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Il mestiere dell’attore: Recensito incontra Marco Rossetti

“…Finalmente qua, siamo una grande famiglia, abbiam lasciato soltanto un momento
la nostra valigia di là nel camerino già vecchio….. abbiam lasciato soltanto un momento
la nostra vita di là nel camerino già vecchio..." (Francesco De Gregori_ La valigia dell’attore)

Nella sua personale valigia dell’attore porta tutta la sua vita, ogni dettaglio, ogni singola esperienza e particolare, Marco Rossetti, giovane e già affermato attore di talento. Ora lo si può ammirare tutti i mercoledì su Rai 2 nella serie TV “Il cacciatore” accanto a Francesco Montanari, ma è stato anche il tenente Bartolomeo Dossena nella famosa serie Ris e recentemente, in teatro, il complesso Fred nel dramma Saved di Edward Bond con la regia di Gianluca Merolli.
Un artista a 360 gradi capace di aggiungere alla sua brillante abilità interpretativa anche una innata dote da musicista.
Un interprete carismatico, sensibile, animato da una particolare energia e passione per un mestiere spesso incompreso come quello dell’attore che richiede dedizione, studio, cultura e sacrificio, in cui portare appunto tutta la propria vita.
In questa intervista sulle pagine di Recensito, Marco Rossetti ripercorre le tappe della sua formazione, dalla prima folgorazione per il palcoscenico, passando per le sue varie esperienze cinematografiche, televisive, teatrali e i diversi ruoli interpretati, fino ad arrivare a riflettere sul suo amore per il teatro, la recitazione e la musica, e sui suoi sogni e progetti futuri.
Un flusso di pensieri e parole per scoprire un attore di cui sentiremo molto parlare, che potrà offrire e che sicuramente offrirà molto alla scena italiana.

Come è nata la tua vocazione per la recitazione? Quando e come hai capito che questa sarebbe stata la tua strada?IMG 4876
“La mia passione per la recitazione è nata a 16 anni, a scuola . Al liceo classico che frequentavo ( il liceo Nazareno, anche se per metà ho frequentato il Tasso) , teneva dei corsi di teatro un regista che si chiama Thomas Otto Zinzi. Io all’inizio lo prendevo anche in giro quando entrava in classe per proporre questo corso, poi un giorno la mia migliore amica del liceo mi convinse a provare. Oggi ancora ricordo il primo giorno in cui sono andato li, circa 16 anni fa, come se fosse adesso. E’ stato un colpo di fulmine. Tutto è iniziato un po’ per gioco, perché comunque non era un insegnamento accademico, ma tuttavia e’ stato un corso fondamentale che ha dato sfogo a tanti lati del mio carattere, che tenevo dentro da adolescente. Poi terminata la scuola mi sono interrogato sul futuro. I miei non erano molto d’accordo che prendessi la strada della recitazione. Così mi sono iscritto all’università e intanto mi sono pagato un’accademia. Successivamente hanno visto che la recitazione era la cosa cui mi riuscivo a dedicare realmente ed era la mia vera passione, e mi hanno dato fiducia. A 19 anni ho detto voglio fare l’attore, o almeno voglio provarci. Sono stato fortunato, la fortuna vale il 40% su tre fattori , il talento, la dedizione e appunto la fortuna, come diceva Gassman. Servono una serie di incastri che sono necessari, ai quali penso ogni volta che supero un provino.”

Hai iniziato a muovere i primi passi in teatro per poi passare alla TV. Come è avvenuto e come è stato questo passaggio?
“Un po’ in maniera naturale, nel senso che questo passaggio e’ forse la strada più giusta. Il teatro e’ qualcosa che riempie tutto, ogni pezzettino di te. Non che questo non accada con la TV . Però la dedizione che per forza di cosa comporta il teatro, determina una crescita di tutto, soprattutto di te stesso, e purtroppo questo spesso nei progetti televisivi e cinematografici e’ difficile che succeda. Poi c’e’sempre un lavoro anche lì, ma è chiaro che le prove del teatro sono un’altra cosa.”

