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«I regard the brain as a computer which will stop working when its component fail. There is no heaven or afterlife for broken-down computers. That is a fairy story for people afraid of the dark». Si esprime così Stephen Hawking in un’intervista rilasciata nel 2011. Ed è così che si doveva sentire: come una macchina, con una voce artificiale e robotica e una capacità di movimento quasi nulla se non fosse stato per la carrozzina a rotelle. Certo è che questo sentimento non ha fermato il grande scienziato britannico, conscio di ogni limite e vissuto per superarlo. Noto alla comunità di esperti per le sue teorie sui buchi neri e sull’origine dell’universo e conosciuto dal grande pubblico per la malattia invalidante che non ha posto freni alla sua intelligenza, Hawking è deceduto il 14 marzo 2018, lasciando dietro di sé una schiera di ammiratori e un film da Oscar. Vissuto tra Oxford e Cambridge, è un esempio umano di come la malattia sia invalidante e deprimente soltanto se chi ne è affetto le permette di impossessarsi di tutto il suo sé. Per citare un nome italiano, pensiamo a Ezio Bosso che, nonostante il morbo che lo affligge, siede al pianoforte e realizza quella che lui stesso definisce una «magia», la musica. Il caso di Hawking, colpito dalla malattia degenerativa dei motoneuroni, è riconosciuto in tutto il mondo come esempio di genialità ed eroismo.StephenHawking1 Pochi sono consci del lato umano e quotidiano di questo mito, raccontato con sincerità dalla moglie Jane nel libro “Verso l’infinito”, pubblicato in Italia nel 2015 da Edizioni Piemme. Jane era una studentessa di letteratura spagnola a Westfield; intelligente, profonda, brillante per quanto possa essere considerata tale una studentessa di lettere tra gli anni ’60 e gli anni ’70. Il suo desiderio era fare il dottorato e scrivere una tesi degna di lode; ma dedicò la propria vita a Stephen, ai suoi figli e alla sua malattia. Il suo racconto, scorrevole, toccante, semplice e franco, non è solo una biografia ma l’espressione di un punto di vista disincantato; è anche il traguardo di un’esistenza devota alla famiglia in cui, in fondo, non si rinuncia alla carriera: con “Travelling to Infinity: My Life With Stephen”, Jane Wilde Howking è diventata una scrittrice e il suo romanzo il soggetto del pluripremiato film diretto da James Marsh nel 2014 e interpretato dal migliore attore agli Oscar 2015, Eddie Redmayne.

«La storia della mia vita con Stephen Hawking cominciò nell’estate del 1962 […] Quando Diana mi invitò alla festa di Capodanno che stava organizzando con suo fratello per il 1° gennaio 1963, ci andai vestita con un abito verde scuro di seta – sintetica, naturalmente – e coi capelli tirati indietro in un vaporoso e bizzarro chignon, intimidita e molto poco sicura di me stessa. E lì, snello e appoggiato al muro in un angolo con le spalle alla luce, c’era Stephen Hawking, il giovane che avevo visto camminare per strada in estate. Gesticolava con le lunghe dita affusolate mentre parlava – i capelli gli cadevano sul viso sopra gli occhiali – e indossava una giacca di velluto nero e un farfallino di velluto rosso […] Io ascoltavo affascinata e divertita, attratta da quell’insolito personaggio per il suo senso dell’umorismo e la sua personalità indipendente. I suoi racconti erano molto coinvolgenti, specie perché singhiozzava dal ridere, quasi strozzandosi, alle battute che faceva, molte delle quali su sé stesso. Chiaramente si trattava di una persona che, come me, tendeva ad affrontare la vita con qualche incertezza e riusciva a vedere il lato divertente delle situazioni. Una persona che, come me, era molto timida, ma non rifuggiva dall’esprimere le proprie opinioni; e che, diversamente da me, aveva una piena consapevolezza del proprio valore e la sfrontatezza di manifestarla». Jane descrive con lucidità e ricchezza di dettagli l’innamoramento e la fascinazione che l’ex marito ha da sempre esercitato su di lei. Nonostante le incertezze dovute dal suo essere fisicamente impacciato, Stephen ironizzava su sé stesso, si accettava e faceva dei propri difetti un punto di forza e tuttavia irrilevante di fronte alla sua genialità scientifica. Gli impedimenti fisici saranno il destino della sua vita ma al principio degli anni ’60 egli ancora non lo sapeva o forse non voleva farlo notare.StephenHawking3 Nella cronaca della conoscenza spensierata dei due giovani, il lettore sente risuonare tra le righe un campanello d’allarme. Un mistero avvolgeva lo studioso e il suo isolamento volontario non convinceva Jane; nella mente di Stephen erano risolte le incognite del cosmo e del microcosmo, ma lui conservava avidamente questi segreti.

