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Recensito incontra Simone Perinelli: il 13 ottobre debutta "YORICK, un Amleto dal sottosuolo"

"C’è una linea che divide il cervello in due emisferi. Una linea che separa il bene dal male, il sano dal malato, ciò che è consentito dire e ciò che è meglio tacere. C’è una linea che è confine e divide le onde del mare: una linea che è frontiera. C’è una linea che separa il presente dal ricordo e c’è un confine in ognuno di noi che separa l’abisso dell’irrazionale dalle fortezze costruite dalla ragione. C’è una linea che separa i vivi dai morti. Amleto, atto V scena I. Un cimitero qualsiasi in Danimarca. Scavando la fossa per Ofelia viene ritrovato il teschio che un tempo fu Yorick, il buffone di corte di re Amleto. Svegliato dal “lungo sonno”, interpellato dal dramma, Yorick assiste dal sottosuolo allo spettacolo che si sta svolgendo proprio sopra di lui e intanto ci racconta il sottosuolo, il non visibile, ciò che si nasconde alla ragione umana, ciò che di solito riemerge nei sogni (...)".unnamed (3).jpg

Così Simone Perinelli presenta la sua nuova produzione teatrale, "Yorick", spettacolo prodotto dalla Fondazione Teatro della Toscana e da Leviedelfool, con il sostegno di Pilar Ternera / Nuovo Teatro delle Commedie e ALDES / SPAM!; un nuovo progetto che lo vedrà nuovamente unico protagonista sulla scena, un ritorno alle origini del suo modo di fare teatro, di scrivere teatro.
In attesa del debutto di "Yorick" previsto il 13 ottobre (replica il 14) al Teatro Era di Pontedera (ulteriori date in Toscana al Teatro Studio di Scandicci il 10 e l'11 novembre) proponiamo un'intensa intervista fatta a Simone Perinelli e a Isabella Rotolo (l'altra "metà" di Leviedelfool) ad opera di alcuni allievi del Master in Critica giornalistica (Francesco Costantini, Chiara D'Andrea, Silvia D'Anzelmo, Eugenia Giannone, Andrea Giovalè, Giordana Marsilio) in cui i progetti, le idee e le parole di Simone vengono raccontati, sviscerati, condivisi.

Partiamo dal tuo ultimo spettacolo, “Heretico” che è stato presentato in anteprima a Fabbrica Europa nel 2017 e ha debuttato al Festival delle 100 Scale: il tema dello spettacolo pone l’accento su un argomento molto forte e controverso. Come è stato recepito dalla critica ma soprattutto dal pubblico?

"Tirando una media delle repliche fatte finora, lo spettacolo ha avuto un alto gradimento soprattutto da parte del pubblico che si è sempre mostrato 31682913180_fe6dfc106c_o.jpgmolto coinvolto sia dalle tematiche trattate che dalla messa in scena dello spettacolo. Non sono mancate le polemiche e le disapprovazioni, ma credo faccia parte del gioco visto il tema e le corde che siamo andati a toccare. In generale però gli abbondanti applausi a fine spettacolo hanno sempre suonato come un senso di liberazione da un peso e questo basta a trasformare Heretico in un’occasione di festa partecipata dove si esalta la poesia a scapito del dogma. Gran parte della critica lo ha accolto bene; sono usciti articoli che hanno colto appieno il senso dell’operazione e i diversi livelli che lo spettacolo tiene insieme. C’è chi lo ha definito il libro nero del cristianesimo, una sorta di manifesto anticristiano, noi ci accontentiamo di sollevare delle domande piuttosto che dare delle risposte".

Come mai ha scelto volutamente una drammaturgia così semplice?

"Una delle cose che il teatro mi ha insegnato in questi anni è che la semplicità è un dono. In generale quando si punta il dito contro la religione, il rischio di fondarne una nuova è sempre dietro l’angolo e così mi è bastato mettere a confronto il mondo della chiesa, pieno di ghirigori, con la poesia dell’uomo nudo, quello più simile alla scimmia, per dar vita al cortocircuito che cercavo".

La ricerca del sacro è un elemento ancestrale che porta molte espressioni interessanti dell’uomo come la ritualità. Cosa vorrebbe sostituire all’elemento religioso?

"Per affrontare la nostra ricerca sul tema del sacro siamo partiti dall’etimologia stessa della parola la quale racchiude in sé tutto ciò che è separato. Racconta quella potenza che gli uomini hanno avvertitoIMG_4346 web.jpg come superiore a loro, lo sgomento e lo stupore che hanno provato difronte all’ignoto, dinnanzi a qualcosa che è da un lato da temere, come si può temere ciò che si ritiene superiore e che non si è in grado di dominare, e che dall’altro attrae, come si è attratti dall’origine da cui un giorno ci si è emancipati. La parola religione invece significa relegare, recintare, contenere. Tutte le grandi religioni monoteiste, e in particolare il cristianesimo, hanno realizzato nel corso dei secoli una grande operazione di contenimento della dimensione sacra, provvedendo a circoscriverne l’area, a delimitarla, a definirne le regole nel tentativo disperato di tenere sotto controllo il sacro e la sua ambivalenza. Così facendo le religioni non ci mettono in rapporto con il sacro bensì ce ne allontanano. Questo è l’elemento che vorremmo sostituire: recuperare la differenza tra sacro e religione per abbattere quelle costrizioni che abbiamo edificato e recuperare quella dimensione ancestrale di stupore e terrore che da sempre ci pervade difronte alla visione di un cielo stellato".

Passiamo a “Made in China”: come mai, secondo te, tra tutti gli artisti Van Gogh rappresentava al meglio l’idea della perdita dell’originale e la riflessione sullo smarrimento dell’uomo?

"La figura di Van Gogh oltrepassa di gran lunga la sua vita o il suo lavoro d’artista. Il paradosso che lo vuole come l’artista più riprodotto e di maggior fama dopo la morte e al contempo quello meno riconosciuto e più ignorato in vita ci sembrava il miglior punto di partenza per la nostra riflessione sullo smarrimento dell’artista e dell’arte. Pensare che in vita non sia riuscito a vendere altro che un solo quadro, tra l’altro uno dei quadri sconosciuti al grande pubblico, ovvero il vigneto rosso, mentre oggi su ogni frigorifero c’è una calamita con una delle sue opere ci ha dato la misura di questo paradosso. Oggi Van Gogh e Leonardo Da Vinci sono delle icone che racchiudono nell’immaginario collettivo il senso dell’arte, non a caso a Shenzen, vicino Hong Kong, esiste un intero villaggio di copisti dove si realizzano copie d’autore e ovviamente le opere più riprodotte sono “La Gioconda” e i “Dodici girasoli in un vaso”. Van Gogh però a differenza di Leonardo da Vinci appartiene ad un’epoca moderna dell’arte che ha portato alla scomparsa della figura del committente e vede l’artista nel suo continuo duello tra la ricerca di eternità e il fallimento. Tutto questo lo rende l’artista più rappresentativo di quel sentimento di malinconia che accompagna la feroce e febbrile ricerca di un’autenticità artistica in grado di lasciare un segno significativo nella storia dell’umanità e l’inevitabile azione dell’umanità su questo segno stesso, che ne fa irrimediabilmente carne da macello, restituendone solo una mera imitazione e un palpabile senso di vuoto".

IMG_5793.jpgUn Autoritratto non è altro che l’imitazione di noi stessi, proprio come i quadri riprodotti. Allo stesso modo, Made in China non è in fondo una riflessione sul teatro stesso come imitazione della realtà?

"Eduardo de Filippo diceva che a teatro la suprema verità è stata e sarà sempre la suprema finzione. In questa affermazione si racchiude la differenza tra autoritratto e imitazione di noi stessi, tra l’opera d’arte e la sua copia, tra teatro e realtà".

Lo spettacolo mette in relazione due mondi distanti: il celebre pittore olandese e la Cina. Un gioco di contrasti tra autentico/copia, eterno/ effimero, unicità/riproducibilità. Puoi parlarci di questa scelta?

"Le centinaia di lettere scritte da Van Gogh al fratello Theo, ai genitori, agli amici artisti - come Paul Gauguin, Georges Seurat, Paul Signac o Emile Bernard - e alle amanti, compongono il suo vero autoritratto. Non sono solo un modo per sfuggire alla solitudine e all'isolamento, ma soprattutto un pretesto per riflettere sul "ruolo dell'arte" o su "cosa significa la vita artistica", citando Dickens e Carlyle, Shakespeare e Delacroix. Le sue lettere sono la testimonianza di un genio, di un sottile pensatore, con una precisa visione del mondo, alla costante ricerca del senso dell’esistenza. Ci hanno lasciato un forte senso di malinconia. Abbiamo cercato di tradurlo nell’epoca in cui viviamo e si è trasformato nello sgomento lasciatoci dall’oggetto Made in China, quell’oggetto a basso costo che ci sembra essere la soluzione al problema ma che irrimediabilmente si trasforma nel problema stesso. Da questo accostamento “emotivo” sono derivate poi tutte le altre riflessioni sul rapporto tra ciò che è autentico e la sua copia, su ciò che è eterno e ciò che è caduco e tutti gli accostamenti tra l’”accanimento” operaio di Van Gogh, che si imponeva di lavorare otto ore al giorno tutti i giorni per raggiungere i suoi obiettivi artistici, e gli operai copisti di Shenzen che con gli stessi ritmi riproducono i suoi capolavori, tra l’ossessione che Vincent aveva sul come arredare la Casa Gialla e le regole del Feng Shui, tra la scommessa del grande pittore e l’implacabilità della Morra Cinese".

“Luna Park”: perché  proporre temi universali e domande esistenziali attraverso il linguaggio sincopato e febbrile, timido e fantasioso di un bambino che sogna?IMG_8202.jpg

"I bambini nuotano nella follia, i poeti smarginano dalla ragione. Noi tutti, di notte, mettiamo in scena il teatro della pazzia, liberando i sogni quando la ragione dorme. Il protagonista del nostro Luna Park, volendo essere un moderno Don Chisciotte, porta in sé tutti questi elementi: il bambino, come il folle, il poeta e il sognatore, non si affida alla ragione e al principio di non contraddizione per interpretare la realtà che lo circonda. Non si accontenta del fatto che una cosa è questo e non può essere altro e in questo modo lascia aperte tutte le vie possibili. In un momento storico dominato dalla perdita di senso e dei confini dell’umano, investito dall’eco della rivoluzione copernicana e del cannocchiale di Galileo, da uno sguardo oltre il finito, Cervantes crea Don Chisciotte per puntare il dito contro una realtà fredda ed ormai estranea, dove a un idealista – anche non pazzo – non resta che trincerarsi dietro la propria idea fissa. Crediamo in un’analogia storica tra il tempo di Cervantes e il nostro e attraverso questa lente abbiamo cercato di declinare quel che resta oggi di Don Chisciotte affidandoci ai temi del sogno, della fantasia, dell’ignoto, per portare alla luce quella che per noi è la coscienza umana, cercando di dar voce a quel desiderio di una condizione esistenziale diversa. Abbiamo raccolto quel sentimento di perdita dell’essere umano di fronte al cosmo e all’inevitabile ripetersi della storia perdendoci nel grande Luna Park che è la vita stessa cercando, come Cervantes, di destreggiarci e mettere a confronto una realtà triviale con una realtà sublimata, la parziale accettazione e il parziale rifiuto di entrambe, l'unione paradossale di una concezione realistico-razionalista con una idealistico-romantica, l'insanabile dualismo derivante dal fatto che l'idea è inattuabile nella realtà e la realtà irriducibile all'idea".

leviedelfool_made-in-china_025.jpgTi servi del teatro come strumento per raccontare delle domande universali: crede che attraverso la libera espressione artistica, poetica e metaforizzante, si possa aspirare ad avvicinarsi alle risposte?

"Sì, anche nel caso la risposta sia un’ulteriore domanda. Gli artisti sono in grado di elaborare visioni proiettate sempre un po’ più in là nel tempo e mai come in questo periodo storico abbiamo bisogno di percepire verso quale direzione l’umanità stia andando. L’espressione attraverso l’arte è quel che ci rende ciò che siamo su scala universale; Il 4 febbraio del 2008 dalla Terra è stata spedita via radio in direzione della stella polare il brano dei Beatles Across the Universe".

Quali legami narrativi e concettuali vedi tra l’attualità, spesso citata in chiave surreale, e le grandi storie dell’epica e della letteratura?

"Van Gogh, Giordano Bruno, Don Chisciotte o Pinocchio fanno parte di una nuova mitologia. Sono figure così radicate nella nostra cultura da agire immediatamente sul nostro immaginario. Ci piace servirci di questi nuovi miti come di punti di vista per mettere in crisi l’attualità e trampolini per superare la mera critica di quelle idee che regolano la nostra vita e che forse non sono più idonee ad accompagnarci nella comprensione di un mondo che si trasforma anche nostro malgrado".