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Anish Kapoor al MACRO di Roma e l’immobilismo delle “arti-star”

Nonostante per molti possa suonare come il nome di una pietanza indiana, Anish Kapoor è un artista quotatissimo sul mercato e affiancabile alle grandi menti della “pensierosa” arte contemporanea. A distanza di oltre dieci anni l’artista torna a Roma con una mostra di dimensioni sbalorditive che lo ha impegnato un anno nel concepimento e nella realizzazione di questo allestimento. Invitato a produrre nella fucina del MACRO, Kapoor al fianco del curatore Mario Codognato, dà vita a questi grumosi lavori che sfruttano la materia artificiale del silicone per riprodurre quella organica di una carne sanguinolenta ancora palpitante nel vivido rossore del sangue. La 01AnishKapoormostra sarà visitabile fino al 17 aprile 2017 ed è sponsorizzata e supportata da BNL.

Di origini indiane naturalizzato inglese, Kapoor lo si ricorda per Widow, l’enorme struttura conica nera incurvata che si apre su due lati comunicanti e che attraversa metà del primo corridoio all’entrata delle sale espositive del MAXXI. Opere di simili suggestioni non mancano a imbastire l’enorme salone del Macro, come le superfici specchiate concave e convesse che ne hanno marcato a lungo il successo e la sua impronta identitaria. Oltre a ospitare questo repertorio, riporta gli Internal Objects in Three Parts (2013-2015) trittico che lo ha ispirato per le sue nuove creature dato che ne recupera quasi gli stessi elementi.
L’idea di far emergere dai supporti verticali e artificiali del muro come della tela, una dimensione informe e organica, è la stessa che lega molto il concetto di emersione di un’idea così come viene, spontaneamente. Kapoor - tra le tante affermazioni fatte in conferenza stampa - dopo questo lavoro sembra essere giunto alla consapevolezza che per un artista la preoccupazione di dare significato all’opera non dev’esserci [the artist shouldn’t worry about the meaning of his work], aprendo al cospetto di ciò che debba essere o meno considerata arte una serie di riflessioni molto provocatorie. Le influenze di grandi artisti del passato sono numerose come ci elenca Codognato nel testo che presenta il suo lavoro: dalla carne 02AnishKapooraperta di Rembrandt allo sfregio della tela di Fontana, dall’informe organico di Bacon fino alle "ustioni" di Burri. Ci aggiungiamo noi quelle cinematografiche di un genio come David Cronenberg, o restando nell’ambito prettamente artistico, il realismo violento e provocatorio del sangue di Herman Nitsch; solo per fare due nomi che appartengono almeno a un contesto più "contemporaneo" e vicino al nostro artista.
L’apprezzabile idea dell’utilizzo del silicone per riprodurre la sostanza di una carne che non può putrefarsi o ricomporsi in qualcosa di identificabile; il richiamo a un materiale che si unisce sempre di più al corpo umano con le sue protesi; la pretesa di stillare sangue e al tempo stesso provocare simultaneamente sensazioni affascinanti di morte e di sesso costituiscono le suggestioni che immergono lo spettatore in queste grandi opere. L’insieme costituisce una collezione di stile e bellezza: c’è armonia nella composizione di opere tanto brutali e carnali e allo stesso tempo una paradossale freddezza. Nel complesso però non rimane la soddisfazione di trovarvi in Kapoor un ulteriore passo avanti, ma piuttosto un atteggiamento molto reazionario rispetto alle opere passate, mostrandosi quindi, oltre i convenzionalismi delle nuove opere, come un’esposizione da retrospettiva.

Come si identifica un personaggio del calibro di Anish Kapoor nel contesto artistico odierno.

Kapoor in conferenza ha affermato di non aver paura del fallimento. Dice che questo dovrebbe convivere con la natura dell’artista. Il margine del fallimento però è anche così labile che a volte, invece, non ci si accorge di averlo oltrepassato. Seppur sforzandoci nella ricerca di un significato solipsistico, didi-hubermaniano e superiore, il problema delle “arti-star” sta proprio 03AnishKapoornella loro letterale indifferenza e alterità rispetto al contesto artistico che li circonda. Un atteggiamento di cui ormai da molto tempo si è identificato l’ambiente “alto” dell’arte contemporanea. Non basta poterselo permettere tanto più per il fatto che diventa un’arte di repertorio che non sa più cosa dire e a quanto pare non ne sente persino il bisogno. Tale attacco non è strettamente rivolto ad Anish Kapoor, ma al tipo di arte che rappresenta.
Nonostante tale ragionamento possa sembrare sfrontato e ingenuo, questo deriva dal fatto che l’impalcatura speculativa e politica che sostiene archi-star e arti-star sta vacillando sempre di più, ed è importante parlarne. A maggior ragione in un periodo di crisi dove a emergere in un contesto come il Macro dovrebbe essere un’arte molto più aperta al rispetto di uno spettatore comune (e stiamo parlando di una struttura che tra le grandi realtà artistiche della capitale resta tra le più eterogenee e stimolanti) e non esclusivamente al pubblico di settore e alla figura dell’ ”operatore culturale”. Sennò continuiamo a prendere in giro l’arte perché o è mediocre o non la capiamo. E continueremo a vedere sugli scaffali ridicoli libri che titolano “l’arte spiegata ai truzzi” perché a quanto pare è troppo complessa per la gente comune, mentre più semplicemente è inciampata da tempo sulle sue stesse alterazioni. Tanto vale allora continuare a farci prendere in giro - ma almeno in maniera brillante - da un Cattelan.

Emanuela Platania 18/12/2016

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