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Ferruccio De Bortoli racconta in "Poteri forti (o quasi)" quarant'anni di storia del giornalismo

Nelle pagine del libro di Ferruccio De Bortoli “Poteri forti (o quasi)” si consuma un atto d’amore verso il mestiere del giornalista, che - da osservatore privilegiato - riporta i fatti con umiltà e mantiene la schiena dritta. Lo storico direttore de “Il Corriere della Sera” e de “Il Sole 24 Ore” raccoglie le sue memorie di cronista per raccontare oltre quarant’anni di storia d’Italia e di giornalismo e fornire una inedita e preziosa testimonianza.
A presentare la pubblicazione, in un faccia a faccia durato più di “mezz’ora”, un’altra penna prestigiosa e volto televisivo della Rai: Lucia Annunziata. La giornalista ha definito l’autore “Indomabile e graffiante come i gatti” introducendolo sul palco del Teatro Argentina di Roma, trasformatosi per l’occasione in una sorta di “agorà civile e culturale”. Un bravo giornalista rende forte la sua comunità, ma per diventare tale occorre esperienza, la stessa maturata dai personaggi citati nel libro di De Bortoli, tutti abituati a convivere con i poteri forti e a farsi interpreti di decenni difficili e controversi. Dal terrorismo alla crisi economica, dal declino dell’editoria fino alla comparsa di comunicatori improvvisati e agevolati dalle moderne tecnologie: il professionista ricostruisce incontri e scontri, scambi di opinioni e fughe di notizie. Porta avanti la tesi secondo cui oggi i poteri sono trasversali ma deboli e che una società evoluta non deve avere paura delle “verità scomode”. Il testo, a metà tra saggio e autobiografia, è un susseguirsi di retroscena nella finanza, nella politica, nei media e nella magistratura, con i ritratti dei protagonisti, l’omaggio ai colleghi e il riferimento ad aneddoti e segreti. 

debortoli annunziataCon il suo stile asciutto e “autocritico” racconta del suo lavoro e di come tutto è iniziato, scava nella mente diradando quella “nebbiolina” resa più fitta dal trascorrere del tempo e protesa a sfumare i contorni di facce e scenari. La premessa è la passione poiché, come lui stesso sottolinea, “Biagi diceva che se l’editore dovesse scoprire quanto ci piace questo mestiere si sentirebbe autorizzato a pagarci di meno”.
Da anni però la dedizione non basta e i difetti di questa professione si sono amplificati mettendo in atto il sacrificio della vecchia cronaca in virtù dell’autocompiacimento e della tempestività di tweet e post social. Oggi l’indipendenza dalla classe dirigente è solo apparente e viziata dal conformismo; anche ieri, infatti, le autorità potevano rispettare le scelte editoriali, persino quelle non condivise. “I poteri forti del passato - spiega l’ex direttore del quotidiano di via Solferino - avevano molti difetti e diverse colpe, ma esprimevano, in alcuni passaggi drammatici, un senso di responsabilità nazionale, un’idea di Paese, una consapevolezza del loro ruolo. Nell’economia e nella finanza come in politica, dove il tramonto dei partiti ha visto l’alba di ‘rottamatori e populisti, pifferai e incantatori’”. Da qui il valore degli incontri con Cuccia, Agnelli, Rotelli, Bazoli, Romiti, Draghi e tanti altri.

Nonostante i media abbiano perso la loro centralità, c’è ancora chi se la prende con la stampa: “Nel Paese è frequente l’idea che dietro la pubblicazione di qualcosa ci sia un disegno o un obiettivo particolare; non si riconosce che ci sono giornalisti che fanno il loro mestiere e non possono fare a meno di scrivere notizie”.
Il suo caso però ha rappresentato un’eccezione in molte situazioni: “Ho avuto la fortuna di lavorare in un giornale che aveva storia e prestigio instaurando rapporti di fiducia, ma il legame si può spezzare in qualsiasi momento e dietro gli editori e gli azionisti ci sono persone con i loro sentimenti”. E ora che la direzione è alle sue spalle continua a sentirsi ancora molto privilegiato: “Ho fatto il lavoro che sognavo da bambino”.
Nella sua vita ha rifiutato molte offerte, in Rai e in politica, non sentendosi adeguato ai ruoli che gli venivano proposti. Solo alle insistenze dell’editore de La Nave di Teseo non ha potuto dire di no. Così Elisabetta Sgarbi ha raccontato la nascita di un testo che potrebbe essere adottato nelle scuole: “Abbiamo provato con una raccolta di articoli, poi il libro è cresciuto. Quello che è venuto fuori guarda al passato ma anche al futuro perché dentro c’è tanto da imparare per chi vuole fare buon giornalismo”.

Silvia Natella 31/05/2017

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