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"Viaggio in Italia" racconta le tradizioni in assenza di confini. Intervista al cantautore Carlo Valente

Dialetti, riti, tradizioni regionali, Viaggio in Italia è uno spettacolo che ha come perno la canzone popolare, un progetto nato all’interno del laboratorio di alta formazione della Regione Lazio Officina delle Arti Pierpaolo Pasolini, diventato poi booklet (Squilibri Editore) e dal quale è nato il collettivo artistico AdoRiza. Guidati da Tosca, Felice Liperi e Paolo Coletta, per la regia di Massimo Venturiello e la direzione musicale di Piero Fabrizi, sedici musicisti hanno imbastito quello che, a conti fatti, è il racconto dell’inesistenza dei confini, la messa in scena di un viaggio che, nel raccontare la storia di Italia, ci parla del mondo.

Cantautore reatino, premio Amnesty Emergenti 2017 con il brano “Crociera Maraviglia”, finalista alle Targhe Tenco 2017 con il suo primo disco "Tra l'altro", Carlo Valente una ha pure diviso il palco con Francesco De Gregori. In Viaggio in Italia suona la fisarmonica.

Partiamo dal principio: com’è nato Viaggio in Italia?

Viaggio in Italia è nato all’interno di Officina Pasolini. Con Tosca, Paolo (Coletta, ndr) e Felice (Liperi, ndr) abbiamo avviato una ricerca sulla tradizione popolare, leggendo libri e ascoltando dischi. Allo studio collettivo abbiamo unito delle ricerche personali, come interviste e registrazioni a persone anziane ma anche a coetanei con un forte legame con la tradizione – e ce ne sono, ce ne sono moltissimi. Alla fine di questa prima fase avevamo circa 900 canzoni.

Una media di 70 brani per regione, quindi.

Esatto. Ci siamo divisi in gruppi per ascoltarli tutti e capire quale fosse quello più adatto da portare sul palco. Abbiamo imbastito lo spettacolo con l’aiuto di Massimo Venturiello, la direzione musicale di Piero Fabrizi, mentre Tosca ha curato le voci. E dopo l’esordio a Officina Pasolini, Viaggio in Italia è diventato itinerante.

E dai palchi di Italia siete arrivati a Radio3.

Esatto, siamo andati in diretta su Rai Radio3 per il 70° anniversario della Costituzione. Una bella esperienza.

Continuerete a portarlo in scena?

Ci stiamo lavorando. Ci sono tante persone coinvolte, incastrare impegni e necessità di tutti non è cosa semplice. Ma ci stiamo applicando, vorremmo riportarlo in scena già questa estate. Di sicuro lavoreremo sulla stagione invernale.

Cos’è per te il legame con la terra?

Vivo in un piccolo borgo di 100 abitanti, sono cresciuto con i canti popolari e questo spettacolo è molto legato al territorio. A primo impatto sembra un’opera della Lega Nord (ride, ndr). Le regioni, le radici… sai, molto nazionalista. In realtà ci siamo accorti che i dialetti e le musiche sono influenzate dai paesi stranieri. Per esempio, nel dialetto delle Marche si sentono chiaramente gli echi dei Balcani. Viaggio in Italia racconta di un paese che per sua stessa natura è meticcio, mescolato. E’ la sua forza e bellezza: e alla fine, più che un viaggio in Italia, si rivela un viaggio nel mondo.

Dallo spettacolo nasce il collettivo Adoriza, dalle voci greche di “canto” e “radice”. Su cosa lavorerete?

Al momento siamo concentrati su Viaggio in Italia, cerchiamo di inserirci in manifestazioni ed eventi legati in qualche misura al tema, ma l’obiettivo è portare in giro anche altri spettacoli, sempre sulla tradizione. La nostra impostazione è questa, e ci piace così.

Nelle tue canzoni si parla spesso di militanza civile. Nell’era del culto della velocità e del cambiamento, uno spettacolo sulle radici popolari è una chiamata all’impegno civico?

Ovviamente, è resistenza pura. Al momento il nostro pubblico è anziano, ma l’obiettivo è di estendere lo spettacolo ai giovani, avvicinarli a una cultura che altrimenti andrà persa. Come dicevo, a discapito delle apparenze, Viaggio in Italia non è il racconto di una chiusura territoriale ma dell’evanescenza dei confini. Parlarne è un’esigenza, soprattutto di questi tempi.

Nello spettacolo canti “Bella sei nada femmena”. Di cosa parla?

E’ una canzone che è stata riscoperta di recente grazie a Gastone Pietrucci, leader del gruppo La Macina. Rientra nel filone delle serenate, un ragazzo implora a una donna di affacciarsi alla finestra. Il problema è stato capirne la provenienza: dalla nostra ricerca risultava essere abruzzese, invece risalendo all’autore abbiamo scoperto che è marchigiana.

A proposito di riavvicinamento al dialetto, qualcosa si sta già muovendo. Nel circuito pop penso ai Nu Guinea, Liberato…

C’è un riavvicinamento al suono della lingua, quello sì. Ma non al senso. Molti parlano dialetto più come intercalare che come lingua a sé – ciò che di fatto è. Andrebbe trattato in modo poetico come ha fatto Pino Daniele, non come semplice slang. Tra i contemporanei che ne fanno ottimo uso penso a Gnut (cantautore napoletano, ndr), che si avvale del poeta Alessio Sollo. Chi si accosta oggi ai testi dialettali sembra farlo più per moda che per amore. In ogni caso, artisti come Liberato o i Nu Guinea sono una chance: chissà che qualcuno, ascoltandoli, non scopra un interesse che desidera approfondire.

Foto di cover facebook: Adriano Natale

Federica Cucci 20/06/2019