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Massimo Sgorbani: il cortocircuito tra Hitler e Walt Disney di “Magda e lo spavento”

Con “Innamorate dello spavento” si è addentrato nei meandri della psiche di tre personaggi femminili innamorati dello stesso uomo, un uomo che è divenuto l'emblema del male storico assoluto: Adolf Hitler. Massimo Sgorbani, autore della trilogia, drammaturgo e sceneggiatore teatrale, ci ha raccontato la genesi e le ispirazioni di “Magda e lo spavento”, ultimo capitolo dopo “Blondi” e “Eva (1912-1945)”, in scena al Teatro India fino al 24 aprile. Il dialogo serrato e paradossale tra Magda Goebbels (interpretata da Federica Fracassi) e il Führer (Milutin Dapcevic), manichini cigolanti che discutono di topi e cartoni animati all'interno di un bunker che è già tomba, diviene uno spettacolo che riesce a raccontare la Storia pur trascendendola. In un modo forse ancora più atroce, agghiacciante.

“Innamorate dello spavento” è una trilogia legata dal filo rosso dell'amore per un personaggio, Hitler, emblema di tutto ciò che di negativo ha prodotto la storia. Qual è stata l'ispirazione?
“Stavo leggendo un libro su Hitler in cui compariva spesso la figura del suo cane, Blondi. Da lì mi è venuta l'idea di raccontare questo personaggio dal punto di vista di un cane, di un animale che, per sua natura, è fedele e devoto al padrone. Fedele e devoto, in questo caso, al peggiore degli uomini del secolo scorso. Se normalmente ogni cane è disposto a dare la vita per salvare quella del proprio padrone, qui è Hitler ad uccidere Blondi per testare la fiala di cianuro con cui lui stesso, qualche giorno dopo, si sarebbe tolto la vita. Si tratta proprio di un rapporto d'amore paradossale e doppiamente “pervertito”: il padrone toglie la vita al cane per far sì che lui stesso si uccida”.

“Blondi” è il primo testo della trilogia e all'inizio doveva essere l'unico. Com'è che poi hai deciso di scrivere altri due “capitoli”?
“Oltre a Blondi, le donne che hanno amato Hitler sono state tante. Mi sembrava interessante raccontare tre sguardi diversi, ma ugualmente innamorati, sul Führer. Per quanto riguarda “Magda e lo spavento”, in realtà all'inizio non volevo che venisse messo in scena il personaggio di Hitler, credevo fosse una figura irrappresentabile. Poi però, parlando al telefono con Renzo Martinelli (regista dello spettacolo, ndr), ho buttato lì, quasi fosse una battuta, l'idea di rappresentare Hitler parlando paradossalmente di tutt'altro, di Topolino e Paperino, ad esempio. È nata così l'ultima tappa della trilogia”.

Appunto in “Magda e lo spavento” si crea una sorta di cortocircuito tra la Storia e l'immaginario dei fumetti e dei cartoni animati, da Biancaneve e i sette nani a Mickey Mouse. Qual è l'obiettivo di cercare di interpretare il male assoluto secondo l'ermeneutica dei fumetti?
“Intanto c'è un motivo reale: l'attrazione che Hitler aveva per Disney. Un'attrazione che derivava, secondo me, non tanto dal fatto che fosse un bambinone – come hanno sostenuto in tanti – ma dal fatto che avesse intuito la grande potenza comunicativa del linguaggio dei cartoni animati. Essendo un linguaggio semplice, semplificato, molto puntato sui sentimenti, era molto efficace per la propaganda. Tanto che, a un certo punto, il Führer commissionò un cartone animato in perfetto stile disneyano per la promozione dell'acquisto della radio. Il video mostrava le radio personificate, in marcia per le campagne tedesche, e al loro passaggio i contadini al lavoro diventavano improvvisamente felici e sorridenti. Ecco, io credo che fosse questo l'interesse di Hitler verso i cartoni animati: averne intuito la forza propagandistica”.

E al di là del dato storico?
“Oltre a questo, ciò mi interessava sottolineare era la rimozione della storia che attuano Magda Goebbels e Hitler. È ciò che avviene in “Nodo alla gola” di Alfred Hitchcock: in un salotto c'è un cadavere messo in una cassapanca, attorno si svolge un cocktail party e la gente incurante parla di tutt'altro. Nello stesso modo paradossale Magda e Hitler “defenestrano” la storia, parlano di cartoni animati, fanno finta che nulla, fuori dal bunker, stia accadendo. Ma il rimosso torna e la fine dello spettacolo è proprio un fare i conti con questo ritorno”.

