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Recensito incontra Marlò, un anno dopo: “Il mio disco d’argento, come un occhio fuori”

Un lato dichiaratamente pop e uno più artigianale, autoriale, a tratti etereo e magico. Sono le due anime della scrittura di Marlò, nome d’arte di Federica Di Marcello, che con il suo album d’esordio “Intro” è tra i candidati alla Targa Tenco 2016 per la migliore opera prima. Noi l'avevamo incontrata un anno fa, alla vigilia del disco, che oggi è realtà e si appresta a viaggiare per lo Stivale. Rispetto al 3 settembre 2015, giorno in cui le abbiamo telefonato da una stanza nel centro di Firenze, Marlò si è resa conto che l'importanza è nella radice e non nella punta (dei capelli). Con lei abbiamo riflettuto sul rapporto tra amore e tempo, un legame che mai si risolve, sull'emozione che tradiscono i colori e sulla poesia di Alda Merini.

Eccoci qua, esattamente un anno dopo. Marlò ha tagliato i capelli e ha pubblicato un disco che è candidato alla Targa Tenco per la migliore opera prima. Dove si trova oggi?
“Ciao Daniele, ho tagliato i capelli convinta di tagliare cose e persone ed un anno dopo mi sono resa conto che cose e persone non stanno nelle punte ma alle radici. Oggi sono in una fase di rielaborazione: ho pubblicato un disco di cui sono molto orgogliosa e mi auguro per questo inverno di avere modo di portarlo in giro il più possibile. Mi trovo a dover essere un po' più concreta di quanto mi piace essere, e devo trovare il modo di far combaciare la realtà con la smodata dose di 'magia' che mi porto dietro. In ogni caso, credo che questo sarà un anno importante, un anno di crescita”.

“Amo i colori, tempi di un anelito inquieto, irresolvibile, vitale, spiegazione umilissima e sovrana dei cosmici perché del mio respiro”. Oppure: “I colori, come i lineamenti, seguono i cambiamenti delle emozioni”. La prima è Alda Merini, il secondo Picasso. Questo disco ha un colore, l'argento. Che anelito, che emozione è l'argento?
“Nonostante io mi ritrovi quasi sempre nei pensieri di Alda Merini, oggi, ti dico Picasso: siamo il ritratto di quello che abbiamo vissuto, ci modifichiamo in base a ciò che viviamo e siamo il risultato di ciò che elaboriamo. L'argento è elegante: lucido, freddo e bellissimo. L'argento mi dà l'idea di qualcosa di lineare, era il colore più adatto a smorzare il calore che io percepisco in questo disco. Dalla mia voce, ai testi alle storie. La copertina di questo disco voleva arrivare come un quadro, quasi a dire ‘il contenuto, la sostanza, la profondità dentro, la bellezza, i dettagli, l'occhio fuori’”.

Niccolò Fabi ha registrato l'ultimo album da solo nelle campagne romane. Tu hai fatto più o meno lo stesso nelle Cantine di Giovanni Sala all'interno del Castello di Badìa di Nicola Dei, immergendoti nelle colline toscane. Dove si ritrovano gli effetti di questa scelta?
“Credo che gli effetti di questa scelta si ritrovino in me (sorride, ndr). Ancora oggi, a distanza di un anno, quando ripenso ai giorni che ho trascorso da Giovanni e Nicola, ho la sensazione di un mondo parallelo. Uno dei periodi più belli del mio percorso. Svegliarsi per un mese e mezzo ogni mattina e sapere di potersi concentrare solo su quello che più ti piace è la cosa più bella del mondo. Non so se l'atmosfera ha influito sul ‘suono’ del disco, ma certamente ha fatto sì che io fossi totalmente predisposta e concentrata. Una serenità che senza dubbio è stata merito del posto e delle persone”.

“Come i fiori a maggio sto sbocciando”, canti in Come i fiori a maggio. Il disco è uscito il 13 maggio: zampino del caso, abile tempismo, o naturale e fisiologica maturazione dei brani?
“Come i fiori a maggio è la canzone più recente di quel disco. L'ho scritta un mese prima di registrare ed è il brano che mi rappresenta meglio in questa fase della mia vita personale ed artistica. Il disco è uscito a maggio ma è stata una casualità. Una bella casualità”.

Non credi che Un sogno bellissimo e La donna di scorta sentano la mancanza di Tu che canti piano? Da cosa deriva la scelta di non inserirla nell'album?
“Sì. Credo che sentano la mancanza di Tu che canti piano tanto quanto la sento io. Qualche tempo fa in un'intervista in radio mi è stato chiesto: «C'è un brano di questo disco che fai fatica a cantare perché ti tocca particolarmente?» ed io ho risposto «il brano che faccio fatica a cantare non è nel disco». È così, credo che questo disco non fosse il posto giusto per questo pezzo, che con il tempo è diventato quasi il mio ‘testamento emotivo’: ci sono dentro due incontri fondamentali della mia vita e vorrei che avesse una collocazione giusta. Magari nel prossimo disco! Sicuramente troverò il modo di dargli spazio... intanto cerco di risolvere la questione del riuscire a cantarlo dal vivo senza sentirmi ‘nuda’”.

