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ROMA – Fino al 22 aprile il Palazzo delle Esposizioni di Roma ospita Manifesto: video installazione a 13 schermi realizzata dall’artista tedesco Julian Rosefeldt, il quale omaggia la pratica novecentesca dei manifesti , riportandone i contenuti sovversivi e il carattere forte e poetico dei proclami categorici. L’opera è stata ideata nel 2015 come un insieme di 13 brevi film; ognuno di essi esprime, attraverso l’interpretazione di Cate Blanchett, un diverso movimento artistico, di cui il manifesto viene declamato in contesti che talvolta si legano al contenuto e alle azioni svolte dall’attrice, altre volte provocano un accentuato contrasto che ne rende provocatorio e contraddittorio l’effetto. L’artista ha definito l’opera una sorta di call of action, in cui la potenza della parola merita fiducia in quanto capace di cambiare le regole del mondo. mani

SITUAZIONISMO – FUTURISMO – ARCHITETTURA – VORTICISMO/CAVALIERE AZZURRO – STRIDENTISMO/CREAZIONISMO – SUPREMATISMO/COSTRUTTIVISMO – DADAISMO – SURREALISMO/SPAZIALISMO – POP ART – FLUXUS/MERZ/HAPPENING – ARTE CONCETTUALE/MINIMALISMO – CINEMA

Ogni testo non è estratto da un singolo manifesto ma rappresenta un collage costruito dall’artista, fortemente d’impatto, di vari manifesti relativi a correnti vicine. Rosefeldt compie un lavoro concettuale accompagnato da un’accurata ricerca storica, che si esprime attraverso il linguaggio cinematografico, costituendo un’opera che avvolge lo spettatore portandolo a ragionare sul senso di parole del passato ma incredibilmente coerenti con il presente. manifes

“Sono contro l’azione; per la contraddizione continua e anche per l’affermazione, non sono né favorevole né contrario e non do spiegazioni perché detesto il buonsenso”

Con una miccia che brucia si apre il prologo, unico testo senza la presenza dell’attrice, che indirizza il percorso scandito da 12 situazioni “fotografate” in contesti differenti, con 12 protagonisti interpretati da Cate Blanchett (di cui solo uno maschile, per contrastare il carattere dei manifesti scritti tutti da uomini). 

Lo spettatore può concentrarsi su uno schermo solo, o porsi tra l’uno e l’altro per una visione simultanea. In un primo momento l’effetto è disturbante: la sovrapposizione delle voci crea un frastuono che confonde i sensi. Al terzo racconto visivo la percezione diventa nitida, l’orecchio si abitua, comprende i tempi di ripetizione e si sintonizza ai suoni e alle parole, in una successione regolare scandita da un momento in cui tutte le voci si esprimono all’unisono.  Manifesto è la potenza della parola che si fa veicolo di idee e cambiamenti, un’attenta analisi della ciclicità del tempo: è la missione eroica di ritrovare l’ardore degli artisti pronti a ribaltare la realtà a favore di un pensiero di rinnovamento.