Ti trovi più a tuo agio davanti la macchina da presa o sul palcoscenico?
“Diciamo che quel sano terrore che provo ogni volta prima di entrare in scena e’ una droga così potente che è difficile rinunciarci. Per quanto riguarda la macchina da presa e’ diverso. C’e una tensione anche lì, però è un altro meccanismo, che è bello, però è ciak e stop. La scena si può fare anche più volte, però finisce lì, in teatro invece se toppi the show must go on. Sono tipologie di lavoro diverse, entrambe belle, ma il fascino del teatro e’ ineguagliabile. “

Ne “Il cacciatore” interpreti Leonardo Zaza, uomo della scorta di Alfonso Sabella, l’unico nella serie che tra i personaggi positivi mantiene il suo vero nome. Come ti sei preparato per interpretare questo ruolo? Sei rimasto fedele o ci hai messo del tuo?
“Io purtroppo non ho potuto conoscerlo di persona perché quando abbiamo iniziato questa serie e ho incontrato Alfonso, mi ha detto che Leonardo stava già molto male, per cui non ho insistito. Mi ha raccontato un po’ lui, in più mi sono ispirato leggendo molti libri, vedendo molti film, e lavorando sulla sceneggiatura. Da lì siamo andati avanti con questo bel personaggio di contorno alla figura di Sabella- Saverio Barone, però protagonista di situazioni molto umane che mi hanno toccato. Sono super orgoglioso di fare parte di questo progetto bellissimo: una serie diversa, giovane, internazionale. Un prodotto di qualità.”

Hai spesso interpretato il ruolo di uomini che sono dalla parte della giustizia ( Ris, al cinema Nomi e cognomi). Credi che il cinema, il teatro, l’arte in generale siano uno strumento di denuncia per migliorare la società?
“La mia visione e’ questa: il teatro, la TV, il cinema devono informare e denunciare. Che poi sia fatto in maniera artistica, queste sono licenze poetiche. Bisogna denunciare un qualcosa. Ad esempio tutti questi lavori sulla mafia a volte si perdono perché vanno a toccare argomenti che non c’entrano niente. “Il cacciatore” e’ ispirato a qualcosa di realmente accaduto e ti fa capire tante cose. C’e’ una scena in particolare che molto eloquente: ad un certo punto Bagarella chiama Calvaruso, il suo autista,e gli dice: “abbiamo fatto una sorpresa a due ragazzi che se l’erano cantata, uno è in fin di vita, vai a dargli il colpo di grazia”, senza chiedere a o b. Questo mi ha fatto capire che se dici anche solo ok, sei finito. Perciò i ragazzi giovani che cercano le vie più facili per fare dei soldi, devono comprendere che mettono la loro vita nelle mani di un’altra persona. Bisognerebbe prendere questi esempi e portarli magari nelle scuole, fare quella famosa educazione civica che non si fa più, per offrire più stimoli.”

In teatro qualche mese fa hai interpretato nello spettacolo "Saved" di Edward Bond, andato in scena al Teatro Vascello con la regia di Gianluca Merolli, Fred, un personaggio complesso, borderline. Come ti sei preparato per questo ruolo?
“Quando parlo di denuncia sociale, per il teatro Bond e’ un esempio chiarissimo. Ha scritto questo testo negli anni ‘60, ed è ancora fortemente attuale. Poi tocca da vicino proprio la nostra generazione di giovani senza una guida, basta guardare la nostra classe politica. Quindi interpretare questo ruolo è stato difficile, ma bellissimo . Mi ha riempito di gioia, di fatiche, di dolori e di grande soddisfazione. Per questo devo ringraziare Gianluca Merolli, perché è stato bravissimo. E’ un regista giovane, capace, stimolante, con una cultura teatrale vastissima. Gli sono grato. Saved e’ stato un viaggio bellissimo che ripeterei adesso.”

