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Recensito incontro Angelo Campolo regista di "Vento da Sud Est"

Qual è la reazione di una famiglia borghese se scopre che uno "straniero" bussa al sua porta? Per provare a rispondere a questo interrogativo, al Teatro India di Roma, il 7 giugno scorso, è andato in scena "Vento da Sud Est", spettacolo prodotto da Daf, Teatro dell'esatta fantasia di Giuseppe Ministeri. Il tema trattato è quello dei migranti e del loro impatto nell'immaginario e nel quotidiano italiano, ma la vera novità è la presenza sulla scena di giovani migranti del Mali approdati nel nostro Paese accanto ad attori professionisti. Per approfondire la genesi di un'opera che parla soprattutto dell'attualità sociale Recensito ha incontrato il regista, Angelo Campolo, autore insieme a Simone Corso anche della drammaturgia dello spettacolo. Campolo, messinese classe 1983, è diplomato alla scuola del Piccolo Teatro di Milano e ha lavorato come attore sia a teatro che in televisione e al cinema. Interprete nel corso degli anni di grandi classici da Edipo Re a Salomè ad Amleto, tra le sue collaborazioni può vantarne alcune al fianco di Luca Ronconi, Antonio Calenda e Franco Branciaroli. In tv recentemente ha recitato nel cast della miniserie di Rai 1 "Tutti i padri di Maria", in "Distretto di Polizia 9" su Canale 5 e nella serie "Non uccidere". Angelo, da vero “polistrumentista” del mestiere attoriale, si è cimentato anche con il cinema - quello indipendente, con "Seconda primavera" del 2016, per la regia di Francesco Calogero – e con le serie diffuse sul web. Nonostante le molte sfaccettature dei suoi interessi, Daf Angelo ha una bussola di riferimento: trattare con sguardo attento le dinamiche sociali contemporanee ed è quello che fa anche nello spettacolo "Vento da Sud Est".

Da dove nasce l'idea di trattare il tema dell'immigrazione dall'interno?

"A Messina, con il gruppo “Daf – teatro dell’esatta fantasia”, siamo impegnati da più di un anno in un percorso che tenta di coniugare ricerca teatrale e integrazione attraverso incontri, laboratori nei centri di accoglienza, performance pubbliche, che hanno come oggetto di studio il rapporto tra noi e lostraniero. Il nostro approccio non è mai giornalistico, non cerchiamo di raccogliere storie, testimonianze, né in di santificare in alcun modo l’immagine dei migranti. Proviamo a incontrarci attraverso gli strumenti del teatro che celebrano la forza dell’incontro umano con tutta la bellezza e le problematicità che in modo diretto o indiretto possono affiorare. “Vento da Sud Est” è lo spettacolo da cui è nato tutto nel settembre del 2015, quando per omaggiare i 40 anni dalla morte di Pasolini, insieme a Simone Corso, abbiamo deciso di elaborare una drammaturgia originale partendo da un romanzo poco frequentato come “Teorema”.Chi è lo straniero che arriva e stravolge l’equilibrio di una famiglia borghese oggi? Cinquant'anni fa, in un contesto socio-politico completamente diverso, l’ospite veniva descritto da Pasolini bello, biondo, provocante, probabilmente venuto dal paradiso a dimostrare come la classe borghese fosse incapace di assorbire il verbo sacro. Oggi, il confronto con lo straniero, specie in una città come Messina che nell’ultimo anno ha accolto 8000 migranti, ci parla di un ospite che viene dritto dall’inferno e forse non ha neanche tanta voglia di interagire con noi, ma piuttosto di attraversarci, dato che, con tutti i nostri allarmismi, polemiche e proclami, restiamo una piccola tappa all’interno di un viaggio “biblico”, per noi ancora difficile da comprendere fino in fondo."

Nostra signora liberta2

Su cosa si basa la storia e qual è il legame che si crea tra i protagonisti?

