Claudio Cocino, nominato lo scorso 8 febbraio Primo Ballerino del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma, a distanza di due settimane, lascia ancora trapelare la stessa gioia di quella sera per il coronomento del sogno di una vita. Le parole del Sovrintendente Carlo Fuortes e l’abbraccio sincero della Direttrice del Ballo Eleonora Abbagnato al termine della prima rappresentazione de “La Bella Addormentata” sottolineano il fortissimo senso di appartenenza alla Fondazione capitolina. L’atteso riconoscimento è il traguardo di un percorso di studio e professionale di grande valore. Ma Claudio, con immensa umiltà, non da segni di divismo. Mostra di essere, piuttosto, un terreno fertile, di avere una mente totalmente aperta a nuove esperienze e un cuore grande e desideroso di restare un ballerino “italiano”.
Claudio, tu nasci artisticamente al Teatro dell’Opera di Roma dove studi fin da piccolissimo e inizi la tua carriera professionale. Ma, guardando indietro nel tuo passato, ricordi un momento preciso in cui hai deciso di consacrare tutta la tua vita alla danza o questa è stata una scelta maturata nel tempo?
“In realtà è stata una scelta consequenziale, dettata dai risultati che raggiungevo di volta in volta. Quando iniziai a studiare danza non sapevo bene dove questo cammino mi avrebbe portato ma le piccole gratificazioni ricevute nel corso del tempo mi hanno fatto capire che era questa la carriera che volevo intraprendere. Come per tutti i bambini, anche per me l’incontro con la danza è iniziato per gioco in una scuola di danza privata di Civitavecchia, dove mi sono trasferito giovanissimo da Torino con la mia famiglia. Qui gli insegnanti mi notarono e mi proposero di fare l’audizione per l’ammissione al primo corso della scuola di danza del Teatro dell’Opera dove mi hanno subito preso. Poi pian piano gli stimoli ricevuti dal pubblico e dai miei maestri, uniti a un pizzico di sana competizione, hanno determinato la mia scelta”.
La tua famiglia ti ha sostenuto nel tuo sogno o vedeva nella danza un futuro precario oltre che un ambiente velato dai pregiudizi?
“Non mi sono mai sentito un piccolo Billy Elliot contrastato dalla famiglia. La mia, al contrario, mi ha sempre appoggiato, pur essendo totalmente estranea al mondo della danza e delle scuole professionali. Mio fratello mi ha seguito negli studi di danza e mio padre, contrariamente ai pregiudizi tipicamente maschili verso la danza, mi ha sempre incoraggiato dicendomi che i ballerini sviluppano un gran bel fisico! Inoltre, erano gli anni Novanta e c’era una mentalità già più aperta nei confronti della danza maschile e la situazione lavorativa non era difficile come oggi”.
Jean-Guillaume Bart, il coreografo francese che la Direttrice del Ballo Eleonora Abbagnato ha chiamato dall’Opéra de Paris per rimontare il balletto “La Bella Addormentata”, ha particolarmente sottolineato lo spessore psicologico del ruolo del Principe. Come è stato lavorare con lui?
“Premetto che lui, essendo stato un grande ballerino e avendo ballato tutti i ruoli ad altissimi livelli, vanta una grandissima esperienza e il suo carisma è evidente fin da quando varca la soglia della sala di danza. Ha modificato pochissime cose della coreografia restando molto fedele all’originale. È una persona molto puntigliosa, soprattutto per la parte recitativa dello spettacolo. Ha insistito molto sui movimenti scenici, sulla regia e ha valorizzato la pantomima. Ci ha insegnato a prestare molta più attenzione a questi elementi che alla tecnica, che lui da già per scontata, preferendo concentrarsi su quelle sfumature che in scena fanno la differenza. Lo definirei un “visionario”. Fin dall’inizio lui ha già ben visibile nella sua mente il risultato che vuole raggiungere. E questo emerge tantissimo durante le prove in cui lui non resta seduto a guardarti ma ti mostra esattamente ciò che devi fare. Per molti ballerini può sembrare una mancanza di rispetto ma, conoscendolo meglio, si comprende come questo atteggiamento sia finalizzato unicamente alla buona riuscita dello spettacolo”.
Alla luce della tua nomina a Primo Ballerino, possiamo considerare “La bella addormentata” come il balletto della tua vita e il ruolo del Principe come il “tuo”. Ma ci sono altri ruoli ai quali ti senti più vicino che hai già interpretato o che magari vorresti danzare?
“Credo che i ruoli del balletto narrativo-romantico siano quelli che riesco a interpretare meglio perché rispecchiano la mia personalità oltre che la mia figura come ballerino. Sicuramente “Giselle” è il grande classico per eccellenza che, purtroppo, non sono ancora riuscito a ballare perché mi sono infortunato durante le prove. Ma nel momento in cui, già in sala prove, sentivo quella passione, quel momento in cui “ti si stacca il cuore”, penso che, in scena, quello stesso momento, sarebbe stato l’idillio. Oltre che ai grandi classici sono aperto a tutto. Mi piace essere versatile . Se ci spostiamo nel post moderno, Kenneth MacMillan, è assolutamente il mio coreografo preferito. Infatti, L’histoire de Manon è un mio sogno nel cassetto. Adoro anche Frederick Ashton, William Forsythe e Nacho Duato”.
Hai avuto anche esperienze di lavoro all’estero, in Europa ma anche in America dove sei stato solista al Tulsa Ballet. Come cambia la situazione del mondo della danza rispetto all’Italia che attualmente sta vivendo un momento così difficile per quanto riguarda le compagnie?
“Con l’ottima direzione di Eleonora Abbagnato il confronto con le compagnie degli altri paesi esteri si è molto assottigliato. C’è uno scarto più ampio rispetto all’America. Lì lavorano più sulla vendita del biglietto, privilegiando la concezione economica del teatro rispetto a quella europea di aggregazione sociale. Dal punto di vista stilistico c’è molta meno attenzione ai classici rispetto alla tradizione europea. Pur avendo accolto il classico, hanno innovato sviluppando maggiormente la parte moderna. Rispetto a noi sono molto più avanti nelle coreografie moderne ma molto più indietro rispetto a quelle classiche. Anche l’approccio dei ballerini alla lezione quotidiana è totalmente pragmatico, molto più fisico e atletico. Mentre noi potremmo dedicare un’ora alla spiegazione di un port de bras, loro guardano più alla performance che allo studio”.
Progetti per il futuro? Hai intenzione di andare nuovamente all’estero, meta di fuga dei nostri talenti, o possiamo ancora godere della tua presenza qui in Italia dove purtroppo ultimamente primeggia l’esterofilia?
“Dal 31 marzo all’8 aprile danzerò in “Robbins Preljocaj Ekman” qui al teatro dell’Opera. Per ora niente estero. Io sono italiano, questa è casa mia e spero che tutto resti così com’è!”.
Roberta Leo 24/02/2017