Silvia Pezzopane

16/04/2019

Photo credits: © Julian Rosefeldt & VG Bild Kunst, Bonn 2018

CASTROVILLARI – Ci sono locandine che rimangono impresse nel cuore e negli occhi per la potenza e l’acume che esprimono a distanza di anni. La locandina, per uno spettacolo o per una rassegna, non è solo l’emblema e il frontman dell’intero progetto, non deve riassumere il plot ma passare l’essenza, il punteruolo che ne sta alla base, il pungolo e lo stimolo, il perché che scardina, la riflessione con il sorriso, il dettaglio prima nascosto e adesso evidente. Una locandina è per sempre, fotografa un momento storico, ne imprime le perplessità, i vigori, le istanze, è un concentrato di freschezza e presente, è un’immediata ondata che ti immerge nella catarsi della pièce o del festival. Una locandina deve riuscire, con piccoli tocchi, a delineare il vortice di pdt16energie che stanno alla base della costruzione, dell’ideazione, del fermento che sbatte e gorgoglia nel momento della creazione. E ci sono locandine più riuscite di altre. In questi diciotto anni il festival “Primavera dei Teatri” ci ha sempre abituato a manifesti irriverenti e pensanti, carichi e depositari di una sostanza impalpabile, quella stessa materia che, ad ogni nuovo sguardo, rilascia nuove sensazioni e atmosfere, fornisce nuove parole a scandagliare quella patina di colori e facce, movimenti e gesti arroccati in un rettangolo incorniciato e appeso. Hanno profondità le ideazioni concettuali del trio La Ruina-Pisano-De Luca.
Lo scorso anno avevamo una ragazza sovrappeso, abbastanza hopperiana, che sembrava uscita da qualche pellicola di mafia americana, di protezionismo, una sorta di Marilyn gonfiata, che guarda il vuoto tra rassegnazione e leggera noia. Le gambe un po’ discoste ma senza alcun atteggiamento sessuale né alcun riferimento sensuale, e questo divano dietro, nel suo arancione acceso, che sta, immobile come la giovane signora, in attesa. Andiamo a ritroso.
Pdt14Nel 2015 una bella bambina borghese tutta in ghingheri da festa, come fosse una damigella da matrimonio, offriva una banana, senza alcun timore, ad un gigantesco gorilla; lui sì che era spaventato, seduto accanto a lei sul sofà. C’era scarto e spostamento, quella banana così gialla, e lasciva anche e fallica, passata dalle mani dell’innocenza a quelle delle forza bruta, ribaltando i piani, le aspettative, il consueto modo di pensare.
Pinteriana quella del ’14, con una festa di compleanno andata, evidentemente, a finire male. L’invitato principale, che forse ha festeggiato in solitudine, ha la testa, come colto da malore, infilata dentro la torta a più strati; c’è un solo cappellino e neanche il gusto di un alcolico: solo succo. Ti stringe il cuore.
Nel 2013 un altro essere sovrappeso: un uomo calvo (nessun riferimento mussoliniano, tranquilli) con una sdraio alle sue spalle, guarda una nube minacciosa chepdt13 avanza. Sembra sia scoppiato qualcosa: la terza guerra mondiale, i missili della Corea del Nord, o “soltanto” i fumi cancerogeni dell’Ilva. Sembra che aspetti che questo getto di polvere e detriti, quasi una tromba d’aria calda, lo investa; non scappa, non si muove, accetta asceticamente il suo destino, senza paura: quel che sarà, sarà.
Eccoci al 2012 con un Babbo Natale depresso nonostante la giovane età, in mutande rosse, proprio perché, unica volta, il festival per problemi di finanziamenti era stato forzatamente posticipato a novembre. Un BN senza gioia, le spalle in avanti, curvo, in un clima di festa posticcio, senza enfasi, senza gioia.
Ancora catastrofi nel 2011. Ma non lo possiamo mai derubricare a pessimismo: è sano realismo. Un uomo, in un interno borghese, d’antan con la carta da parati demodè, senza rinunciare a giacca e cravatta, indossa pdt12una maschera a gas. Anche lui si sta preparando all’imminente sconosciuto, ma ben poco roseo, domani.
Nel 2010 uno dei più iconoclasti e irriverenti cartelloni di PdT: una banana che, una volta sbucciata, al suo interno, presenta un grosso peperoncino,pdt11 prodotto tipico calabrese, simbolo e icona caratteriale dei suoi abitanti: la focosità. I riferimenti fallici, ovviamente, si sprecano, ma quel verde del gambo, il rosso del peperone, il bianco dell’interno del frutto, rendono una bandiera italica fondata sull’estro del piccante, sulla legnosità del picciolo, sulla durezza e l’allappante esotico; siamo, anche, un mix di queste caratteristiche.
Scendiamo ancora più giù nel tempo. Nell’edizione 2008 un’inquietante bambola rosso fuoco, dal sapore di Stephen King o che rievocava le nenie di infantili di Dario Argento, ci guardava con fare sorpreso e allo stesso tempo allarmato e preoccupante. Qualcosa stava arrivando, qualcosa stava cambiando. E qua con il passato ci fermiamo.

pdtl17Quest’anno invece la scelta è caduta su un uomo accartocciato su se stesso - potrebbe essere l’Otto del 18 (le edizioni del festival) - appoggiato sul fondo di una piscina a identificare l’infinito ma rannicchiato a protezione, come a non voler sentire quello che arriva e avviene fuori da quel guscio amniotico, placenta ovattante; mentre le gambe sopra (l’Uno), presumibilmente di una ragazza, spinneggiano verso l’alto fuggono, se ne vanno, in cerca di salvezza, volano o più facilmente, potremmo essere sott’acqua, risalgono a prendere aria. Il cielo è sempre più blu. Se riesci a tornare in superficie.

Tommaso Chimenti 03/06/2017

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