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Roberto Saviano racconta Corrado Alvaro: il dolore del sud e l’emigrazione

In occasione dei 90 anni della casa editrice Bompiani, sabato 12 maggio, al Salone del Libro di Torino, Saviano racconta l’opera e la vita di Corrado Alvaro, lo scrittore di San Luca e autore di Gente in Aspromonte, L'uomo è forte, L'età breve, Belmoro. Il racconto di Saviano è partito proprio dalla terra, l’aspra Calabria, in cui è nato Alvaro.

Alvaro racconta la pigrizia meridionale e il suo pregiudizio, sfatando e motivando insieme la nascita di un sentimento che deriva dalla fatica, non dalla sua assenza. “Quando per prendere dell’acqua ci vogliono due ore di cammino, la fatica è tanta. Prendi l’acqua e ti fermi. Prendi la legna e ti fermi”. Saviano parla di Alvaro, ma sembra parlare di se stesso e della volontà, appartenuta ad entrambi, di raccontare l’anima meridionale. Alvaro combatte e viene ferito in trincea, prendendo parte ad una guerra che è l’unica via d’uscita, “una breccia per migrare, per potersi salvare da miseria, fatica e isolamento”. Saviano soffre lo stesso dolore che provò lo scrittore calabrese, “se ami quel cielo, se ami quel golfo, devi parlare di quelle ferite”. Alvaro, alcuni decenni prima delle inchieste della magistratura, decenni prima di Saviano, di Gomorra parlò della ‘ndrangheta come processo di modernizzazione, capace di portare un grande cambiamento tecnologico, assumendo le caratteristiche e l’aspetto della classe dirigente. Ma questa volta Saviano, anche quando sembra scivolare nella materia che meglio maneggia, non ha voluto parlare di mafia, di sistemi, ma di emigrazione e della condanna dell’uomo meridionale a fare scelte che non dipendono da sé e della libertà di affermazione di se stessi andando lontano tanto da chi protegge che da chi comanda, in una terra in cui “quando non c’è più niente, l’ultimo capitale è la paura”. "La fuga per mutare condizione” è la lotta alla muta rassegnazione alle forme di vita feudale. Il processo di meridionalizzazione della burocrazia italiana si deve proprio alla possibilità che i concorsi davano ai giovani meridionali di evadere, senza esserne esclusi a priori, racconta Saviano. Lo scrittore napoletano mostra l’importanza dell’emigrazione africana, a livello ideologico, perché “i migranti neri sono lo strumento per far sentire anche i meridionali come cittadini italiani”. Alvaro riuscì a raccontare tutto questo alle origini, osservando i comportamenti dei soldati in trincea. E come Saviano, anche Alvaro, più si allontana dalla sua terra, più ne è ossessionato. Durante la conferenza il pubblico chiede altro tempo, anche se il ritmo incessante della fiera non lo consente: le porte della sala dove si tiene l’incontro sono aperte, perché, anche chi, dopo ore di fila, è rimasto fuori, possa ascoltare. Le traduttrici LIS si alternano: Saviano è instancabile, quella che sembra una lectio magistralis su un autore italiano spesso dimenticato, ma che, come ricorda Saviano, Scalfari definì “il più grande scrittore del suo tempo”, diventa il racconto emozionante anche per chi non lo conosce, non lo ha mai letto.

La forza verbale di Saviano raggiunge l’apice quando egli afferma che “la disperazione più grande per una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile” (citando, quasi alla lettera Alvaro). Non brutto, frustrante, doloroso, ma inutile. Saviano parla di emigrazione usando parole come peso, contraddizione, tradimento, necessità: dando conto della complessità di un fenomeno che non si lascia descrivere in modo lineare. Nel giorno della festa della mamma, prima di salutare pubblico e giornalisti, alcuni con i bambini in braccio, Saviano ricorda l’ultimo naufragio e lascia fuori le polemiche: cinque bambini sono morti insieme alle madri in mare. “Quale parola avranno gridato quei cinque bambini alle loro mamme per l’ultima volta?”. La sala ammutolisce in un silenzio già raccolto. Saviano chiede alla platea di chiedere a sua volta una tassa per salvare chi emigra, chi parte per la salvezza, come partì Alvaro per cercare la sua.

 Laura Caccavale 14/05/2019