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Recensito incontra Simone Perinelli, anima di Leviedelfool

Il 7 marzo al Teatro India va in scena “Requiem for Pinocchio”, spettacolo della “Trilogia dell’Essere”, inizialmente programmata al Teatro dell’Orologio con la Compagnia “Leviedelfool”. Il suo autore e interprete Simone Perinelli si racconta a Recensito.

Simone,“Leviedelfool” nasce nel 2010 a Roma come compagnia teatrale e da allora porta in scena i suoi spettacoli in Italia e all'estero. Ma come si delinea il tuo percorso artistico e come giungi a questo traguardo?
“In realtà sono partito dalla musica. A vent’anni ero un chitarrista provetto. Studiavo musica otto ore al giorno, suonavo con più di una band e quando non suonavo ero chiuso in qualche locale di Roma ad ascoltare i musicisti che si esibivano dal vivo. Credo che tutto sia iniziato lì, con i primi struggimenti e i primi dilemmi che, poi, mi hanno portato a quel corto circuito che è stato l’incontro con il Teatro. Suonare o eseguire musica non mi bastava. Io volevo comporre e suonare la mia musica.
Quando sono salito su un palco senza strumento in braccio ho sentito che non c’era nulla che non potessi fare. Potevo anche suonare a occhi chiusi come certi musicisti formidabili. Il corpo, la voce e l’immaginazione erano diventati i Simone2miei strumenti, la regia, l’arrangiamento. Stavolta la musica ero io. Potevo essere ovunque: sul palco e contemporaneamente in platea e dietro le quinte. Il palcoscenico diveniva l’amplificatore di me stesso. A questo primo approccio con il teatro sono seguiti la formazione e i primi lavori come attore.
“Leviedelfool” nasce dalle prime cose scritte su un quaderno che negli anni si è esaurito ed è stato rimpiazzato con tanti altri. Questa fu l’occasione di costruire un’identità, un pensiero teatrale. Per il resto, non ho mai più smesso di lavorare, di avere idee e di fare teatro con tutta la passione e soprattutto l’ispirazione di cui sono capace. Ancora oggi in teatro non ho perso quel vizio di trovare un senso solo suonando la mia musica”.

Come nasce il rapporto con Isabella Rotolo e come definiresti il vostro sodalizio artistico? Quale plusvalore apporta la sua consulenza artistica ai vostri spettacoli?
“Isabella Rotolo è l’emisfero cerebrale sinistro di Leviedelfool, l’anima razionale della compagnia. Non riesco a immaginare la strada fatta sino ad ora senza il suo contributo e la sua presenza. Il nostro sodalizio non si può definire con un solo aggettivo, Isabella si occupa di un’infinità di aspetti che vanno dall’organizzazione alla comunicazione. La sua consulenza è davvero un valore prezioso per i nostri progetti grazie alla sua formazione perché oltre a possedere una spiccata sensibilità artistica è anche una straordinaria conoscitrice di Teatro. Averla sempre come prima spettatrice di uno spettacolo significa misurare con un termometro la drammaturgia e la messa in scena degli spettacoli quando non sono ancora né idee né forme. Abbiamo un rapporto autentico e per lo sviluppo di ogni progetto ci consigliamo le migliori strade possibili”.

La compagnia ospita artisti anche non provenienti dal teatro e nei vostri spettacoli c’è sempre una interdisciplinarietà. In particolare, il vostro teatro risulta essere molto fisico e notevole importanza è data, soprattutto, alla mimica e al corpo in movimento. A cosa è dovuta questa scelta?
“Spesso scelgo collaboratori esterni perché mi affascinano i risultati che si ottengono quando si mettono in campo delle forze provenienti da ambiti lontani, che non portano con sé i vizi e i pregiudizi del “mestiere”. Scelgo la contaminazione come metodo di lavoro. Mi sforzo sempre di collaborare senza prendere decisioni inderogabili. In generale, preferisco gli artisti che lavorano con le immagini e amo quei tecnici che, avendo capito che uno spettacolo è anche un gioco effimero e inutile, col teatro “sanno giocare” ma con la massima concretezza e inventiva. Per quanto riguarda la fisicità del nostro teatro, sono sempre stato affascinato da quelle figure teatrali come il fool o il clown che sul palco parlano ancora prima di aprire bocca. Credo che il corpo sia il primo a parlare, a raccontare la storia. La voce è solo l’ultima ruota del carro”.

simone3"Requiem for Pinocchio" è un processo al burattino di Collodi che reclama un "ritorno allo stato naturale delle cose" e rifiuta un'umanità in cui la vita si riduce a mera sopravvivenza. Questo spettacolo vuole semplicemente riflettere la nostra società attuale o è un processo all'umanità stessa?
“Si tratta di uno spettacolo che contiene un significativo insieme di tematiche. Sicuramente è un processo all’omologazione. Il tormentato burattino lotta per tutta la durata della fiaba per diventare “qualcos’altro” da sé e lo fa ascoltando i consigli del grillo e della buona fatina, tanto che alla fine ci riesce. Io continuo a pensare che il pezzo di legno parlante, nella sua eccezionalità, sia di gran lunga meglio del bambino in carne ed ossa. Il Pinocchio di Collodi è una tragedia senza lieto fine, amara e crudele. Una minaccia alla straordinarietà e forse proprio per questo, la fiaba più letta e studiata nelle scuole”.

La "Trilogia dell'Essere" fa partire la sua ricerca dall'esistenzialismo e dall'opera di Albert Camus. Quali sono gli aspetti predominanti di tale ricerca e in che modo si riescono a portare concretamente in scena temi così intimi?
“Quando senti l’esigenza di mettere in scena testi come “Caligola” di Albert Camus, non è soltanto perché ami quel testo, ma perché senti l’urgenza di dire qualcosa al mondo. Ciò che rimane è una serie di domande e la scoperta tangibile di quell’assurdo di cui è fatta la vita stessa. Negli anni abbiamo cercato di colmare quel senso di vuoto, dato proprio dall’assurdo con delle figure che ne hanno fatto la propria poesia: Pinocchio, Don Chisciotte, Van Gogh, Artaud e prossimamente Giordano Bruno.
Se guardo a ritroso noto come la figura del fool ci insegue incessantemente. D’altronde Il fool è ognuno e nessuno, è una proiezione collettiva e uno strumento d’autocomprensione. Egli ottiene dal sovrano la licenza di non essere più sé stesso, ma di riprodurre in sé la follia del sistema politico-sociale del quale, in quanto fool, non fa più parte. Proprio entrando in scena, ancora prima di parlare, il costume del fool ci racconta che esiste una possibilità: la simmetria dell’asimmetrico e in un modo o nell’altro mette ordine al disordine e riesce persino a nominare quell’assurdo. Ecco che la dimensione del fool ci ha suggerito come riempire quel vuoto lasciato da Camus e ha permeato tutti i nostri successivi spettacoli, consentendoci quella libertà drammaturgica e registica propria del buffone che lancia la sua sfida danzando in alto sulla corda, in bilico sui temi più urgenti, al di sopra della folla. Il fool è immaginazione”.

Roberta Leo 06/03/2017