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E' un calamitarsi cosmico attorno alle ossa del gigante

FIRENZE – Il Colosso di Rodi si è spiaggiato, nel caldo africano, disteso sulle nuvole che lambiscono Arno, Cupola e Torre d'Arnolfo. Se ne sta lì fermo, immobile, ormai inerme, lungo disteso come un Gulliver al quale sono caduti abiti e capelli, pelle e organi. Il suo scheletro, bianchissimo da far riflettere il sole, le sue infinite ossa, che poi sono le nostre, fanno da specchio a noi piccoli che lo accerchiamo, lo attorniamo cercando di carpire una verità, un'essenza, una sostanza. Nemmeno la sua stazza (alto 24 metri) lo ha salvato. Sembra di entrare in una cripta a cielo aperto, a scoprire, svelare, scomporre la belv1perfezione della morte, a violentare il suo sonno universale ormai senza occhi, dove tutto è concavo, vuoto, prosciugato da tempo, microbi, da una macerazione che ha fatto il suo corso, da una decomposizione che non ha lasciato scie né strascichi.

belv3Circumnavighiamo questo perfetto incastro di ossa (“Calamita Cosmica” di Gino De Dominicis, solitamente esposta a Foligno), sembra che prenda l'ultimo sole, e ci accorgiamo di quanto ci assomigli, di quanto siamo i suoi esemplari mignon, le sue copie miniaturizzate. Ma c'è un qualcosa, che a prima vista sfugge, e che poi si staglia in tutta la sua lucentezza che va a cercare i raggi; come una vela sottile e allungata un rostro si proietta in alto, come una torre esile o un campanile sottile, come una lama di samurai a tagliare i venti. Il “nostro” essere, avvolto nel suo mistero, è un Pinocchio gigantesco e il naso, anche post mortem, è ancora lì ad evidenziare la natura di questo magnifico, esponenziale, monumentale uomo. E ora, alla luce di questo dettaglio rilevato, ci assomiglia ancora maggiormente.
E il bianco limpido candido abbagliante delle sue ossa fa frizione e frigge contro quel naso bugiardesco che s'innalza fallico come Torre di Babele caotica. Potrebbe essere l'anello di congiunzione tra gli uccelli e l'uomo, potrebbe essere l'ultimo massiccio angelo caduto nel fango, a metà tra ominide e falco, con le ali già perse nell'evoluzione. Potrebbe esserebelv2 uno di quei giganti che, a metà tra Storia e leggende popolari, si pensa abbiano costruito Stonehenge, costruito i nuraghe in Sardegna o posto le teste dell'Isola di Pasqua, una sorta di King Kong belv4sproporzionato, un umanoide dalle fattezze enormi, nostro avo forse vissuto nel gigantismo che allietava la Terra ai tempi dei grandi dinosauri. Potrebbe essere Golia che, una volta straziato dall'astuzia di Davide, se ne resti lì non più voglioso di combattere e pugnare nella sabbia, potrebbe essere il Ciclope ferito a morte da Ulisse e stramazzato al suolo o un Golem creato ad arte, di fattezze e lineamenti quasi del tutto avvicinabili ai nostri.
Lì, ormai inoffensivo ha perso la sua forza devastante, non può più spazzarci via, ci parla con il suo silenzio, e il vento passa attraverso la cassa toracica ampia che non s'espande più, nei bulbi cavi che non possono più chiedersi “Che cosa sono le nuvole?”, nei suoi piedi orizzontali al terreno. Forse è Dio che effettivamente è morto. Forse la notte si alza, si affaccia alle ringhiere di Forte Belvedere e guarda sotto la nostra piccolezza, la nostra minuzia infinitesimale, il nostro formicare e fornicare compulsivi e inutilmente alacri. Ci guarda, ci perdona e si rimette giù quando il sole sta per sorgere. La morte è una certezza del doman.

Tommaso Chimenti 25/08/2017