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Recensito incontra il presidente Cendic Maria Letizia Compatangelo: una vita per la scrittura e il teatro

Maria Letizia Compatangelo è autrice, giornalista, docente di drammaturgia, ma è soprattutto presidente del Cendic, il Centro Nazionale Drammaturgia Italiana Contemporanea, vero e proprio punto di riferimento per gli autori teatrali italiani. Una vita dedicata alla scrittura e al teatro, vissuto in tutte le sue sfaccettature, con passione, coraggio e dedizione. Una donna, una professionista, che crede fortemente nella potenza delle parole e della scena, la quale, in questa intervista sulle pagine di Recensito racconta un po' di se, del suo mestiere, del teatro, dei suoi prossimi progetti e in particolar modo del suo ruolo di guida del Cendic.

Una vita in prima persona per la scena e la scrittura. Come si è avvicinata al teatro?
"Perché volevo vivere nella fantasia. Da piccola sono stata una lettrice a dir poco famelica: leggevo tutto, tutto quello su cui potevo mettere le mani. Favole e mitologia greca, latina, nordica, indiana, Mary Poppins e ciclo arturiano, Dickens, Carroll e Alcott, Tolstoj e Reader Digest... Quando in casa mi cercavano, “dov’è Letizia?”, la risposta era sempre: stesa sul letto a leggere. Un giorno, avrò avuto 14-15 anni, ho preso in mano il primo volume delle Maschere Nude di Pirandello. Li ho divorati tutti e dieci in un baleno. Credo che sia nato lì l’amore per il teatro: avevo scoperto qualcosa capace di mescolare la fantasia, di cui avevo bisogno per vivere, e concretezza della vita reale, che aveva cominciato ad interessarmi! Ho deciso di prendermi la licenza classica in anticipo, da privatista, e provare con quell’anno “mio”, quell’anno in più, ad entrare all’Accademia “Silvio D’Amico”. Ce l’ho fatta, nel teatro ho iniziato come attrice, per pochi anni ma fondamentali, sino a quando ho capito che in realtà le storie io avrei voluto scriverle, non recitarle. Mi sono rimessa a studiare, laureandomi in Storia del Teatro e dello Spettacolo all’Università «La Sapienza», sono diventata allieva di Eduardo De Filippo alla sua Scuola di Drammaturgia, ho iniziato a scrivere e a vivere il teatro come drammaturga".

È autrice e regista di numerosi spettacoli teatrali, ultimo “Prigionieri al Settimo Piano” andato in scena in questa stagione al Teatro dei Conciatori. Quali sono i suoi modelli teatrali di riferimento? Si ispira a qualche autore in particolare o ne ammira in particolar modo qualcuno?
"Piccolo inciso su Prigionieri al settimo piano: è andato molto bene, tanto che verrà ripreso al Teatro de’ Servi dal 13 marzo al 1° aprile 2018. La regia è di Donatella Brocco, con Gianna Paola Scaffidi, Rosario Galli ed Elia Paniccia, bravissimi... vi aspettiamo!
Quanto ai modelli teatrali, a parte il fatto che mi muovo nell’ambito del teatro di parola ma amo le incursioni in altri territori, soprattutto musicali, non credo di avere dei precisi modelli di riferimento, piuttosto incontri che mi hanno aiutata a capire qualcosa, a trovare la mia voce e una voce per i miei personaggi. Ammiro Shakespeare più di tutti, ma amo tantissimi altri drammaturghi, ognuno importante in una fase della mia crescita. E comunque, se proprio devo pensarci, mi vengono alla mente Calvino, Borges e Marquez... narratori, non teatranti. MA ho avuto la fortuna di avere un maestro: Eduardo De Filippo. Un maestro sui generis, perché c’è voluto molto tempo per capire veramente quello che lui cercava di dirci nella sua Scuola di Drammaturgia alla Sapienza, come ho raccontato vent’anni dopo nel mio libro O capitano, mio capitano! Eduardo maestro di drammaturgia. Un maestro complicato, impegnativo ma fondamentale. Un teatrante completo. Essere stata la prima persona chiamata a tenere un corso di scrittura drammaturgica all’Università la Sapienza, vent’anni dopo Eduardo, nello stesso luogo, il Teatro Ateneo, è stata una grande emozione".M.Letizia Compatangelo

