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Equilibri a confronto: l'evoluzione della pittura di Josh Smith e le tensioni installative di Hilla Ben Ari e Alice Cattaneo

La Galleria Marie-Laure Fleisch e il Macro Testaccio a Roma ospitano due mostre che indagano il senso di equilibrio e di processo nella creazione artistica: "Tensioni E-Statiche" di Hilla Ben Ari e Alice Cattaneo (22 Giugno-12 Settembre) e la mostra di Josh Smith curata da Ludovico Pratesi (5 Giugno-20 Settembre).
Se, infatti, l'ultima opera video di Hilla Ben Ari "Naíamah: A Tribute to Nachum Benari" riprende temi biblici per fissare la grandiosità dell'umano proprio nello sforzo fisico, artistico, di contrapporre individualità e collettività, naturalità e strumentalità, i "paintings" di Josh Smith all'interno di uno spazio mastodontico come il Macro Testaccio esprimono un "pensare in pittura" ispirato da un'imponente quadreria in cui le sismiche variazioni cromatiche e segniche non sono un racconto, ma una confessione prorompente.
I corpi di Hilla Ben Ari sembrano studiare principi di vibrazione che possano far vivere in diverse posizioni e rendere plastiche spigolature del sé inseparabili dall'ambiente circostante. Il video consente nel dare rilievo e lunghezza temporale alla sofferenza di varie posture e ai legami che i corpi imparano di conseguenza. In più, la sala della Marie-Laure Fleisch espone altre forme di equilibri precari che si manifestano attraverso le opere della milanese Alice Cattaneo: reti metalliche, bastoncini di legno e fogli di acetato colorato, troppo poco plastici, troppo concettuali, troppo sussurreggianti domande senza risposte e senza "senso".
Le ragioni della ricerca, di sé e nelle produzioni del sé, sembrano veicolare fortemente i "Name Paintings" e gli "Abstract Paintings" di Josh Smith. La riflessione vitale che spinge a figurarsi e a non rappresentare semplicemente il proprio nome su tela così come il processo essenzialmente induttivo che crea la composizione più astratta e casuale di lettere in macchie di colore, contribuiscono a presentare la pittura come una manipolazione dellíimmaginario fortemente emotiva.
Entrambi i padiglioni del Macro reggono un'impalcatura seriale - quasi meccanica - di tele ridimensionate all'uniformità di cornici e confini cui si dispongono sgabelli per sostare di fronte allo schizzo, alla diluizione impensabile di opposti, alle armonie cromatiche non oggettive, all'ansia di un artista che "sta sempre rannicchiato a farsi domande su se stesso" (tratto dall'intervista a Josh Smith di Ludovico Pratesi). L'importanza delle sbavature, delle commistioni, del galleggiamento di tutto ciò che ci è esterno (fogli di giornali, fotografie) non conducono l'artista di origine giapponese alla formazione di immagini: il flusso della pittura di Smith si nutre di gradazioni, più o meno intenzionali, e della vividezza sotterranea dei suoi verdi, lilla, azzurri.
Lo sguardo integrato della pittura che ben confeziona le sue fluorescenze al Macro e dei "grovigli costruttivisti" della Cattaneo presso la Marie-Laure Fleisch permette la sospensione del giudizio, la sua calma controllata, il bilico che possiamo leggervi solo noi. Laddove tutto sembra restare.
La pittura di Josh Smith conduce a due opere di video-arte in entrambi i padiglioni e qui si nota lo sguardo dell'artista sui momenti transitori e sui fenomeni di scarto, dai concetti di focus/intrattenimento/noia/stabilità. 

"Wainting room" non è solo il titolo di una di queste due opere-video ma potrebbe essere il nome della nostra postura di fronte a queste mostre. Quella più esterna, quella dove non c'è niente da dire.

Rosa Traversa 23/08/2015

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