Nei discorsi di Magda e Hitler ricorre quasi un'attrazione per la “bellezza della morte”, e in generale la tua drammaturgia è incentrata su personaggi legati a stretto giro con esperienze estreme.
“Penso che la morte sia uno di quei temi in qualche modo ineludibili. Nel caso di Hitler il discorso è legato a certi concetti e a certe espressione linguistiche legate alla destra di quegli anni. Anche in Italia: si pensi all'esortazione fascista di andare “a cercar la bella morte”. C'è poi da considerare tutta la morìa di donne intorno ad Hitler: quasi tutte si suicidano. Si suicida sua nipote, Geli Raubal, che si dice fosse la sua amante. Eva Brown si toglie la vita nel bunker insieme al marito, ma aveva già tentato il suicidio due volte. È come se ci fosse una sorta di frenesia, di vertigine, che spinge ad andare incontro alla morte. Nel caso di “Magda e lo spavento” il destino ultimo incombe sui personaggi a partire dall'ambientazione: il bunker in cui si trovano è già una tomba”.

Il fanatismo sembra essere un tema ricorrente nelle tue opere, declinato in forme diverse: c'è il condannato a morte obeso ossessionato dal cibo (in “Angelo della gravità”), il fanatismo religioso di Wafa Idris, prima martire palestinese (in “Causa di beatificazione”), il fanatismo ideologico-politico di Magda Goebbels... Cosa la affascina, dal punto di vista drammaturgico e autoriale, di questo tema?
“Credo che le cose estreme ci servano per raccontare la normalità. C'è sempre una relazione tra ciò che appare estremo e quel che l'ha prodotto e che viene spesso ignorato. Si approfitta della presenza del “mostro” per coprire e censurare ciò che l'ha generato. Così il caso estremo diventa la cartina di tornasole di una serie di situazioni meno estreme ma altrettanto preoccupanti”.

A proposito dei tuoi monologhi hai scritto che quello che ti interessa è quando riesce ad attualizzare il passato, a trasfigurarlo e a farlo rivivere nel presente. Ma anche nel caso di “Magda e lo spavento”, che è un dialogo, si potrebbe affermare la stessa cosa. Cos'è che di quel passato, di quella storia atroce, ti interessa far rivivere nel presente?
“Non credo che sia compito del teatro far rivivere la storia, quello devono farlo i manuali , o i libri. Quello che fa il teatro, e che tento di fare io personalmente, è un'operazione diversa: sulla base delle informazioni storiche assodate, “togliere” dalla scena, anziché “mettere”. Togliere dalla scena e tentare di creare dei cortocircuiti in cui smontando dei pezzi, alterandoli, gli si ridà vita rispetto al presente e non al passato. In questo caso l'operazione funziona contaminando Walt Disney con il pensiero nazista. È proprio un'operazione sperimentale: trovare una formula che riesca a parlare della storia pur trascendendola. E quello che mi hanno detto in molti è stato che questo spettacolo riesce a rendere l'orrore del nazismo molto più di altri che magari lo affrontano più direttamente”.

Dopo “Innamorate dello spavento” è passato a sondare i meandri di una personalità maschile come Truman Capote. Quali sono le differenze nel tuo approccio alla scrittura dei personaggi maschili rispetto a quelli femminili?
“Ho sempre preferito i personaggi femminili, ma non ti so spiegare perché. Gli uomini di cui ho scritto sono sempre figure contraddittorie, irrisolte, laddove le donne sono probabilmente più risolte nella loro femminilità, pur andando incontro a un destino tragico. Sicuramente c'è una prevalenza di donne nei miei testi, poi però dipende anche dai periodi. Ultimamente ho scritto un testo che porta in scena quattordici attori, che per un autore che scrive monologhi era una cosa impensabile. Non so cosa scriverò in futuro, magari proseguirò su quella strada”.

Marta Gentilucci 22/04/2016

Per approfondimenti sullo spettacolo: https://www.recensito.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=14742:esercizi-di-stile-visioni-a-confronto-su-magda-e-lo-spavento&Itemid=121

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