È presidente del Cendic- il Centro Nazionale Drammaturgia Italiana Contemporanea che promuove e sostiene la diffusione delle opere di oltre 200 autori italiani, ottenendo importanti risultati. Da quanti anni è a capo di questa associazione? Le va di raccontare il suo percorso al suo interno?
"Sono Presidente del CENDIC dalla fondazione, i miei colleghi mi hanno accordato la loro fiducia all’inizio e hanno scelto di rinnovarla in questa fase delicata di crescita. Abbiamo lavorato molto, senza alcun finanziamento, per tutti i drammaturghi italiani e non solo per i soci, fermamente convinti della necessità, per tutto il teatro italiano, di riuscire a realizzare il nostro scopo fondativo, riassunto nel nostro stesso nome: Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea. – il cui necessario corollario è un Teatro per la Drammaturgia Contemporanea, per il quale nel 2014 abbiamo lanciato un appello che ha raccolto in pochissimo tempo migliaia di adesioni, da parte di tutto il mondo del teatro e della cultura italiani.
Dalla chiusura dell’IDI e dell’ETI, il teatro italiano è privo di un punto di riferimento generale che possa promuovere la drammaturgia nazionale in modo equanime, dando pari opportunità a tutti, e che possa al tempo stesso interloquire con le Istituzioni analoghe esistenti in altri Paesi europei ed extraeuropei. Ce n’è talmente bisogno che in questi anni studiosi e teatranti stranieri si sono più volte rivolti al CENDIC – dal Messico, dalla Svizzera, dalla Repubblica Ceca, dall’Ucraina, Russia, etc – per ottenere notizie, studi, copioni e riferimenti sulla drammaturgia italiana contemporanea.
Raccontare un percorso di cinque anni è complicato, suggerirei di visitare il nostro sito: www.centrodrammaturgia.it, così potrete veder tutti i progetti e vari i curatori, i Consiglieri, i soci... tra cui anche il grande Dario Fo. Perché siamo una squadra. Il mio compito più importante è stato quello di mantenerla unita. Negli anni ci siamo conquistati la fiducia di importanti istituzioni, con cui abbiamo firmato protocolli di collaborazione: le Biblioteche di Roma, il Teatro di Roma, l’Accademia Silvio D’Amico, il Festival di Calatafimi Segesta. Il Comune di Roma ci ha concesso una sede, nella Casa dei Teatri di Villa Pamphilj, e il Ministro Franceschini si è dichiarato favorevole al riconoscimento del Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea come istituzione. Questo ci sostiene, vuol dire che stiamo lavorando bene. Non è facile tenere insieme a lavorare - gratis e per gli altri colleghi! - 200 individualità forti come quelle degli autori, anzi è impossibile, senza la forte consapevolezza che questo è l’unico modo per smuovere una situazione stagnante da troppi decenni".

