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Acéphale: la testa sotto accusa da un amore insensato

L’universo di un’artista come Giosetta Fioroni miete ricordi, dediche, incontri e libere associazioni come se – davvero – non ci fosse spazio per nessuno di noi. 

Proprio a questo sembra rimandare “Acéphale”, la mostra presso la Diagonale/Librogalleria dall’8 Maggio al 10 Giugno 2015 in cui la storica pittrice della Scuola di Piazza del Popolo rende omaggio allo scrittore e antropologo Georges Bataille attraverso un’intima rivisitazione dei suoi temi sull’erotismo, esistenzialismo e divinazione del corpo.

Una galleria che nasce fra libri e scaffali ospita due spazi dedicati a foto, illustrazioni, collage e quadri in cui il mondo di Giosetta Fioroni è da indagare, scartabellare con l’occhio di un curioso passante o di una fervente appassionata del dinamismo femminile. Sì, perché Giosetta Fioroni anima il surrealismo di Bataille e di altri artisti come Klossowski e Masson attraverso i suoi incontri, sempre in prima persona e con una mano che ha toccato il tempo che  schizza sulle tele e sulla carta.

Il corpo che trapela da “Acéphale” è sempre contiguo al dolore così come al piacere, si fa vivere e si sa imporre. La sacralità – tema fondamentale in Bataille – irriga totalità corporee e la rappresentazione dell’individuo è ovviamente fortemente estetizzante, pulsante e smussata spesso da appunti che la Fioroni ha lasciato sulle sue varie produzioni in mostra, quasi a dimostrare che ciò che è in esposizione è la sua vita/mito del suo passato e che in quanto tale non è né circolare né diagonale: esiste in un senso assoluto. “Bisogna rifiutare la noia e vivere solamente di ciò che ci affascina” (Georges Bataille), ricorda l’artista in una delle opere dedicate a “La conjuration sacrée” facendo riecheggiare quell’aura di misticismo delle sensazioni che si ripetono in varie opere con tecniche miste su carta.

Acefali i piaceri, divino il pensiero e grandiosa la testimonianza di fede nella fotografia di Cindy Sherman che la Fioroni prende a prestito per ricordare la realtà e la finzione, la vita e la testa, abnorme e sproporzionata e demoniaca e sempre fuori luogo: “… la vita è sempre una benedizione per quanto tu non possa benedire” (W.H. Auden – Passeggiavo una sera).

La capacità di afferrare i sensi e di carpirne la rappresentazione su tela è un’ossessione della testa della modernità così come dell’occhio del contemporaneo e proprio in alcuni appunti di immagine si parla della parola-suono e del disegno-spazio. “La parola dipinta” (Giovanni Pozzi) dichiara che la relazione è qui, in quello che vediamo e vedremo di Giosetta Fioroni in questa galleria, perché il legame è fondamentalmente una questione di distanze e non di durata.

L’approccio etnografico, archivistico e diaristico della mostra si concentra – prevedibilmente – su porzioni di corpo che assumono su di sé tutto il senso dell’assenza di ragioni per la comprensione e della presenza di un’epidermide vestita o svestita, smascherata, che sola riconduce al pensiero e all’arte: “I remember you” (G.F. 1979-1998) è una sorta di matrimonio, dai piedi in su.

L’indagine di Giosetta Fioroni si apre ad archivi giudiziari, luoghi di ritrovamento di armamentari della morte “passionale”, alla “mascherata sessuale” (Kriminal Monatshefte, Prof. Heilon, Aprile 1929) in cui il corpo sottrae ancora, lascia ancora un posto, l’evocazione è macabra e chiarissima.

Piace concludere con una lettera d’amore che l’artista ha voluto – come tutte le altre opere – esporre per la prima volta in occasione di questa mostra alla Diagonale:

“Per il momento ti amo come un folle. Penso ai tuoi occhi quando mi ami, alla tua bocca, una profonda ferita. Ho in mente l’adorabile posizione che hai preso sabato, le natiche spinte su al massimo in tutta la loro pienezza e, nel mezzo, il cuscinetto di carne bruna e grassa dove si apre a perpendicolo la bocca muta che adoro … Tu soffri d’orgoglio, soffri e l’amore trasforma in voluttà il dolore che provi.” (Lettere di Apollinaire a Lou, Editore Archinto)

Non c’è scampo per la civiltà del tattile e dell’onirico cui ci costringono le libere associazioni di Giosetta Fioroni: guardami bruciare, guardami godere, guardami morire, sembra essere l’invito. E la testa, forse, non è mai davvero capitolata.

 

(Rosa Traversa)

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