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Il regista Stefano Incerti racconta il suo spettacolo “La Reggente” in scena al Teatro Brancaccino

Andrà in scena dal 12 al 15 ottobre, al Teatro Brancaccino di Roma, "La Reggente", spettacolo di Fortunato Calvino, con Elena Russo, Salvatore Striano, Luigi Credendino e la regia di Stefano Incerti. Una storia di potere, criminalità, vendetta e arroganza che ruota intorno alla figura della moglie di un boss che in assenza del marito ne fa le veci, divenendo la reggente nella gestione degli affari. Una protagonista forte e perversa, assetata di potere, specchio di un mondo che non conosce pietà.
La pièce, dopo aver riscosso in notevole successo a Napoli, approda nella Capitale, pronta ad offrire il ritratto di una realtà sociale attuale imperniata di venature noir, diretta con maestria da Stefano Incerti, noto e apprezzato cineasta, che in questa intervista sulle pagine di Recensito ci guida alla scoperta di una Gomorra versione teatrale.

Siamo abituati a vedere storie di potere malavitoso soprattutto al cinema. Com'è trasporle in teatro?

"Il teatro è una forma di rappresentazione non mediata. A differenza del cinema non c’è l’interpolazione data dalla scelta dell’inquadratura e tanto meno la possibilità di riscrittura offerta dal montaggio. Non è possibile utilizzare nessun trucco o espediente narrativo, la qualità e la verità delle interpretazioni sono l’unica cosa che conta. Anche per questo in un testo così duro, a tratti violento, la verosimiglianza è ancor più necessaria per evitare che lo spettatore pensi che l’attore stia simulando qualcosa; a me piaceva invece che gli interpreti “fossero” i personaggi, “vivendo sulla scena”, con un’identificazione che iniziarono a praticare molti attori americani, portatori con l’Actor’s Studio del Metodo Strasberg e di Stanislaski."

La Reggente Locandina

La Reggente” è una storia di vendetta, spietatezza con il punto di vista di una donna complicata, crudele, carnefice e allo stesso tempo vittima di un sistema perverso. Ci sono topoi che rimandano al teatro classico per raccontare una storia attuale?

"La Reggente è una donna spietata e senza scrupoli, inizialmente costretta a ricoprire il buco di potere lasciato dal marito ma piano piano ancor più assetata di sangue del suo uomo. Come una moderna Lady Macbeth sembra incarnare un modello ormai diffuso di contraddizione solo apparente tra efferatezza e mondo femminile. O di una reincarnazione partenopea del mito di Medea, scaltra e in grado di ordire terribili inganni pur di ordire una spietata vendetta amorosa. Mi piaceva poi innervare nella tessitura del testo un elemento cristologico (reso anche attraverso la scenografia) quasi sempre presente nei miei film che potesse arricchire il portato di perdono, in questo caso mancato, e senso di colpa."

È la sua prima regia teatrale? Perché ha scelto di portare in scena proprio questo testo?

"Ho iniziato come aiutoregista di Mario Martone e Toni Servillo, con i quali ho lavorato al cinema e a teatro come aiuto regista di Riccardo II, Rasoi ecc. ma ero convinto che fosse il Cinema il linguaggio che mi apparteneva, quello nel quale avrei potuto esprimermi con maggiore efficacia. Mi avevano pure offerto in passato di dirigere delle pieces teatrali ma non avevo trovato mai il testo giusto quello la cui sola lettura mi emozionasse. Quando Fortunato Calvino mi mandò il copione ero convinto che volesse da me un contributo filmico o un lavoro sulla riduzione cinematografica. Il testo è ipnotico, avvolgente come una spirale sempre più stretta e quasi come un noir, è una parabola discendente causata dalla inopportuna e fatale perdita di controllo. L’amore in questo caso è la rovina della protagonista. E il desiderio di vendetta, l’odio, il potere, come in un moderno Shakespeare generano una triangolazione di psicologie affascinanti e terribili. Tutti temi a me cari. Stavolta non potevo dire no."

Che differenza c'è tra una Gomorra televisiva o cinematografica e una teatrale? Il palcoscenico si presta al racconto e alla denuncia di tali argomenti?

"Il teatro consente al pubblico di assistere ad uno spettacolo sempre diverso, mai uguale: vivo e vibrante. Amo il cinema che fa pensare, quello che affronta in profondità le psicologie dei personaggi, magari attraverso una partitura fatta di pochi dialoghi e molti silenzi. Il teatro invece è il mondo della Parola. Quello che non cambia è il desiderio di evocare sensibilità e psicologie: non è la dinamica esteriore del potere quella che mi interessava esplorare ma la interiorità dei personaggi. Metterli sotto pressione e osservarne la maniera in cui cercano di combattere per la sopravvivenza. Il testo di Fortunato Calvino, poi, un po’ come mi era successo al cinema con L’uomo di vetro, permette il racconto non solo della degenerazione della gestione malavitosa del potere ma anche l’affascinante cortocircuito esistente tra potere criminale e fragilità psichica della protagonista che non regge alla pressione improvvisa cui è sottoposta e piano piano impazzisce."

