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The Japanese House: al MAXXI l’evoluzione giapponese nel dopoguerra mostrata attraverso l’architettura

Intorno al mondo orientale, e in particolar modo alla japaneseness, è stata creata da anni una patina glamour che a tratti infastidisce e che potrebbe limitare l’approfondimento di alcune proposte, perché portati a pensare che siano figlie più della tendenza che del contenuto. Non appena però si avvicina effettivamente lo sguardo, magari vedendo “La città incantata”, mangiando del buon sushi, o leggendo Murakami, si capisce che, per quanto alla moda possano essere (soprattutto gli esempi citati), l’effettivo valore è indiscutibile e assoluto.
The Japanese House. Architettura e vita dal 1945 a oggi” è una mostra che assolve esattamente allo stesso compito: ribadisce allo spettatore quanto la profondità e la bellezza della cultura giapponese siano autentiche e quanto Japanese3giustificato sia l’interesse per essa.
L’esposizione, un progetto internazionale che, oltre al MAXXI, verrà ospitato dal Barbican di Londra e dal MOMAT di Tokyo, ha nella casa unifamiliare il nucleo fondamentale sul quale e dal quale si snoda il percorso proposto. Questo modello di abitazione, che in Europa pare superato, rimane il più ambito in Giappone, e soprattutto è stato il mezzo attraverso il quale gli architetti, in un continuo dialogo con i committenti, come vuole lo stile nipponico, hanno potuto meglio sperimentare forme di espressione che avessero anche un significato critico. Questo è avvenuto ampiamente in alcune fasi delicate, per esempio all’indomani di grandi catastrofi naturali, come il terremoto di Kobe del 1995. Proprio a seguito dell’evento sismico, ad esempio, le autorità che dovevano farsi carico della ricostruzione si accorsero che sarebbe convenuto demolire tutte le case per poi ricostruirle, non solo le “zenkai”, quelle cioè non più agibili, ma anche le “hankai”, quelle solo in parte danneggiate e ancora ristrutturabili, trascurando completamente il concetto di casa come “contenitore della memoria”. Katsuhiro Miyamoto, la cui abitazione subì gravi danni strutturali, decise di operare una “chirurgia edile”, rinforzando il tessuto di legno della casa con una struttura d’acciaio bianco. L’edificio, comunque non più abitabile, è rimasto così in piedi, come segno di protesta verso la politica urbanistica e ha assunto il nome di Zenkai House/House Surgery.
Japanese4Legno e acciaio quindi, ma anche cemento e terra: la commistione di diversi materiali è uno dei concetti basilari dell’architettura giapponese, così come il tentativo di ricerca dell’equilibrio tra i diversi spazi, aperto/chiuso, interno/esterno, pubblico/privato. Tutto questo compone un dibattito ancora aperto e produttivo su come debba essere l’architettura moderna giapponese, se ancorata alla tradizione dello shinden-zukuri (tipica del periodo Heian) e delle case rurali minka, o se debba invece ispirarsi a un modello più europeo, rinunciando per esempio alla tipica veranda coperta, l’engawa. Questo contrasto, e le proposte che da esso sono nate, vengono mostrate approfonditamente nell’esposizione, che presenta i lavori di sessanta architetti per un totale di quasi ottanta case, e che a modellini e foto aggiunge video e libri, che rendono il percorso nell’ampio spazio dedicato molto ricco.
Il grande merito della mostra, oltre alla vastità del materiale offerto, è soprattutto quello di saper dare a chi guarda il senso di come la costruzione di case non sia un processo asettico e slegato alla vita di chi quelle case le progetta o le abita. Il nome dell’esposizione, non a caso, è “architettura e vita dal 1945 a oggi”, che sta a significare che l’architettura è uno dei criteri con i quali poter giudicare l’evoluzione storica e sociale di un popolo.
Uscendo dalla mostra, che è visitabile ancora fino al 26 febbraio, si ha infatti l’impressione di aver appreso qualcosa non tanto (o non solo) sulle tre generazioni di progettisti giapponesi dal dopoguerra a oggi, ma su un popolo intero, su un paese, il Giappone, che ha connaturato in sé l’ideale del continuo mutamento e che, con le proposte architettoniche, lo ha dimostrato magnificamente.

Alessio Altieri 12/02/2017

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