Intro si regge sull'amore, che spesso è donna. Un ricordo forse mai vissuto, l'amore tormentato, quello finito, quello sperato, e quello vigliacco, quello immaginato. In Un sogno bellissimo dici che l'amore è vero lume e ragione della vita. Allora il tuo è un disco platonico?
“No assolutamente. Tutto quello che è raccontato in Intro, ogni amore, ogni idea, ogni fine, ogni persona, tutto è stato in qualche modo vissuto realmente... poi io ho senza dubbio un problema con la quantità di magia ed atmosfera con cui vivo le mie cose, e questo fa sì che le racconti in un modo che forse può farle percepire meno carnali di quello che sono, ma lo sono”.

Rimasugli di tempo ed avanzi di cuore”. “L'amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno”, poetava Pirandello. La dialettica tra amore e tempo è al centro di La donna di scorta e di Deja vu. Come si risolve – se si risolve – questo legame nella tua scrittura?
“Non si risolve. Confido nel tempo ma non mi affido. Mi affido alle parole ma evito di confidare totalmente in ciò che si dice. Credo nel ritrovarsi e nel riconoscersi e credo che a domande come questa si possa rispondere solo dopo le tre di notte muniti di un bicchiere di vino (sorride, ndr)”.

Niccolò Fabi, Damien Rice, Bon Iver, Lisa Hannigan. Sono riferimenti in cui ti riconosci? C'è dell'altro?
“Loro senza dubbio. Ho poi un lato pop (con stile) abbastanza spiccato che non rinnego minimamente, da Adele a Paolo Nutini e ovviamente Florence and the Machine”.

Un sogno bellissimo si chiude con il ritornello cantato in inglese. Potrebbero esserci altre incursioni anglofone nel futuro di Marlò? O si tratta di un unicum?
“Mi piacerebbe cantare in inglese e sinceramente credo che la maggior parte di quello che scrivo suonerebbe meglio in una lingua diversa. Le mie storie sono molto legate al modo di scrivere italiano, soprattutto le tematiche, ma le atmosfere delle musiche a cui faccio riferimento sono molto più del panorama estero. Chi può dirlo... magari!”.

Via Borsi è una ballata a metà tra verità e fantasia, e forse ritmicamente ricorda un po’ La ballata dell'amore cieco di De André. Ti va di raccontarci la sua storia?
“Via Borsi è la più classica delle canzoni di questo disco, la più italiana ed è per questo, e lo dico con tutta l'umiltà possibile, che rimanda a De André, fatte le dovute proporzioni. È lunga da raccontare, ma è la storia della mia vicina di casa a Milano... non la svelo così nei prossimi concerti avrò il mio aneddoto da raccontare (sorride, ndr)”.

Rimanendo nel brano, a un certo punto dici “voce di donna, voce di danno”. Anagramma curioso.
“Sì, perché mentre cercavo immagini per raccontare la sua storia mi è venuto in mente il detto 'chi dice donna dice danno'. Nel suo caso, per me lei era la sua voce... quindi ho trasformato la frase in voce di donna, voce di danno”.

“Tornerà la terra follemente bella dopo l'estinzione della razza umana”, cantano i Baustelle in un brano del 2013. Tu nel singolo di lancio del disco L’ultima notte sulla terra immagini forse quello che accade prima del dopo, cioè durante l'ultima notte sulla terra, quando forse l'istinto è più vicino a vincere sulla ragione. Ma poi?
“Ma poi... scrivo bene e razzolo male (sorride, ndr). L'idea è proprio quella: se tutto finisse domani saresti sereno di aver fatto ed aver detto tutto nella tua vita? Io no. Spesso ci penso e vorrei avere il coraggio di fare e dire tutto quello che rimando per paura di rovinare rapporti o destabilizzare equilibri già labili. Ho provato, scrivendo quella canzone, a iniettarmi coraggio ma faccio ancora fatica. Resto però convinta di ciò che dico in quel brano: 'è sempre il momento giusto per dire o fare qualcosa'. Quando basta pochissimo per rovinare qualcosa, vuol dire che quel qualcosa valeva davvero poco”.

A proposito, a settembre 2015 mi avevi confessato: “se potessi musicare Alda Merini sarei felicissima, ma non mi azzardo”. Hai cambiato idea?
“Adoro la sua complessità emotiva e mi ritrovo in moltissime cose che ha scritto. Ogni tanto ci penso ma ho una discreta dose di timore. Vivo vicino casa sua a Milano ed ogni due giorni mi dico di voler andare a vederla, poi non vado mai. Devo trovare lo slancio per fare tutte e due le cose. Magari una tirerà l'altra”.

Per l'intervista di un anno fa clicca qui

Daniele Sidonio 3/09/2016

Foto di Niko Giovanni Coniglio
Makeup e body painting di Stefania Epifano

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