Registicamente come hai impostato il personaggio di questo boss femminile? Quale è stato il tuo lavoro sugli attori?

"Abbiamo lavorato a lungo sulla costruzione dei personaggi, che attraversano nel breve spazio della durata dello spettacolo gli stati emotivi più opposti. La scena è scarnificata. Ed anche lo spazio scenico si svela al pubblico piano piano. La luce di Cesare Accetta è tagliente come la fotografia di matrice espressionista di molti noir del periodo anni ’40. Perfino le azioni sono molto essenziali, rigorose, come se i personaggi dovessero diventare pedine di una scacchiera. Il modo in cui si avvicinano o si allontanano corrisponde al fare campo cinematografico, e l’alternarsi di totali e primi piani insieme al ritmo scandisce il testo come un film dal vivo. I tre attori scelti proprio per la loro provenienza dal cinema mi hanno consentito di dare un maggiore realismo, portano se stessi, e l’autenticità di quanto mettono in campo vale più di qualsiasi tecnicismo. Senza frenare l’emotività si svuotano di una parte di vita e la rovesciano attraverso il testo con una forza spesso rabbiosa. I caratteri molto forti degli interpreti hanno talvolta reso anche particolarmente faticosa la lavorazione ma il risultato, credo sia sorprendente e la tensione palpabile."

Spettacolo noir, di azione e sentimenti. Che tipo di relazione si instaura tra i protagonisti?

"Come nei film più riusciti perché le psicologie sono ricavate da dinamiche mai dette o enunciate, anche qui la forza del testo sta nel Sottotesto, ovvero in ciò che che i personaggi pensano realmente a differenza di quello che poi dicono o fingono di pensare. Quindi la linea sottile sta nel permettere allo spettatore di immedesimarsi nei ragionamenti spesso perversi, quasi condividendone la logica, trovando un’empatia con mondi cosi diversi dal nostro perché se ci trovassimo al loro posto forse ne imiteremmo le azioni pur così deviate. Non c’è un taglio sociologico, non c’è una denuncia nel testo. Il testo racconta una storia e sono solo gli effetti di quella storia che vanno condannati. L’autore ed il regista sono solo un mezzo di rappresentazione di una Fabula. Anche se il dramma a teatro è molto più efficace di qualsiasi testo sociologico perché non cerca soluzioni, non si interroga sulle cause, ma parla al cuore dello spettatore e quindi può raggiungere corde emotive sicuramente più profonde."

Il vero protagonista può essere definito la malavita? Il teatro, il cinema, l'arte possono essere uno strumento di denuncia e soprattutto possono essere armi per combattere efficacemente la criminalità organizzata?

"Il teatro, il cinema, la narrativa non possono essere armi. Sono strumenti di crescita, di curiosità, di apertura vitali. Liberano la testa, come diceva Fassbinder. Servono a renderci liberi da condizionamenti e dotarci di una consapevolezza, quella si in grado di distinguere il Bene dal Male, e da spingerci a batterci per una società migliore, più giusta in cui sia premiato il merito e non il rapporto criminale che come dice la Reggente si cela anche “dietro le giacchetelle sempre in ordine”. Il potere malavitoso ormai è ovunque e non va più cercato solo tra camorristi di stile ottocentesco ma anche in gruppi finanziari spesso più spietati dei boss."

È la prima volta che questo spettacolo giunge a Roma. Cosa speri possa arrivare alla platea romana?

"Uno spettacolo funziona se raggiunge con le emozioni che mette in campo il cuore dello spettatore di qualsiasi latitudine. E le dinamiche che rappresenta La reggente sono universali e senza tempo. Spero che arrivi la forza delle interpretazioni perché normalmente il teatro mette in scena testi borghesi, rassicuranti, talvolta polverosi ed invece volevo che La reggente fosse una botta nello stomaco."

Progetti futuri?

"Lavoro a più progetti, l’unica cosa in comune è che sono molto diversi tra loro. Mi piace cambiare linguaggio e stile, ripetermi mi annoia. Quando farò due cose simili vorrà dire che non trovo più lo stimolo per rinnovarmi e allora probabilmente mi fermerò. C’è ancora così tanto da leggere e da guardare…"

Maresa Palmacci 11/10/2017