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My Generation: Recensito incontra il regista, attore e docente Francesco Manetti dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”

My Generation, esercitazione degli allievi del corso di regia dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, andrà in scena al Teatro Studio Eleonora Duse di Roma il 13 e il 14 aprile. Tommaso Capodanno, Paolo Costantini e Marco Fasciana, presentano tre allestimenti che raccontano fatti di cronaca legati a giovani che si sono trasformati in killer senza scrupoli. I tre studenti sono stati seguiti e guidati dal loro docente di scherma e acrobatica Francesco Manetti che abbiamo incontrato per scavare dietro il processo che ha dato vita a My Generation.

Lei ha affermato che la violenza è sempre stato un tema trattato a teatro: da Eschilo a Shakespeare e più recentemente da Sarah Kane. Lei è un docente con una lunga esperienza alle spalle – anche come attore e regista -  perché crede che sia determinante nella formazione professionale degli attori e dei registi confrontarsi sul palco con una tematica così forte?locandina my generation

Penso sia fondamentale e primario per gli allievi rapportarsi a un tema come la violenza, essendo questo un topos ricorrente a teatro. Edward Bond diceva che la violenza deve essere continuamente analizzata e rappresentata sulla scena, essendo la parte fondante della nostra società, quindi se la vogliamo eliminare, abbiamo il compito di parlarne e farne un argomento quotidiano. Proprio come un attore vuole provare ad essere in scena quello che non è, così il pubblico vuole confrontarsi e scontrarsi con un contenuto da esorcizzare come quello della violenza estrema.

Come mai la decisione di non scegliere un testo già scritto, un classico, ma partire da zero nel processo creativo?

Ritengo che per dei giovani sia importante capire cosa significhi oggi realizzare un progetto teatrale. Questo è un processo, al giorno d’oggi, necessario da comprendere se si vuole lavorare a teatro, poiché il mestiere del regista, rispetto a venti o trenta anni fa, è molto cambiato. Il palco non è solo un luogo dove si mettono in scena i grandi capolavori del passato, ma certamente è un mezzo per confrontarsi con la società attuale. Gli allievi registi devono quindi studiare, misurarsi con i loro colleghi, lavorare con il materiale umano a loro disposizione, ovvero gli attori. Credo poi che trattare di fatti di cronaca del nostro tempo sia molto difficile, ma in fondo non è molto diverso da quello che faceva Eschilo, parlava della sua società, di quello che succedeva ad Atene.

Gli studenti di regia del III anno stanno lavorando con gli attori più giovani e acerbi dell’Accademia, ovvero i ragazzi del I anno di recitazione, come mai questa scelta da parte sua?

Innanzitutto i protagonisti delle tristi vicende che racconteremo erano quasi tutti adolescenti, o comunque giovanissimi, e i ragazzi del I anno sono quelli anagraficamente più vicini a quell’età. Ma c’è sicuramente un altro aspetto che mi premeva far vivere ai tre registi, ovvero farli lavorare con quello che hanno a disposizione e non con quello che vorrebbero avere, ad esempio un attore esperto, perfetto per un determinato ruolo. Ci tenevo che facessero l’esperienza da regista, essendo gli attori con cui lavorano ancora all’inizio della loro formazione: li devono dirigere, guidare e quindi avere anche un un ruolo di autorevolezza. È importante che vivano una situazione per loro nuova e che vengano posti di fronte a problemi da risolvere.

A che genere di problemi si riferisce?

Il tema di cui si parla è molto delicato, le parole che vengono pronunciate dagli attori provengono da diari segreti dei killer, dichiarazioni rilasciate a giornalisti o ancora protocolli di polizia. La tematica non è certo facile, anche perché le conseguenze hanno ancora un impatto sulla società odierna e bisogna essere cauti con la messa in scena. Quindi il team intero deve misurarsi con dei testi cruenti e con l’inesperienza dei giovani attori.

Che tipo di lavoro ha svolto con gli allievi di regia e qual è stato l’imprinting che avete voluto dare allo stile registico?

Tutti e tre i progetti hanno in comune l’aspetto corale, il concetto di gruppo. Inoltre il corpo e il movimento sono elementi che si ritrovano in tutti e tre le esercitazioni. È difficile rappresentare realisticamente un omicidio, ma i registi sono stati bravi a trovare soluzioni convincenti e funzionali alle storie raccontate.

Giordana Marsilio

10/04/2018

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