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“Peccato fosse puttana”: intervista al regista Valentino Villa

Regista, interprete e insegnate, Valentino Villa è il regista di “Peccato fosse puttana”, dramma di John Ford interpretato dagli allievi del terzo anno dell’ Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D’Amico, al debutto lunedì 8 febbraio a Roma presso il Teatro Studio “Eleonora Duse”.

Com’è nato questo progetto di collaborazione tra l’Accademia Silvio D’Amico e il Centro Sperimentale di Cinematografia?
“Inizialmente è partito con una proposta, una decisione presa con il Direttore dell’Accademia di lavorare insieme su questo testo, Peccato fosse puttana. Ad ogni modo c’era da tempo l’intenzione di lavorare insieme.”

Perché avete scelto questo testo di John Ford?
“Personalmente ho un grande interesse rispetto a Ford, sia istintivo che ragionato. All’interno di un’Accademia uno degli autori più studiati è sempre Shakespeare, ma a me sembra che in fondo in Ford ci sia uno Shakespeare snaturato, o che Shakespeare sia un autore della crisi in conseguenza della quale ci sia stata la fioritura di Ford.
Lo sguardo su Ford poteva essere quindi interessante, considerando anche il fatto che questo gruppo del III anno del corso di Recitazione lavorerà successivamente su Shakespeare, per il diploma.”

Data la possibilità di una seconda scelta per quanto riguarda la traduzione del titolo "Peccato che sia una sgualdrina", per quale motivo avete preferito questo, di impatto senza dubbio più forte?
“Anche in questo caso torna necessario un riferimento a Shakespeare: il problema della scelta di una traduzione è infatti enorme per quest’ultimo. Shakespeare ha una fioritura enorme di traduzioni, che ne rendono sempre complicata la selezione di una, mentre per Ford al contrario non ce ne sono molte. In Italia ad esempio la più recente è la traduzione di Nadia Fusini, del 1998 circa: la scelta della traduzione è stata quindi molto semplice. La Fusini inoltre, giovando di una certa libertà di scleta interpretativa, propone una traduzione pulita, priva di ridondanze, che si è rivelata molto utile per il tipo di lavoro che è stato fatto a livello propedeutico con i ragazzi.
Per quanto riguarda il titolo nello specifico, nella dedica di J. Ford lui stesso fa proprio riferimento o meglio quasi si scusa di un titolo così forte. Quindi la mia impressione è che nella traduzione del titolo di decenni fa, probabilmente esso è stato abbassato di livello per essere meglio accettato.”

Quanto è stata importante la messinscena del 2003 di Luca Ronconi (con il quale hai a lungo collaborato nella tua carriera), la cui riflessione si concentra sulla natura dei rapporti umani e sul gioco di coppie?
“Lo spettacolo di Ronconi è uno spettacolo che conosco, ne ho anche visto una delle due versioni famose. È un po’ difficile per me rispondere alla domanda in relazione a questo testo: mi sento continuamente influenzato da Ronconi, quindi c’è sicuramente qualcosa di Luca Ronconi in questa regia, ma forse più in generale in tutto il mio modo di fare e vivere il teatro.
D’altro canto, però, questo è stato soprattutto un lavoro didattico, con attori giovani, quindi è stato necessario un diverso approccio.”

Quanto invece il modello di Luchino Visconti (1961) è stato da te approfondito e preso in considerazione?
“Mi autodenuncio, dire che l’ho preso in considerazione sarebbe una bugia. Ne ho memoria grazie a Maurizio Millenotti, costumista della messinscena, che mi ha mostrato le foto di quell’allestimento mentre preparavamo il nostro. Quindi simbolicamente è entrato anche un po’ nel nostro lavoro, ma non è stato analizzato o approfondito.”

Serena Antinucci
Giulia Zanichelli 08/02/2016