Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 617

“My Generation”: Recensito intervista gli allievi registi Tommaso Capodanno, Paolo Costantini e Marco Fasciana

Il 13 e il 14 aprile, presso il Teatro Studio Eleonora Duse, l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” presenterà “My Generation”, esercitazione degli allievi registi di III anno Tommaso Capodanno, Paolo Costantini e Marco Fasciana. Con la guida di Francesco Manetti metteranno in scena tre fatti di cronaca nera che hanno come protagonisti dei giovanissimi. Recensito li ha intervistati per comprendere a fondo la scelta di questo tema - la violenza - e la costruzione dei tre spettacoli.

Tommaso Capodanno1Mg

Cosa ne pensi della guida di Francesco Manetti? In che modo vi ha supportato nella realizzazione degli spettacoli?

Quello che abbiamo fatto con il Prof. Manetti è stato creare un progetto di regia, capire come si struttura e come si sviluppa. Abbiamo lavorato sulla ricerca di un tema che in questo caso riguarda la nostra generazione, provando a raccontarla attraverso dei casi di cronaca. Il docente ci ha quindi seguito nella progettazione del testo, che io ho scritto insieme alla drammaturga Matilde D’Accardi e ci ha supportato in tutte le fasi preparative, alle prove e al montaggio in teatro.

Il tuo spettacolo è “Non erano stati gli albanesi ma due ragazzini innamorati”. Da dove nasce l’idea di mettere in scena il delitto di Novi Ligure del 2001?

Mi interessava provare a capire quali dinamiche ci fossero dietro ad atroci fatti di cronaca, nello specifico comprendere come nessuno a scuola o in famiglia si sia mai accorto dei disturbi di personalità in seguito riscontrati ai due imputati. Sono partito da un preciso concetto, quello dell’educazione. Ci sono dei saggi di psicologia molto interessanti che parlano del passaggio generazionale dai valori della tradizione cattolica a quelli della società contemporanea “dell’apparire”. Inoltre, ho deciso di utilizzare delle proiezioni che prevedono una provocatoria riscrittura dei comandamenti secondo questo nuovo "modello educativo".

Paolo Costantini

Perché rappresentare dei fatti di cronaca nera sul palcoscenico?

Noi allievi di regia del III anno ci troviamo a lavorare con dei giovanissimi attori che sono gli allievi di recitazione del I anno. Abbiamo voluto quindi raccontare dei giovani e delle problematiche annesse a una specifica fascia d’età, ripensando anche all’origine stessa del teatro, al tema della violenza e al dolore che essa provoca che da sempre è stato oggetto di trasposizioni sceniche.

Parlaci del tuo spettacolo “Shootaround”. Da dove nasce l’idea di mettere in scena la strage della Columbine High School del 1999?

L’idea nasce da un cortocircuito generazionale: è una questione di forte disagio, di vuoto esistenziale, di perdita di contatto con la realtà. Ho scritto il testo ricostruendo la giornata raccontata dai due killer che stanno per compiere il massacro. Gioco su due punti di vista diversi: quello dei due killer, legato alle parole del loro diario e ad un video che racconta il loro mondo e il contesto scolastico che li vede protagonisti. In scena ci saranno solo delle sedie. Inoltre si parlerà di stereotipi: ci sono lo “sportivo figo“, la coppia di cheerleader invidiose l’una dell’altra e che fanno finta di essere amiche, la ragazza timida, il ragazzo benestante. Ma ad un certo punto subentra nel racconto il mondo esterno rappresentato dal poliziotto e dalla reporter che raccontano in diretta quello che sta avvenendo.

Marco Fasciana

Gli spettacoli parlano di violenza. Che valenza ha mettere in scena un tema così attuale?

Con questo spettacolo non voglio dare un messaggio ma arrivare ad una riflessione. In un’intervista l’autore di “Arancia Meccanica” Anthony Burgess dice: «Mi rendo conto che l’arte è una faccenda scomoda e dobbiamo abituarci al fatto che può essere pericolosa». È fin dai tempi antichi che viene rappresentata la violenza, ma bisogna capire qual è il mezzo giusto per metterla in scena, fino a dove ci si può spingere, quanto è pericolosa e se ha valore. A tal proposito ci saranno le due attrici che rifletteranno sull’argomento, chiedendosi se sia giusto o meno esprimere questo tipo di concetto.

Parlaci del tuo spettacolo “Bunny games”. Da dove nasce l’idea di mettere in scena il massacro del Circeo del 1975?

Nel mio spettacolo ho voluto prendere in esame dei casi che potrebbero costituire un macroesempio di quei gravi fatti che spesso sconvolgono la nostra società. Il massacro del Circeo avveniva in un contesto anomalo: gli stupratori erano figli della “Roma Bene” e non provenivano, come spesso accade, da zone periferiche o da famiglie con evidenti disagi sociali. Emergono questioni legate alla politica e all’ideologia e anche alle logiche del branco: la premeditazione, l’adescamento, la violenza psicologica. Gli attori in scena reciteranno alcuni estratti del romanzo di Angelo Izzo, il principale autore del terribile massacro del Circeo.

Eugenia Giannone

10/04/2018

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM