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"La vita ferma": Recensito incontra l'attrice Simona Senzacqua

“La vita ferma. Sguardi sul dolore del ricordo” – in scena al Teatro India di Roma dal 3 al 14 maggio – è uno spettacolo in tre atti che affronta la perdita, il dolore e il ricordo. Tra traslochi, primi incontri, sale d'attesa e abiti a fiori, si intrecciano le vicende di tre protagonisti (padre, madre e figlia) alle prese con il superamento – difficile e complesso – del lutto. Recensito ha incontrato i tre interpreti (Riccardo Goretti, Alice Redini e Simona Senzacqua) e l'autrice Lucia Calamaro. Simona Senzacqua, che in “La vita ferma” interpreta la madre, lavora per il teatro come interprete e autrice (5. - DUET - VIOLA - N.I.L.O. e altri lavori...) e per il cinema (“Una Ballata Bianca” di Stefano Odoardi). La sua storia è legata al teatro di ricerca del circuito delle compagnie indipendenti romane, inizia infatti la sua carriera nel teatro-danza con le Travirovesce per proseguire come performer e attrice (accademia degli artefatti - werner wass - manuela cherubini - bluemotion e altri...) fino agli stabili e al teatro di prosa tradizionale con la compagnia Nutrimenti Terrestri..

Come hai lavorato su un personaggio complesso e stratificato come Simona?

"Sono partita dal testo, un testo che è cambiato moltissimo nel corso delle prove, che ho dovuto studiare e integrare con me stessa. Ho approfondito alcuni concetti legati al tema del ricordo e della morte facendo uno studio personale parallelo al testo. Lucia Calamaro tende a lavorare in profondità e ti dà così la possibilità di conoscerti. Abbiamo tutti lavorato con grande rigore, che è una delle caratteristiche di Lucia che apprezzo di più. Il mestiere dell'attore è un mestiere complicato: mette in gioco voce, corpo, anima... ha bisogno quindi di tanto lavoro per fare uscire te stesso. Col tempo si è creato un collante tra quello che sono io e quello che Lucia voleva raccontare".Senzacqua2

Quali suggestioni hai avuto quando hai letto il testo?

"Le suggestioni venivano durante le prove, non sono arrivata già con un'idea di interpretazione. Anzi, il mio personaggio è cambiato tantissimo durante le prove. A volte è più malinconico, a volte più comico, a volte più brillante, ma ho sempre cercato di mantenere un equilibrio “umano” che non rendesse Simona una macchietta, ma che le concedesse di essere vera. Non ho mai fatto un personaggio così, è uscito dal lavoro che abbiamo fatto insieme noi tre e Lucia".

Che difficoltà hai incontrato nell'interpretare un personaggio che è un fantasma?

"È stato divertente, è come interpretare uno spirito quindi mi è venuto da farlo con leggerezza. I fantasmi che vediamo al cinema e in televisione solitamente ci fanno paura o ci fanno ridere, manca la dimensione umana di sentimento reale. Più che un fantasma Simona è uno spiritello, che torna con la richiesta pressante di non essere dimenticata, ma è consapevole del fatto che il marito la dimenticherà. È una richiesta che non può essere esaudita perché così è fatto il cervello umano. La parte più difficile è stata il secondo atto, dove c'è la malattia, la consapevolezza del fatto che io devo morire".

Della “Vita Ferma” colpisce molto il linguaggio drammaturgico complesso, che però riuscite a mettere in scena con estrema naturalezza.

"Lucia ha fatto in modo che riuscissimo a metabolizzare il testo come personaggi, come Simona, come Riccardo e come Alice, tira fuori i veri noi, per questo sembra così naturale".

Senzacqua3Lo spettacolo libera un'energia fortissima da parte del pubblico, che si è affeziona ai personaggi e si commuove. Come percepite dal palcoscenico il rimando del pubblico?

"Calamaro parla dell'umano in maniera diretta. Il sottotitolo è “dramma di pensiero”, lei lavora sui pensieri che abbiamo tutti, questa è la sua forza e per questo il livello di immedesimazione è così alto. La scrittura in questo aiuta molto perché lavora sul tempo, i tre atti stanno in tre tempi diversi e ci sono continui rimandi, che sono così umani. Questo consente di capire davvero i personaggi, i difetti che continuano nel tempo, le influenze che i tre si scambiano".

Che cosa c'è di te in Simona e cosa ti ha lasciato lei?

"Lascia dentro di me tutto le riflessioni fatte durante il percorso di preparazione. Mi ha portato a pensare alla morte in maniera più profonda, perché poi, alla fine, non ci si pensa mai. Sono rari i momenti in cui uno si mette a pensare “Se io adesso me ne vado, cosa rimarrà di me? Chi sarà veramente dispiaciuto?”. Lucia mi fece leggere un trattato di filosofia sulla morte di Jankélévitch che esordisce con: “Dire che della morte non c'è niente da dire, ma per dire che non c'è niente da dire occorrono molte parole”. Ho un quaderno pieno di appunti che non stanno tanto nel lavoro finale ma sono rimasti in me. Ogni attore dovrebbe farlo, dovrebbe scendere in profondità nel tema dello spettacolo".

Chiara Bravo 13/05/2017

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