Quali sono le principali iniziative che avete portato avanti in questi anni, specialmente in quest’ultimo, e quali sono invece i progetti in cantiere per il futuro?
"Noi abbiamo tre direttrici fondamentali di azione: promozione della drammaturgia in Italia e all’estero, formazione del pubblico e formazione/promozione degli autori. Ma le varie iniziative sono tutte viste nella prospettiva del nostro scopo fondativo: come dire... lavoriamo al back stage ma non dimentichiamo mai di non essere né una compagnia, né un sindacato o il perché siamo nati: siamo un’associazione di autori con vocazione istituzionale, e dunque è molto importante il lavoro che compiamo per ottenere l’istituzione di un Centro e di un Teatro per la Drammaturgia Italiana Contemporanea. Ultimamente, ad esempio, con audizione in Senato e nostre proposte di emendamenti, ci siamo adoperati affinché nel testo della nuova Legge sullo Spettacolo dal Vivo in discussione in Parlamento fosse presente anche il principio di valorizzazione e promozione della drammaturgia italiana contemporanea e degli autori, prima non contemplato.
Quanto alle varie iniziative l’elenco è molto lungo: due stagioni di seguitissimi Seminari di drammaturgia, le Masterclass di drammaturgia per gli allievi delle Scuole della Provincia di Roma; Teatro in Provincia, arrivato alla quinta edizione, che ha portato la drammaturgia contemporanea nei teatri di 14 Regioni; iniziative speciali, come La festa alle donne, contro la violenza sulle donne, e sullo stesso argomento una mostra e lettura di monologhi raccolti poi nel volume Io sono il mio grido; la Rassegna di libri di teatro e sul teatro Teatri e drammaturgie; le conferenze di scambio culturale con la Francia e il Messico, che ha portato alla pubblicazione in Messico del libro di monologhi italiani tradotti in spagnolo Dramaturgia italiana contemporánea, che presenteremo in autunno; la giornata di presentazione di EURODRAM, la rete dei traduttori in oltre 20 Paesi europei, l’Appello “Un Teatro per la Drammaturgia Contemporanea” cui accennavo prima, con la giornata di discussione al Golden; il Progetto Parola al Teatro, che presenta gli autori e i loro spettacoli in prova o in scena agli utenti delle Biblioteche di Roma, giunto alla seconda edizione; il Premio Cendic Segesta, di cui partirà a breve la terza edizione, un premio pensato dagli autori per gli autori, che mette in scena il testo vincitore, grazie alla sensibilità e al coraggio produttivo di Domenico Pantano e del Centro Teatrale Meridionale da lui diretto; la Rassegna dei testi finalisti, in collaborazione con il Teatro di Roma e la sua Scuola di Perfezionamento e le Biblioteche di Roma.
I nostri progetti durano intere stagioni e se funzionano vengono incardinati a sistema; nell’immediato futuro si aggiungerà l’iniziativa tutta social Autori Expo, in collaborazione con Wake up e Welcome Theatre: una vetrina di promozione interattiva per tutti gli autori interessati. In cantiere per quanto riguarda invece la distribuzione vorremmo riuscire a varare la Mostra Mercato della Drammaturgia Contemporanea. Altri progetti sono la fondazione di un Centro Studi e la Biblioteca Virtuale della Drammaturgia Contemporanea, in collaborazione con Dramma.it ed altri archivi esistenti, digitali e non".

Quali sono secondo lei le prospettive per i futuri autori teatrali? E quali consigli sente di potergli dare?
"Le prospettive mi sembrano per un verso migliori, rispetto a venti anni fa, perché i drammaturghi italiani si stanno conquistando spazi e rispetto e possiamo sperare che arrivi presto un tempo in cui la drammaturgia italiana sarà finalmente vista e trattata come quelle degli altri Paesi, ovvero come una componente fondamentale dell’atto teatrale e non più come una petulante “figlia di un dio minore”.
Per altro verso invece mi sembra che, sia nel teatro ufficiale, sia in quello di innovazione, stiamo procedendo verso il grado zero della civiltà teatrale. quanto a regole uguali per tutti e a libertà di scelta, volontà di privilegiare la qualità (che non significa ignorare il botteghino!), voglia di sperimentare nuove possibilità e reale apertura, uscendo dalla logica dei “nomi”, perché non è così che si formerà una nuova generazione di spettatori, e uscendo dalla sicurezza del conosciuto e del contiguo... per non dire del proprio clan.
Quindi, sebbene io pensi che il teatro sia un’arte collettiva e che gli apporti delle varie professionalità e modi di concepire il teatro possano solo arricchire lo spettacolo, ai giovani autori consiglio di appropriarsi dei mezzi di produzione e costruirsi un proprio percorso produttivo, parallelo a quello della crescita artistica, perché non avranno sempre venti o trent’anni, e il riflettore che si accende su di te quando sei giovane e dimostri delle doti si spegne inesorabilmente molto presto, lasciandoti solo, per far posto ad altri giovani “usa e getta”. Ecco perché il CENDIC".

