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Recensito incontra Valeria Perdonò, in scena al teatro Brancaccino con il monologo “Amorosi Assassini. Facciamo finta di niente dai…”

Da giovedì 16 marzo fino a domenica 19 Valeria Perdonò sarà in scena al teatro Brancaccino di Roma con lo spettacolo “Amorosi assassini. Facciamo finta di niente dai...”, all’interno della rassegna al femminile “Una stanza tutta per lei”. Un monologo, o meglio un dialogo a suon di musica tra l’attrice e Marco Sforza, cantautore e musicista, che la accompagnerà con il pianoforte e il clarino.

Valeria fin da piccola si è avvicinata al mondo dello spettacolo, prima con la danza, poi con l’Università, dove hai studiato Scienze della Comunicazione e infine con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”.
“Sì, posso dire di aver sempre fatto questo nella vita. Sono stata fortunata a nascere in un tempo in cui ancora ci è concesso seguire le nostre passioni. Amo il teatro a 360º, per questo prima di intraprendere la strada della recitazione ho ValeriaPerdono02voluto studiarlo come strumento di comunicazione e ho lavorato ad una tesi in organizzazione dello spettacolo. L’Università a Milano è stata importante per il mio percorso formativo e per la mia crescita personale. Credo siano stati tre anni fondamentali per assumere una maggiore autonomia ed essere più consapevole di ciò che volevo diventare. Una volta arrivata alla “Silvio d’Amico” ho avuto la possibilità di apprendere da tanti maestri e professionisti, come Lorenzo Salveti e Luca Ronconi, ma senza dubbio quello a cui resto ancora molto legata è Francesco Manetti”.

Danza, recitazione, ma anche canto. Nei suoi spettacoli capita spesso che la narrazione teatrale si fonda con la melodia.
“Ho sempre amato cantare e molto probabilmente gli anni di danza hanno contribuito a sviluppare il mio senso del ritmo. Prima di arrivare in Accademia non avevo mai pensato però di farlo professionalmente. Credo molto nel supporto che la musica può dare alle parole recitate. Quando le note musicali si fondono con le parole ciò che sta accadendo sul palco inevitabilmente assume toni più distesi e tra l’attore e il pubblico si crea una stretta empatia”.

Da dove nasce lo spettacolo “Amorosi Assassini. Facciamo finta di niente dai...”?
“Parecchi anni fa sono stata contattata da Il telefono Rosa di Mantova per partecipare ad un reading in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Per tale evento ho scelto di portare un estratto del libro “Amorosi Assassini”, edito da Laterza, in cui venivano raccontati fatti di cronaca. Il monologo, che oggi ancora porto in scena, nasce da quel reading, e parte dal caso di Francesca Baleani per arrivare a parlare in generale della violenza di genere, cercando di dare un messaggio positivo. Non è mai stata mia intenzione, infatti, fare solo un excursus delle morti, per questo ho scelto la storia della Baleani, sopravvissuta per miracolo alle botte dell’ex marito. Una storia di forza e tenacia, l’unica del libro di Laterza a finire bene. La violenza di genere oggi non è solo fisica, ma appare anche in alcuni stereotipi del nostro linguaggio, duri a morire. Credo però che purtroppo una responsabilità ce l’abbiamo anche noi donne, perché spesso siamo le prime ad incorrere in una serie di autocensure e autopregiudizi”.

Nonostante il tema del femminicidio sia oggi molto trattato e sia in crescita il numero delle donne che denunciano i propri aguzzini, la violenza di genere è ancora lontana dall’essere vinta. Cosa può fare il teatro?
“La strada purtroppo è tortuosa, perché siamo davanti ad un problema culturale. Il teatro non deve dare risposte, ma cercare di raccontare storie attraverso una persona viva e vera, che può farsi testimone diretto di ciò che succede intorno a lei. I fatti di cronaca del libro di Laterza sono una cosa se letti sul giornale, ma possono assumere contorni completamente diversi se raccontati a teatro. ValeriaPerdono03Credo che uno spettacolo possa lasciare qualcosa in chi partecipa, possa aprire un piccolo germe di riflessione nello spettatore, che ovviamente non deve essere un uditore passivo. Per questo quando ne ho la possibilità, dopo i miei spettacoli, mi piace spesso intrattenermi con il pubblico e dare la parola ad esperti per aprire dibattiti interessanti sulle tematiche, raccontate in scena. La cosa bella è constatare ogni volta che c’è desiderio nelle persone di confrontarsi e raccontare magari la propria storia personale”.

Non è la prima volta che sul palco riflette sulla situazione femminile attuale.
“Sì, sono molto attiva su questo tema. Credo che un’attrice non possa non farsi domande su chi eravamo, chi siamo e chi saremo in quanto donne. Qualche anno fa scrissi un monologo intitolato “Femminile”, poi per caso arrivò la partecipazione ad un VDay nel 2012 al teatro Quirino di Roma e infine l’anno scorso con molto piacere ho partecipato alla tournée “Ferite a morte”, organizzata da Lella Costa e Serena Dandini. Penso che la violenza sulle donne sia un argomento talmente al centro della nostra vita quotidiana, che non possiamo ignorarlo e far finta che non esista. Bisogna parlare alle donne, senza dubbio, ma anche agli uomini”.

Cosa vuol dire essere donna e attrice oggi?
“Dobbiamo essere consapevoli di come siamo arrivate ad essere ciò che siamo. Ricordarci che fino a pochi anni fa neanche votavamo e che nulla ci è dovuto. La strada da fare per ottenere una nostra autonomia culturale è ancora lunga, ma credo che chiedersi in che modo possiamo arrivare a stare sullo stesso piano dell’uomo, sia già un ottimo presupposto per andare avanti. Per quanto riguarda il teatro, questo nasce come un’arte visiva, ma spetta a noi attrici combattere contro lo stereotipo, che ci vuole solo belle, ma prive di intelligenza. Siamo donne, ma prima di tutto siamo esseri pensanti”.

Il teatro è in crisi e il mestiere dell’attore è sempre più difficile. C’è un consiglio che si sente di dare alle nuove generazioni che si approcciano a questo mondo?
“Siamo in una fase di cambiamento. Il vecchio sistema è in crisi, ma forse è proprio questo il momento più adatto per veicolare messaggi di valore attraverso la recitazione. Se nel 2017 il teatro non è ancora morto è perché c’è la necessità di condividere esperienze, raccontare storie, capaci di creare un rapporto diretto con il pubblico”.

Eleonora D’Ippolito 15/03/2017

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