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Recensito incontra Giorgio Pasotti all'Ariano International Film Festival

Giorgio Pasotti ci parla del suo “Io, Arlecchino”, un film omaggio alla Commedia dell’Arte e alla riscoperta delle proprie origini. durante la terza serata dell'Ariano International Film Festival.
Una grande carriera da attore, dagli esordi cinematografici a Hong Kong alla recente prova nel ruolo del poliziotto integerrimo in Nottetempo, Giorgio Pasotti, sulla soglia dei quaranta anni, debutta dietro la macchina da presa, con il film “Io, Arlecchino”, una storia universale sul recupero del rapporto padre figlio e sulla ridefinizione della propria identità. Il film distribuito in Italia nel mese di giugno ha già avuto un favorevole riscontro dal pubblico francese ed è stato venduto anche negli Stati Uniti.

Oltre al legame geografico con la maschera bergamasca di Arlecchino, perché hai deciso di inserirla in un progetto cinematografico?

Il mio film non è solo un omaggio voluto alla Commedia dell’Arte, che considero essere un patrimonio storico culturale di noi attori e della tradizione italiana. Il protagonista del film interpretato magistralmente da Roberto Herlitzka, ha preso ispirazione da Feruccio Soleri, attore dell’Arlecchino servitore di due padroni con la regia di Giorgio Strehler, un grandissimo interprete, che per tutta la vita ha portato in scena Arlecchino, il nostro più grande Arlecchino, il più famoso, il più conosciuto e anche il più prolifico. Detto questo, la mia operazione è stata quella di raccontare una storia, un rapporto di un padre e di un figlio che si ricuce, lo scenario sullo sfondo è la Commedia dell’Arte e tutte le maschere che la compongono. È una volontà, la mia, di descrivere la riscoperta delle proprie radici, non intese solo come appartenenza ad un luogo, ma anche a una cultura che è stata facilmente dimenticata; oggi, più che mai, è importante il passaggio, come di padre in figlio, dell’intero patrimonio culturale.

Come è nata l’idea di questa storia? Ci sono elementi autobiografici?

È una storia scritta da uno sceneggiatore inglese Maurice Caldera, sulla base di un soggetto che io avevo collaborato a scrivere. Non ci sono elementi autobiografici, non ho assolutamente un rapporto malsano con mio padre e nemmeno la Commedia dell’Arte mi appartiene, come esperienza lavorativa. L’autobiografico è un bastone tra le ruote, è difficile parlare delle cose che ti riguardano.

Davide Antonio Bellalba  05/08/2015

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