Per quanto riguarda la formazione dei giovani autori secondo lei ci sono abbastanza risorse?M.Letizia Compatangelo2
"No. A parte il Master di Drammaturgia e Sceneggiatura della “Silvio D’Amico”, al quale collaboro, il corso alla Paolo Grassi e pochissime altre realtà, in genere non strutturate stabilmente, non ci sono scuole di scrittura creativa riconosciute e di alto livello. Molto è lasciato al fai da te, all’antica italiana, quando però c’era un teatro molto più circoscritto e con altre regole. Oggi, se un autore non può andare in scena con una certa continuità, come fa esperienza, come può crescere artisticamente? Ritengo assurdo non ci siamo cattedre di scrittura creativa e soprattutto di drammatrurgia nei DAMS e nei DASS delle nostre Università. Almeno nelle maggiori. Come all’estero. Per garantire accesso e pari opportunità iniziali per giovani dotati. Oltretutto, se è vero che pochi diventeranno drammaturghi o sceneggiatori, è vero anche che la scrittura è una capacità fondamentale in moltissime professioni.
Insomma, trovo ridicolo il pregiudizio per cui non si possa insegnare a scrivere. Si può eccome. Quello che non si può insegnare è il talento. O lo stile, che è sempre un raggiungimento personale. Ma di insegnamento c’è bisogno, e la dimostrazione è nel proliferare di tanti corsi e workshop a pagamento, più o meno qualificati".

Prossimi progetti di scrittura?
"Sto scrivendo un monologo su Eleonora Duse che mi è stato chiesto da Pamela Villoresi e Marco Scolastra per il Festival di Todi, un altro su un personaggio straordinario che mi ha fatto conoscere Alssandro Gilleri, per un Progetto su Palazzo Altemps, e la commedia Scene di lotta di classe al centro commerciale, titolo che è tutto un programma... O meglio, il programma.
Per quanto abbia esordito parlando della necessità di vivere nella fantasia, a fianco di testi più mitopoietici c’è molto teatro di impegno civile nelle mie opere (a cominciare da Trasformazioni, Premio IDI 1988, definito da Aggeo Savioli “profetico apologo su Tangentopoli”), anche quando sono commedie, come Prigionieri al settimo piano, che parla della guerra della finanza che imperversa nel mondo occidentale, senza le armi convenzionali che devastano il resto del mondo, ma causando perdite ugualmente atroci: di vite, di valori, di solidarietà, di fiducia nel futuro. O Come te, amatissimo da pubblico e critica, uno sconvolgente e sorprendente confronto in tempo reale tra due mondi, sulla base di una proposta “indecente”, che fa appello alle emozioni più profonde di tutti noi. Non c’è giudizio. E niente di rassicurante o zuccheroso. Ma la possibilità di una scelta diversa sì. Non mi interessa più, o almeno non in questa fase, naufragare nell’ineluttabilità del male, del cinismo, della corruzione... Mi interessano le seconde opportunità, i cambiamenti.
Se la tragedia moderna non offre possibilità di catarsi, “rappresentare” la miseria e gli orrori quotidiani non serve a molto: è cronaca e per quella esistono ormai altri strumenti. Al teatro, come diceva Eduardo, non interessano i fatti, ma le conseguenze dei fatti. E poi, forse, ho bisogno di speranza".
E di fantasia.

Maresa Palmacci 20/06/2017

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