IMG 4880Nello spettacolo cantavi e suonavi la chitarra magistralmente dal vivo. Sei praticamente un musicista. Come nasce questa passione per la musica? Hai in mente di fare qualcosa in ambito musicale in futuro?
“Mi piacerebbe tantissimo. Trovo che la musica sia la forma d’arte più grande e potente che ci sia, perché è globale, universale. Mi piacerebbe, ma non ho velleità di cantante. Questa passione nasce perché da piccolo suonavo, i miei genitori mi hanno permesso a sette anni, quando ancora non capivo l’importanza di questa cosa, di prendere lezioni di chitarra. Ero un piccolo talento, come ce ne sono tanti, e la mia insegnante mi disse che avrei dovuto assolutamente fare il conservatorio. Io invece ho preso la chitarra e l’ho messa dieci anni dentro l’armadio. Poi l’ho ripresa un giorno e da un po’ ho ricominciato a suonare. Ho anche ricominciato a fare canto, l’ho studiato in accademia, ed ora sto prendendo lezioni con un’insegnante bravissima, Silvia Gavarotti. La musica e’ sostanza dopante, è per me la forma d’arte più grande che comprende tutto. Impossibile non essere folgorati dalla musica, qualsiasi genere sia.”

Sei un attore giovane, ma già comunque affermato. Quale consiglio ti sentiresti di dare a quei ragazzi che vogliono intraprendere questo mestiere?
“Lasciate perdere!! ( scherzo) Gli direi di armarsi di tanta pazienza, di avere una bella corazza e di spingere, di avere il coraggio di lanciarsi nel vuoto, senza però perdere completamente l’orientamento. Devi sapere quello che vuoi in qualche modo. Ad oggi si è abituati che chiunque può fare l’attore, purtroppo non c’e più un’educazione al mestiere dell’attore, e’ stata sdoganata l’ arte della recitazione. Perciò leggete, andate a teatro, al cinema. La gente crede che basti una faccia carina per fare l’attore, ma fare l’attore non è questo. È come se fossimo tornati ad una sorta di neorealismo, l’importante e’ apparire. L’attore deve leggere, prepararsi, studiare, ma ogni cosa dipende dalla società. Ormai tutto è diventato un commercio dello smercio. Giovani sappiate che questo è un lavoro serio. “

Cosa porti nella tua valigia dell’attore? Quali sono i maestri e gli insegnamenti che ti hanno segnato?
“Io mi porto un po tutto. Il bagaglio dell’attore e’ la vita stessa, perciò sicuramente ci sono episodi e conoscenze che ho avuto la fortuna di concretizzare. Penso a un Thomas, con cui ho iniziato questa passione, poi a Gianni Diotaiuti, il mio primo vero maestro, che è stato un qualcosa di indispensabile. Dopo c’e stato il Centro Sperimentale dove ho conosciuto Valeria Benedetti Michelangeli o altri insegnanti . E’ tutto un susseguirsi. Ancora Luigi Di Fiore, un attore che ho avuto la fortuna di conoscere quattro anni fa, durante uno spettacolo, e oggi per me è un mentore, una persona straordinaria, che mi ha insegnato e mi insegna tante cose, così come lo stesso Francesco Montanari. Mi porto quindi la vita, la mia famiglia, tutto, consapevole di tutto il mio percorso che è stato fortunatissimo.”

Dei tanti personaggi interpretati invece quale ti porti nel cuore?
“Penso che si vada a periodi in questo senso, come succede per i film, escludere qualcosa mi turba, però ad oggi Fred e’ uno dei personaggi più vividi. Interpretarlo e’ stato per me un viaggio troppo bello. Un personaggio pieno.”

Progetti futuri?
“Sono abbastanza scaramantico. Sto scrivendo, sto portando avanti vari progetti, sto seminando, spero di raccogliere.”

Maresa Palmacci 09-04-2018

Foto: Enrica Brescia 

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