«I miei tentativi di mettermi in contatto con Stephen al ritorno dalla Spagna non ebbero esito […] Un venerdì pomeriggio di quel novembre incontrai Stephen […] camminava a scatti, oscillando da una parte e dall’altra, e i taxi erano diventati per lui una dispendiosa necessità per i lunghi spostamenti. Curiosamente, più la sua andatura diventava instabile, più le sue opinioni diventavano energiche e sprezzanti […] Dopo quella sera, sentii di dover scoprire qualcosa di più sulle condizioni di Stephen. Feci varie sortite a Londra cercando vecchi conoscenti che erano diventati studenti di medicina e visitando varie associazioni benefiche che si occupavano di malattie neurologiche. Non ebbi alcun risultato. Forse era meglio non sapere. Il destino di Stephen era forse peggiore, mi chiesi, di quello che incombeva su noi tutti? Vivevamo all’ombra della nube atomica, e nessuno di noi poteva essere certo di arrivare a settant’anni». Eppure Hawking visse oltre i settant’anni, ostentando un carattere vivace, sarcastico, affascinante nonostante l’aspetto sempre più compassionevole, portando avanti la propria missione di ricerca con conquiste che a noi profani sono poco chiare o ignote. Di lui rimane il coraggio, la genialità, l’eroismo, in piccola parte già smentito dal film e mostrato nella sua reale essenza nelle pagine del libro della moglie. Jane sposò Stephen volendo vivere con lui quel poco che gli restava; mentre il marito combatteva per dimostrare le sue teorie, StephenHawking2la moglie vinceva la propria lotta quotidiana per far sì che non morisse soffocato, che non cadesse andando in bagno, che non gli succedesse niente nelle vulnerabili giornate che scorrevano con lentezza e fatica. Dedicava ogni istante ai tre bambini piccoli e al marito disabile e viveva nella frustrazione di non potersi realizzare nelle proprie passioni. Il segreto più sconvolgente che Jane svela è l’avere a che fare con un uomo presuntuoso, egocentrico, innamorato prima di tutto della propria carriera e dei propri successi. Fiera di lui e della famiglia da loro creata, Jane prese le distanze da Stephen non a causa della malattia, non a causa dell’incontro con Jonathan (quello che sarà il suo secondo marito) ma per la degenerazione di un sentimento. È un esempio di storia umana, quella reale che si nasconde dietro ogni facciata di positività, grandezza, fama.

«Dopo che ho finito di scrivere il postludio, Stephen ha completato il suo volo a gravità zero ed è tornato sulla Terra intatto, riempiendo i media di fotografie trionfanti. Il sorriso sul suo volto mentre fluttuava libero dal suo peso avrebbe commosso le stelle. Di sicuro ha commosso me profondamente, e mi ha fatto riflettere su quale privilegio sia stato percorrere anche solo un breve tratto del viaggio verso l’infinito insieme a lui […] Stephen, il più famoso scienziato del mondo, resta al centro della famiglia e al centro della fisica. Anzi, stiamo proprio per andare in vacanza tutti insieme!».

Benedetta Colasanti 25/03/2018

 

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