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“La vera fotografia” di Gianni Berengo Gardin in mostra a Roma

“Il vero valore dei miei libri si vedrà tra cinquanta o cento anni, quando qualcuno dirà: “Guarda com’erano questi italiani, questa gente che non esiste più, queste case, questo lavoro.” Ne sono molto fiero e lo dico senza falsa modestia. È una mia ambizione, il mio scopo: lasciare un documento della nostra epoca”. (Gianni Berengo Gardin)

Vera fotografia. Reportage, immagini, incontri” è l’esposizione degli scatti di Gianni Berengo Gardin allestita nelle sale del Palazzo delle Esposizioni di Roma, dal 19 maggio al 28 agosto 2016, e curata da Alessandra Mammì e da gianniberengogardin08Alessandra Mauro. La scelta del titolo “Vera fotografia” riprende il timbro verde che contraddistingue il retro di ogni sua stampa fotografica, ma anche l’insofferenza da parte dell’artista nei confronti delle “illustrazioni”, come le definisce lui stesso, immagini manipolate, lontane dalla pura realtà. Nell’opera di Berengo Gardin non ci sono finzioni, né effetti speciali, esiste soltanto la verità dell’immagine, che si concede all’occhio con crudo realismo e tenera delicatezza. Attraverso le sei sezioni intrecciate tra loro (Venezia; Milano e il lavoro; Manicomi, zingari e foto di protesta; Italia e ritratti; Le donne; Visioni del mondo: paesaggi e Grandi Navi), si ripercorre la lunga carriera del fotografo ligure, a partire dagli anni milanesi, poi quelli veneziani, attraverso il mondo del lavoro, quello contadino e operaio che per lui rappresenta “una cultura straordinaria”, fino agli anni delle proteste, osservati negli sguardi degli ultimi, gli emarginati.
gianniberengogardin03La mostra fotografica sviluppa nelle varie sale del Palazzo delle Esposizioni un percorso logico e narrativo, un cammino di stimolante ricerca visiva e di forte impatto emotivo. Sono circa 250 le fotografie, per lo più stampe vintage, datate tra il 1954 e il 2015. Accanto alle celebri immagini ce ne sono alcune inedite, oltre 24 in formato grande accompagnate ognuna da un relativo commento d’autore, che aggiunge ulteriore valore al lavoro del fotografo. Si tratta di omaggi da parte di intellettuali, amici, come il regista Marco Bellocchio, Franco Maresco e Carlo Verdone, gli artisti Mimmo Paladino, Alfredo Pirri, la critica e curatrice Lea Vergine e molti altri colleghi. Inoltre, tra i vari testi spunta quello di Peppe Dell’Acqua, psichiatra dell’equipe di Franco Basaglia. Con quest’ultimo il fotografo collabora per il reportage sull’orrore dei manicomi italiani, “Morire di classe” (1969), un’opera importante e politica, che ha contribuito all’approvazione della legge 180.
La fedele macchina fotografica diventa per Berengo Gardin uno strumento di lettura del mondo, dell’ambiente, ma soprattutto dell’umanità. L’artista costruisce immagini in bianco e nero e, grazie a una raffinata capacità di osservazione, utilizza la sua amata Leica come uno mezzo per decifrare la realtà, raccontarla, comprenderla: per lasciare una traccia visibile nella Storia. In questi ultimi cinquanta anni l’artista ligure ha documentato il nostro tempo, l’Italia, attraverso reportage diventati narrazioni di vite, di storie, di amori, di cambiamenti rivoluzionari, di fragilità. La sua abilità all’ascolto partecipe nei confronti di situazioni distanti tra loro, fa di lui uno dei più grandi fotografi di tutto il mondo. Sulle basi della fotografia umanista di scuola francese (Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Willy Ronis) e su quella sociale americana della Farm Security Administration, Berengo Gardin costruisce un linguaggio personale, delicato, che scava in profondità e si arricchisce man mano di quella cifra distintiva che fa dell’italianità un carattere unico.
Per Sebastião Salgado, l’amico Gardin è “un fotografo che mette l’umanità al centro delle sue osservazioni e il suo sguardo è sempre alla ricerca di un rapporto empatico con le persone gianniberengogardin05comuni, gli uomini e i loro problemi, la loro vita, a volte difficile, a volte tenera”. L’artista si focalizza sulle espressioni delle donne, rivelatrici di segreti impronunciabili, o sulla difficile condizione dei malati rinchiusi nei manicomi. Fino alle storie degli zingari di Firenze, Palermo, Mantova, Trento, cui l’autore ha dedicato tempo, amore e molti libri. Il percorso espositivo è inoltre completato da una selezione dei numerosi volumi pubblicati dal fotografo, circa 250 opere, da interpretare come una testimonianza di un lavoro pieno di passione e sensibilità.
Con l’umiltà di chi comprende e sa rivelare le sofferenze umane, l’autore riesce a cristallizzare in attimi di rara ed eterna bellezza momenti di assoluta semplicità. Gianni Berengo Gardin è il fotografo dell’interiorità silenziosa del genere umano. Il suo occhio capta reti intricate di flussi emotivi e lo fa con estremo rispetto e delicatezza, lasciando la possibilità all’altro di poter entrare nell’immagine, nelle vite raffigurate in bianco e nero, per afferrare la nuda essenza dell’umanità.

Serena Antinucci 20/05/2016

Le immagini sono protette da Copyright © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

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