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Viaggio in Italia. Cantando le nostre radici: Recensito incontra Sara Franceschini

Viaggio in Italia. Cantando le nostre radici è un progetto nato dagli incontri sulla musica popolare, a cura di Tosca, Felice Liperi e Paolo Coletta, svolto con i giovani artisti del Laboratorio di Alta Formazione della Regione Lazio, l’Officina delle arti Pier Paolo Pasolini. Il laboratorio, durato alcuni mesi, è stato messo in scena come spettacolo, per la regia di Massimo Venturiello, prima nel teatro di Officina Pasolini, poi, in occasione dei 70 anni della Costituzione Italiana, in diretta su Radio Tre. Con la fine dell’esperienza, il laboratorio è diventato il collettivo AdoRiza, che ha inciso un album. Il disco, registrato presso Officina Pasolini e pubblicato da Squilibri Editore, è prodotto da Piero Fabrizi che ha curato gli arrangiamenti, valorizzando al massimo il lavoro, che ha vinto la Targa Tenco 2019 nella categoria Album collettivo a progetto.
Recensito ha incontrato Sara Franceschini, una dei sedici interpreti, che ci ha raccontato la sua esperienza e che la cosa più difficile sia scegliere.

Ci racconti la tua esperienza nel laboratorio e che importanza ha avuto per il tuo percorso?
C’è stata una prima fase di lezioni storiche ed etno-musicologiche e poi, per diversi mesi, abbiamo fatto ricerca. Ѐ stato un lavoro lento, di cui non si vedeva la fine e questo è il motivo per cui l’arrivo è stato come la conquista di una vetta. Abbiamo lavorato per aree geografiche: ascoltavamo 70 brani per ogni Regione, ne selezionavamo 30, poi 5 e poi dovevamo sceglierne 1, escludendo quelli già molto noti. In greco krisis significa scelta e noi di crisi ne abbiamo avute tante. Scegliere la serenata romana, ad esempio, è stato quasi straziante (ce n'erano di bellissime) e abbiamo agito emotivamente, partecipando tutti alla stesura di ogni parte del progetto. Questa esperienza mi ha fatto inevitabilmente crescere.

Com’è stato lavorare con tanti artisti per un progetto comune?
Ѐ stato bellissimo. L’aspetto numerico può portare alcune difficoltà nell'allestimento, ma il progetto lo abbiamo scritto insieme, e la regia e l'arrangiamento dei brani sono cuciti su di noi come un abito. Aver lavorato tanto insieme, sin dalla fase di stesura, ha reso il progetto più consapevole poi sul palco. All’inizio non sapevamo dove saremmo arrivati, ma ci siamo affidati a persone di grande esperienza.

Come si svilupperà il progetto? Che futuro ha?
Il laboratorio è nato a Officina Pasolini, ma il progetto era talmente appassionante che non poteva finire lì. Come AdoRiza, abbiamo portato avanti lo spettacolo, producendo alcune date romane importanti: al teatro Marconi ci siamo misurati con un pubblico che non ci conosceva, ci siamo messi alla prova, con buoni risultati. Poi è uscito il disco, che abbiamo presentato all’Auditorium Parco della Musica il 24 aprile con un concerto sold out. Infine, è arrivata la vittoria della Targa Tenco! Il nostro obiettivo è quello di portare questo spettacolo in giro per l'Italia, e anche all'estero, per farlo conoscere il più possibile.

Da romana, sei riuscita a mettere qualcosa della tua tradizione popolare nel lavoro comune?
Io non canto brani romani nello spettacolo, ma conoscevo bene il repertorio che stavamo trattando e da romana la parte più difficile è stata proprio scegliere tra le serenate della mia tradizione, a cui sono molto legata. Il lavoro era guidato da Tosca, che è un'interprete romana d'eccellenza: il confronto con lei è stato fondamentale ed interessantissimo, perché ci ha guidato portandoci dritti al cuore di questo meraviglioso repertorio e fornendo preziosi strumenti di valutazione.

Ninne nanne è una ninna nanna che ne incrocia tre: ne conoscevi già qualcuna?
Anche se i testi si somigliano, ad esempio ricorre spesso il tema del lupo, queste in particolare non le conoscevo. Avevamo registrazioni di voci anziane, era a tratti difficile anche capire le parole, alcuni erano testi mutanti, alcuni, in zone limitrofe, si assomigliavano. Non è stato semplice confrontarli o trascriverli.

Potremmo dire che è stato quasi un lavoro filologico...
In alcuni casi è stato proprio così. Ad un certo punto abbiamo unito due brani, Bella ci dormi e Qifti: ci siamo accorti che avevano la stessa linea melodica, anche se i testi erano differenti. Di Qifti non avevamo il testo originale ed abbiamo chiesto ad alcuni gruppi Arbëreshë: ci hanno mandato moltissimo materiale.

Dimme na vota sì è la dichiarazione d’amore di un innamorato che non ha vergogna di esprimere il suo sentimento: perché a cantare questa canzone sono proprio tre donne?
Il brano è naturalmente nato come intreccio di più voci femminili. L’amore è universale e anche se era una dedica maschile, abbiamo provato comunque a comunicare questo sentimento: per noi una voce femminile era in grado di farlo. Io sono orgogliosa di cantarlo.

Cosa trovi di unico nell’uso del dialetto?
Ciò che sento di più è la forza comunicativa. Le parole di questi canti possono essere tradotte in italiano, ma non hanno la stessa forza. Se traduco rendo il significato, certo, ma se te lo dico in dialetto ha una forza diversa. Il dialetto è nudo, antico, autentico. Noi abbiamo cercato di includere anche minoranze linguistiche, per me sconosciute: eppure anche quando non capisci, il carattere diretto del dialetto ti fa arrivare il senso del sentimento che c'è dietro a quelle parole. C’è qualcosa di ancestrale che il dialetto riesce ad esprimere. Secondo me, chi ascolta il disco riesce ad avere questa percezione.

Laura Caccavale 28/07/2019