Fino al 29 maggio lo spazio espositivo di Palazzo Lombardia ospita la mostra “Milano Pop. Pop Art e dintorni nella Milano degli anni '60/'70", a cura di Elena Pontiggia.
Il percorso espositivo, che si snoda in due sale, si dedica all'analisi di un momento storico preciso del nostro Paese, gli anni Sessanta e gli anni Settanta, attraverso una serie di lavori dei principali protagonisti dello scenario italiano in tema di Pop Art. Questo movimento artistico ha saputo esprimere più di ogni altro le contraddizioni della società contemporanea. Le origini però sono strettamente americane e da quelle non si può più di tanto prescindere. Proprio per questo, la mostra inzia mettendo storicamente a confronto gli Stati Uniti con la città di Milano: dalla parte americana si riconosce l'elezione di John Kennedy alla presidenza, il suo assasinio, la marcia su Washington di Martin Luther King, la guerra in Vietnam; dalla parte italiana – anzi milanese – saltano all'occhio alcune importanti vittorie di Milan e Inter, l'inaugurazione della stazione Garibaldi e della linea 1 della metropolitana, l'inizio delle occupazioni studentesche nelle università. L'esposizione evidenzia così i diversi punti di contatto, ma anche e soprattutto le differenze profonde con la Pop Art americana – ecco motivato il sottotitolo "Pop Art e dintorni" - indagando come gli artisti italiani, e in particolare milanesi, abbiano interpretato originalmente la tendenza, sullo sfondo di un'Italia inquieta che da un lato conosce il boom economico e dall'altro si avvicina ai tempi bui degli "anni di piombo”. Una volta entrati nelle due sale, si entra quindi nel vivo della collettiva. I primi protagonisti hanno ancora un respiro più nazionale infatti sono quelli più emblematici della Pop Art italiana come Mario Schifano, Tano Festa e Mimmo Rotella. Proseguendo, ci si addentra nello specifico del panorama milanese con tredici artisti: Valerio Adami, Enrico Baj, Paolo Balatella, Gianni Bertini, Fernando De Filippi, Lucio Del Pezzo, Umberto Mariani, Silvio Pasotti, Sergio Sarri, Giangiacomo Spadari, Tino Stefanoni e Emilio Tadini. Il riferimento a Milano non è da intendersi in un'accezione anagrafica e nemmeno nel senso di una fissa dimora ma come uno stretto rapporto con la città lombarda e il suo ambiente artistico. Infatti tutti questi esponenti, più che riprendere l'idea della Pop Art americana che viene considerata una celebrazione del consumismo, preferiscono composizioni più complesse e narrative, addizioni di elementi, rimandi letterari e sociali e una più attenta declinazione del colore. Il pensiero comune è che la Pop Art sia “un vocabolario – di solito materiale presistente o riutilizzato - che serve a dire altro” e, come afferma la curatrice Pontiggia: “si parte da un punto, ci si allontana da esso, si ottiene un risultato che vive la distanza dal punto d'inizio e che dice altro rispetto a quello che ci trasmetteva in principio”. Per quanto il panorama della Pop Art milanese non dia luogo a nuove correnti, si possono comunque riconoscere due filoni diversi nei quali inserire i tredici artisti: il primo si dedica maggiormente a una rilettura e a un ripensamento della metafisica come in Adami e Tadini; l'altro si concentra di più sulla critica sociale e sulla dimensione politica ad esempio con Baratella, De Filippi e Spadari. A prescindere dalle sfumature che ognuno di loro inserisce nelle proprie opere d'arte con la speranza che siano percepite dal pubblico, per tutti il movimento artistico della Pop Art rappresenta una nuova via all'immagine: una rappresentazione non naturalistica, filtrata attraverso il linguiaggio della pubblicità, del cinema e del fumetto.
Chiara Rapelli 27/04/19