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Signorotte: intervista all’attrice Elisabetta Mandalari

Dal 2 al 5 maggio, allo Spazio 18b, debutta in prima nazionale assoluta la tragicommedia Signorotte, scritta e diretta da Massimo Odierna e interpretata da Viviana Altieri, Elisabetta Mandalari e Sara Putignano. Protagoniste sono Ada, Ida e Beta, tre amiche di vecchia data che, trascorsi molti anni dal loro ultimo incontro, si ritrovano al funerale del marito di una delle tre. Tra loro si innesca un fitto dialogo, un viaggio a ritroso tra ricordi cupi e promesse fatte che rivelerà un passato nero, violento e ambiguo. Abbiamo incontrato l'attrice Elisabetta Mandalari che in Signorotte interpreta Beta.

Come descriveresti il tuo personaggio?

“Dai vari flashback che caratterizzano lo svolgimento della pièce, viene tratteggiato un personaggio con una situazione familiare problematica e una vita complessa, una donna che ha dovuto arrangiarsi e fare tutto da sola. Più in generale, Beta ricorda le signore romane dei quartieri popolari: donne molto dure, pragmatiche e concrete che hanno vissuto una realtà di altri tempi, quando le persone che incontravi per strada potevano diventare compagne di vita. È un personaggio che, pur abitando nel nostro immaginario collettivo, esiste anche nella realtà. Passeggiando tra i banchi di un mercato rionale, per esempio, è possibile ritrovare nelle persone mille sfumature di Beta".

Cosa contraddistingue Beta dagli altri personaggi?

“Tra i tre personaggi Beta è quella che nei momenti di debolezza o di difficoltà cerca di sollevare il morale delle amiche, rivelando una grande capacità di ascolto e una predisposizione a entrare in empatia con il prossimo. Inoltre, è nettamente più pragmatica, è una persona rivolta alla concretezza. Mentre Ada e Ida hanno la tendenza a voler vedere le cose migliori di quanto siano nella realtà, Beta è diretta e dice le cose così come stanno”.

Quali sono invece le somiglianze?

“Avendo in comune l’età, condividono le debolezze e le insicurezze che possono nascere nelle donne che hanno superato i cinquant’anni. Guardandosi indietro, i tre personaggi fanno un bilancio del proprio vissuto considerando i fallimenti e gli amori perduti. Rivolgendo lo sguardo al presente, combattono contro le tipiche difficoltà dell’età che avanza e contro tutte le fragilità legate all’aspetto fisico e morale”.

La locandina dello spettacolo, con il titolo squarciato da un coltello il cui manico termina con un rossetto, suggerisce un’alternanza tra registro comico e registro drammatico?

“Sì, è tipico della scrittura di Massimo che è surreale. Tuttavia nello spettacolo, più che sfumature comiche vi sono situazioni paradossali che si alterano a momenti drammatici. Il loro stesso incontro s’inscrive in una situazione profondamente dolorosa, ossia il funerale del marito di una delle amiche”.

Nel comunicato stampa il regista Massimo Odierna afferma: “Ad una povertà di mezzi corrisponde un eccesso espressivo”. Come hai reso a livello interpretativo questa indicazione?

“Con una recitazione non asciutta e semplice ma fortemente esteriore. Portando sulla scena un personaggio grottesco, l'interpretazione è sopra le righe ed esasperata”.

La povertà dei mezzi può diventare uno stimolo creativo?

“Sì. Una povertà di mezzi economici stimola la capacità di mettere in gioco la fantasia per trovare soluzioni creative ed efficaci, capaci di dar vita allo spettacolo. Le scelte stilistiche e scenografiche devono inoltre tener conto del luogo in cui si svolge la rappresentazione. È fondamentale sapersi adeguare allo spazio e capire come il pubblico possa godersi al meglio lo spettacolo”.

Elisabetta MandalariSignorotte è l’ultimo capito di Disalogy- La trilogia del disagio. Qual è il disagio affrontato nella pièce?

“In Toy Boy, che ho visto da spettatrice, il disagio è quello latente nel rapporto di coppia, uno stato d’animo legato ai compromessi che ognuno di noi fa quando non è più solo. In Posso lasciare il mio spazzolino da te?, dove ho partecipato alla realizzazione del personaggio femminile, è descritto un disagio generazionale che riguarda i giovani di oggi, costretti ad affrontare problematiche come il lavoro e la disoccupazione, situazioni che inevitabilmente si ripercuotono anche nella vita di coppia. In Signorotte, invece, il disagio è quello che accompagna le tre protagoniste nell’arco della loro vita: dall’adolescenza con i primi amori all’età adulta con le sue amare delusioni”.

Signorotte si rivolge a un pubblico prevalentemente femminile?

“È indubbio che un pubblico femminile possa entrare più facilmente in empatia con gli argomenti di Signorotte. I temi affrontati sono così universali che ogni donna, di ogni età, si può immedesimare nei tre personaggi. Tuttavia, lo spettacolo non esclude il pubblico maschile. Gli uomini possono riconoscere in Ada, Ida e Beta le donne che hanno fatto o che fanno parte della loro vita. Oppure possono ritrovarsi negli atteggiamenti maschili descritti dalle tre protagoniste. Nei loro racconti, infatti, gli uomini sono sempre al centro delle loro gioie o delle loro sofferenze”.

Oltre al disagio, qual è un altro tema molto importante?

“Il sentimento di amicizia che lega le tre donne e la forza dell’unione che determina il loro equilibrio. Essendosi perse di vista per un lungo periodo, sono costrette a rivivere quanto è successo nel tempo in cui non si sono frequentate, ma dal nuovo incontro recupereranno il loro patto di amicizia e ritroveranno la forza per affrontare la vita in maniera diversa”.

Nel tuo background hai studiato danza, spaziando da quella classica a quella contemporanea. Quanto è importante nel tuo mestiere d’attrice la consapevolezza del movimento che si acquisisce con lo studio della danza?

“Per me è fondamentale. Anzi, penso sia il mio punto di maggior forza. Quando sono in scena, sono estremamente consapevole di ogni movimento che faccio ed arrivo a controllare ogni parte del mio corpo, persino la posizione del mignolo. Questa consapevolezza deriva da tantissimi anni di danza, seguiti da un diploma in coreografia e dall’insegnamento di movimento e yoga. Credo sia importantissimo avere coscienza del proprio corpo sulla scena perché è la prima immagine che si dà di sé, ancor prima della recitazione”.

Silvia Mozzachiodi