 luglio in via dei Marsi 20/22, Eleonora Aloise e Carlo Maria Lolli Ghetti curano ed espongono lavori che reinterpretano il “silenzio”, “la mancanza”, l’“assenza” tramite una “morale positiva” che implica una sorta di ricostruzione. “Rewind” simbolizza anche un “tornare indietro” che è un percorso diverso rispetto a quello di partenza. Riavvolgere il filo della storia di stanze abbandonate, in vecchi palazzi decadenti, per ricostruirci – almeno nell’immaginario che la grafite traspone sulla fotografia digitale – nuove ipotesi di vita o esistenze alternative.marhernandez02
Illustratrice per professione e per vocazione”, come lei stessa si definisce, Mar Hernández, partendo dalla riproduzione fotografica di ambienti interni dismessi, non solo cerca di riportarli in vita disegnando al loro interno oggetti, mobili, atmosfere che testimoniano la presenza umana, ma li reinventa, al tempo stesso, perché vi attribuisce supposizioni e idee di come avrebbero potuto o potrebbero essere.
Su dimensioni che spaziano dai 50x70 cm di “La Casa de Flora Martínenz” fino ai 116x76 cm di “Ruína Habitada III”, le aggiunte dell’artista prevedono una stretta connessione a momenti quotidiani ed esperienziali di tutti noi, come i festoni disegnati in “Venta de Borondo” che ci parlano di una festa di paese o una sagra appena conclusa o da cominciare, o i libri sulla cattedra e la lavagna ancora scritta di una classe in “Colegio Herreira”, fino a bottiglie e vassoi lasciati sui tavoli in “Ruína Habitada II”.
marhernandez03Mar Hernández sa quindi coniugare il concetto artistico con una tecnica e un procedimento che, oltre all’illustrazione, sfociano nella creatività di un’arredatrice di interni, un’architetta e una restauratrice, dimostrando ancora una volta come nel contemporaneo la commistione di saperi e capacità sia una cifra dello spirito del tempo in cui viviamo, da cui l’arte non è esclusa. Seguendo la linea dei due giovani artisti precedenti, non manca la poesia derivante dal dato estetico che punta sull’incompletezza dell’assenza: non c’è vita ma la intuiamo, non c’è movimento e attività, ma c’è storia. Dal dato reale, riproduzione fedele della vista, rappresentato dalla fotografia, la soggettività spirituale crea qui “nuovi mondi” o ridà luce a ipotesi su quelli passati, mischiando la tecnica del disegno. Il risultato ha un gusto simbolista e decadente, incline anch’esso a mostrarci il passaggio di una crisi che offre spunti di riprogettazione.
Si conclude così il percorso intrapreso dai due curatori della White Noise che si sono spinti al di là dell’immaginario, insistendo nel dare “corpo” al nulla attraverso gli artisti selezionati. Se il silenzio è assenza di rumore, permane “l’essere” e questo è già dato di una certa realtà innegabile. “Rewind” è ripartire proprio da questa base inconfutabile per dare nuove certezze, quelle che sono necessarie per orientarci in un tipo di esistenza che non è più solo liquida ma si è fatta “vapore”, al limite dell’inconsistenza e della perdita di senso. I lavori di Mar Hernández sono un finale positivo, proprio nel momento in cui negano la possibilità di un’assenza assoluta, ci riconducono all’inizio della trilogia (Jason Shulman), quando una storia intera si satura nell’attimo di un’immagine che resta, che è per sempre. E questo “eterno ritorno” diventa per noi un inaspettato e necessario conforto, di quando l’arte anticipa risposte alle domande che ancora non ci sapremmo porre.

Agnese Comelli 27/06/2017

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM