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Recensito incontra Rancore: un viaggio introspettivo attraverso il labile confine tra sonno e veglia

Tarek Iurchic, in arte Rancore. Classe '89, inizia la sua carriera in tenera età, a soli 14 anni, e da allora è stata un'escalation di successi: dai primi freestyle, ai treni presi in giro per l'Italia, il primo disco in studio nel 2006, e un continuo desiderio recondito volto verso l'introspezione e l'auto-conoscenza. Il rap di Rancore non è fondato sulle classiche dinamiche denigratorie fini a se stesse, piuttosto è composto da una poetica che trae ispirazione dal bisogno di scavare a fondo nell'animo umano per scovarne i meandri bui e le incomprensioni più vivide. Il suo nuovo album, “Musica per bambini”, fuori dall'1 giugno 2018 per Hermetic/Artist First, è un continuo divenire tra il labile confine che separa la veglia dall'universo onirico. Tra un brano e l'altro c'è un incastro studiato al millimetro, come fossero tasselli di un unico mosaico che, unendosi, ricompongono reminiscenze passate, occasioni future e paradossi distopici in cui ci si barcamena senza sosta, cullati da un bagno di riflessioni che vanno a scandagliare le certezze di chi vive in superficie senza osservare i fondali dell'esistenza. Si tratta di un concept album in un periodo storico, il nostro, in cui la musica si fa attraverso i singoli, e l'idea stessa di "concetto" fa quasi paura. Ma Rancore, ancora una volta, dimostra che il rap non è il semplice riversare brutture senza una giustificazione, anzi, dimostra esattamente quanto le parole vadano scelte come se fossero selezionate per qualcosa di più grande, un messaggio “imbottigliato” e rigettato in mare alla scoperta di nuovi orizzonti e nuove anime da incontrare, in un oceano di iper informazione e libertà che forse ormai può definirsi libertinaggio.
Abbiamo scambiato due parole con Tarek, eccone il resoconto.

Il titolo del tuo ultimo album, "Musica per Bambini", è una chiara provocazione. Come mai lo hai scelto?
All'inizio c'era un velo di provocazione in questo titolo. Intendevo sottolineare appunto che in Italia si può fare solo musica per bambini, o che comunque ciò che viene divulgato di più o la complessità di alcuni messaggi scritti nelle canzoni sono apparentemente universali, ma nel concreto sfiorano spesso la banalità. Questo velo di provocazione viene anche spiegato nel disco, non è fine a se stesso ma è un modo per concedere un quadro del livello culturale italiano. Però il mio non è un lavoro che si basa su ciò che fanno gli altri, quindi è una provocazione fino ad un certo punto. Musica per bambini nasce anche dal desiderio di raccontare me stesso in un'ottica più grande, è un lavoro che cerca di tirar fuori, senza preamboli o peli sulla lingua, tutto quello che si ha dentro, facendo trapelare un universo interiore, alzando la voce se necessario, come se, appunto, fossi un bambino, idealmente parlando.

Pensi che quest'album possa rappresentare una catarsi?Rancore
Il bello dei dischi è che hanno anche dei difetti, in realtà. Quello che mi piacerebbe trovare è ancora dei punti d'ispirazione per fare sempre qualcosa di meglio, quindi sicuramente è un disco in cui sono cresciuto, in completo paradosso con il titolo, ma appunto, sperimentando cose nuove, più che essere un punto d'arrivo posso considerarlo un nuovo inizio.

In "Musica per bambini" è ricorrente il tema dell'incubo e del sogno. Che rapporto hai con l'universo onirico?
Con il sonno non ho un bellissimo rapporto, non dormo mai. Sicuramente non sono una persona che punta a dormire più possibile o che riesce a stare troppo tempo fermo, anche ora sto parlando con te ma sto anche camminando. Non riesco a riposarmi e rilassarmi, nonostante ne avrei decisamente bisogno. Di conseguenza quando dormo non ricordo frequentemente i sogni che faccio. Ho passato anni a non ricordare assolutamente i sogni che facevo, anzi per me di notte forse succede qualcosa di strano, mi rapiscono gli alieni, non so! (ride, ndr) Una cosa posso sottolineare però: non esiste la dimensione del sogno solo nell'universo che concerne l'andare a dormire. La inserisco sia nel sonno sia nella veglia: tutto ciò accade anche ad occhi aperti, ed è il motivo per cui nascono le canzoni, ed è questo il rapporto che non vede divisioni tra il momento in cui sei sveglio e il momento in cui dormi; forse in fondo sei sempre sveglio o forse stai sempre dormendo; il sogno non finisce mai, la fantasia può continuamente generare cose differenti in ogni momento.

Nel pezzo “Quando piove” c'è una poetica che si riassume nella frase “Le storie dei bambini mettono paura agli incubi”. Che tipo di bambino era Rancore?
Quando ero piccolo non ero troppo dissimile da come sono ora: ciò che vedevo lo utilizzavo per elaborare più storie possibili, in fin dei conti è ciò che faccio con la musica. Attraverso i testi che scrivo riesco a creare dei mondi, almeno per quello che riguarda la mia concezione di mondo! Di conseguenza anche da piccolo facevo la stessa cosa, e cercavo di vedere tutto da più punti di vista: “Quando piove” è il riassunto di una civiltà che è andata a vivere sotto gli alberi per paura che fuori piovesse, e pur di non mettere naso fuori dal bosco decide di vivere tutta la vita sotto gli alberi, fino a che le cose, ingigantendosi, lasciano prendere il sopravvento alle storie dei bambini che appunto terrorizzano gli incubi. Ciò che racconto in questo brano quindi è un mondo al contrario. È un frangente della realtà, e quando ero piccolo cercavo di fare la stessa cosa, guardare le cose da un altro punto di vista: questa cosa mi ha aiutato tanto.

Qual è il processo creativo dei tuoi brani?
Non c'è un reale processo creativo: ogni cosa ha un processo a sé, cambia a seconda di quello che sta per nascere; ci sono delle cose che necessitano di un percorso, e quindi di un sacrificio per crearle, ma secondo me ogni canzone ha necessariamente la propria genesi.

I produttori o le case discografiche ti hanno mai censurato?
No, non ho mai avuto enti così ristringenti da volermi censurare. Inoltre i tempi sono cambiati, attualmente nella musica ognuno fa ciò che vuole, purtroppo. Se apri Youtube ci sono una marea di persone che esprimono ciò che vogliono su ogni cosa: viviamo in un mondo in cui tutti possono dire tutto, e questo sembra quasi obbligatorio, quindi non credo che qualcuno possa censurare me, che tengo molto a soppesare ogni parola. Se dovessero mai censurarmi allora dovrebbero tappare la bocca ad un sacco di persone. Con tutta la violenza e il bombardamento a cui siamo sottoposti quotidianamente. Secondo me è finita l'era della censura, anzi, forse ci vorrebbero un po' più di anti virus nei confronti di tutte le fake news che girano in rete e non solo. Tutti gli estremi sono sbagliati: se c'è troppa censura diventa dittatura, però senza alcun tipo di filtro si rischia di degenerare dal lato opposto. A me comunque non è mai capitato di subire gli effetti di una censura, anche perché do significato e peso ad ogni singola parola.

Come ti collocheresti nel panorama del rap in Italia?
rancore3Ho dato svariati nomi a ciò che faccio, ma quello in cui più mi rivedo è “Ermetic-hip hop”, che è un modo ermetico di fare rap, ed è sicuramente ciò che più si avvicina al lavoro che faccio. Anche la mia concezione del mondo può essere riassunta in questo. Io mi pongo come rapper ermetico perché per comprendermi non ci si può fermare in superficie, alla prima cosa che si vede. Se tu sei capace di vedere quanto questa cosa sia profonda o quanto il rap italiano sia profondo allora potresti anche trovarci qualcosa di interessante per te, per la tua vita. È il motivo per cui faccio hip hop ermetico, che possiede molti contenuti nascosti, nel quale non trovi subito qualcuno che ti sta ponendo un'addizione naturale, ma c'è il continuo dubitare su qualcosa e per questo c'è da andare ancora più a fondo: mi piacerebbe che la mia funzione fosse quella di portare le persone ad andare più in profondità; non so se ci riesco, ma il mio tentativo è questo.

Cosa pensi del movimento trap?
Non penso nulla a dire il vero, niente di cosi trascendentale né di così interessante. Ci sono tante cose al mondo che non ho ancora visto, ci sono tante cose che devo ancora vedere e conoscere ma non conta il mio parere su certi aspetti. Questo è un fenomeno che non ha nulla di positivo e nulla di negativo, è qualcosa che potrà trasformarsi in un genere oppure potrà restare fenomeno che tendenzialmente poi scomparirà.

Che rapporto hai o hai avuto durante la tua carriera con il freestyle?
In realtà è stato il freestyle a spingermi sul palco, a prendere i treni in giro per l'Italia, a fare le prime sfide, e anche a conoscere rapper e collaboratori. Ho continuato a farlo fino a poco fa, andando anche in televisione su Mtv Split; però fondamentalmente quest'arte ha scandito del tempo durante il mio percorso, nonostante io mi sia sempre incentrato di più sui dischi e non sul freestyle. Ogni tanto ha delineato blocchi importanti nella mia vita, dagli inizi, sino alle vittorie in giro per l'Italia, per poi passare alla televisione, successivamente in altre sfide in cui mi sono inserito, per poi capire che il freestyle sia complementare al lavoro di scrittura di pezzi rap, perché un rapper deve saper dimostrare di fare anche questo.

Ho notato che in molti tuoi brani prediligi l'extra-beat; è un tuo marchio di fabbrica o ci sono motivi legati ad altro?
Non è un marchio di fabbrica, lo considero piuttosto un mezzo, è uno dei tanti veicoli che si possono utilizzare per costituire un album. È come un ingrediente contenuto in un menù con varie portate. Quando serve, va inserito. Se viene messo in quasi tutto il disco che acquisisce quel sapore di extra beat, allora significa che c'è qualcosa da dire che si lega proprio imprescindibilmente a questo ingrediente. Nel caso del brano “Beep beep”, questa tecnica è proprio la metafora del correre veloce: se si continua a scappare così è proprio per non farsi acciuffare dai mali. Ed è questa la metafora di "Beep Beep", che è talmente veloce da schivare ogni trappola di Wile E. Coyote. Quindi in questo caso la cosa interessante è che è un ingrediente che ha un concetto di base.

Cosa è cambiato dai tuoi primi album ad oggi?
Sicuramente è cambiato tanto sia in me come artista sia nella mia vita personale. La musica ha questa grande capacità di metterti alla prova, tanto da cambiarti dall'interno. La cosa particolare è che ho fatto molti sacrifici per seguirla, ho visto tante cose, e ho anche sofferto molto. Quando si parla di musica non si tratta soltanto di sfogo, salvezza o mezzo d'espressione; è diventato qualcosa di più grande, ne riconosco i punti di luce ma anche i punti oscuri. Consiglierei a chiunque voglia fare questo mestiere di stare attento, perché bisogna far musica coscientemente, e bisogna sapere che per farlo devi lavorarci tanto, perché è una cosa sacra e come tutte le cose sacre comprende un'enorme fatica. Ecco come sono cambiato, la musica è il mio ieri e il mio oggi, cambiamo insieme da più di dieci anni.

Cosa pensi della disparità numerica che c'è tra uomini e donne nel rap?
La disparità numerica tra uomini e donne nel rap deriva da un qualcosa di naturale, proprio perché i primi rapper erano solo uomini, e di conseguenza i primi a costruire la scena rap erano tutti di sesso maschile, quindi sarebbe stato difficile ritornare in pari numero. Bisognerebbe chiedersi perché i primi a farlo sono stati uomini. Il rap è una forma d'arte tendenzialmente distruttiva, che fa parte di un sistema che ci schiaccia, e questo atteggiamento demolitore è maschile e non femminile. La creazione è donna, la distruzione è prettamente dell'uomo. Questo è il motivo per cui sono più uomini a farlo che donne: il rap tende a disintegrare, anche con parole forti, le cose che non vanno bene. Sfonda le pareti, non apre le porte con le chiavi, che poi è ciò che farebbe una donna con la sua sensibilità. Non c'entra con l'essere maschi o femmine, è una modalità differente di operare in base al genere musicale in questione. Le donne che fanno rap utilizzano il loro lato maschile esattamente come gli uomini che fanno pop spesso utilizzano una sensibilità prettamente femminile. È giusto cosi, è lo yin e lo yang, tutto va mischiato, non vi sono divisioni nette, bisogna accettare questo equilibrio e questa complementarietà, che in genere diventa veramente espressione della natura e del mondo.

Giorgia Groccia 06/07/2018