"Abbiamo cercato di portare alla luce le domande di quel testo. “Sono pieno di una domanda a cui non so rispondere”, scrive Pasolini. Con Vento da Sud Est siamo partiti dall’idea che questa domanda ancora oggi pesa come un macigno sulle nostre coscienze. In scena c’è una grande porta con dietro qualcuno che bussa continuamente per tutto lo spettacolo. Ai ragazzi africani il compito di confrontarsi con Pasolini, chiamandolo direttamente in causa. Chi meglio di loro può raccontare le ferite, i dolori, ma anche la forza e la grande vitalità che può regalarti lo scontro con la vita? Gli italiani, invece, troveranno rifugio tra i fantasmi di Mary Poppins, la più zuccherosa tra le fiabe occidentali che racconta dell’arrivo di un ospite inatteso, spinto dal vento. Tante chiacchere, proclami, preghiere, propositi, progetti a non finire. Ma alla porta qualcuno continua a bussare. Avranno il coraggio di aprire?"

Come ha scelto il cast, soprattutto quello formato da giovani migranti che è il punto di forza di questa drammaturgia?

"Non è stata una scelta programmata in alcun modo, tutto è avvenuto da sé. Abbiamo dato il benvenuto ai giovani migranti nel nostro laboratorio. Il loro ingresso in fila indiana, l’imbarazzo, le risate, gli sguardi incerti, la fierezza e il dolore negli occhi, sono immagini che non scorderò mai. L’intenzione era quella di capire se eravamo in grado di conquistare la loro fiducia, non per raccogliere una “testimonianza”, ma per lasciare che si esprimessero in forma personale e dunque artistica, attraverso la scelta di una musica, di un movimento, di un brano da far leggere. Pian piano è arrivata la scrittura e questo è stato un momento di svolta decisivo che ci ha fatto comprendere che alcuni di loro avevano voglia di affrontare l’avventura dell’andare in scena. vento da sud est 1Nessuno ha avuto precedenti esperienze artistiche, ma nella cultura dei ragazzi del Mali, l’idea dell’aggregarsi intorno a un fuoco per ascoltare un racconto è qualcosa di naturale, che fa parte della loro tradizione. Questo, insieme ad una grande senso della disciplina e ad una disposizione caratteriale mai ostile, ha facilitato il mio lavoro registico e ha reso bello e importante ogni singolo giorno delle nostre prove."

Partendo dalla riflessione pasoliniana di Teorema, nella dolorosa tratta dei migranti che si consuma nel Mediterraneo che significato ha il corpo?Il corpo può essere ancora depositario di dignità?

"È ancora tristemente attuale il rapporto malato che i protagonisti del romanzo di Pasolini hanno con il proprio corpo, con le castrazioni, i divieti, le sofferenze che ciascuno di loro infligge al proprio sentire vitale. Il corpo in occidente perde dignità lì dove è vinto da una paura, assuefatto all'abitudine di voler filtrare la realtà, tenendosi alla larga dal pericolo di impattare in modo diretto con la vita. Cova in segreto il sogno proibito di poter essere sempre più “programmato”, tenuto sotto controllo. Questo è stato uno dei temi centrali che ho chiesto ai ragazzi del nostro laboratorio di sviluppare. Il corpo dei ragazzi africani racconta, per forza di cose, una storia diversa. Il teatro questa cosa aiuta ad esporla in maniera assai evidente. Non parlo solo del senso di pietà e dolore che scaturisce dall'osservare le cicatrici che hanno addosso, tracce tragiche dei loro viaggi. Parlo, soprattutto, del loro senso di libertà, dell’assenza di pudore, dell’adesione istintiva e non intellettuale all'azione, senza l’ossessiva mediazione del pensiero."

Quali sono i pregiudizi più diffusi sulle persone che arrivano sul nostro Paese e come è possibile scardinarli partendo anche dalla dinamica teatrale?

"Per quel che riguarda la mia esperienza personale mi colpisce e sorprende il modo forzato, spesso assurdo, che abbiamo di guardare all’Africa vedendola tutta uguale. Non c’entra neppure il razzismo, credo, né il pregiudizio. È uno sguardo sterile, pigro, privo di qualsiasi tipo di curiosità intellettuale. Da italiani troveremmo impensabile essere accomunati per tradizioni, aspetto e credenze, con Paesi europei lontani come l’Irlanda o più vicini come l'Austria. Eppure fatichiamo a immaginare le profonde, secolari, differenze che attraversano un continente vastissimo come l’Africa. Una lacuna culturale che preferiamo tenere nascosta, invece di provare a colmarla. L’esperienza laboratoriale, in teatro, da questo punto di vista offre la possibilità di un percorso di conoscenza diretta per certi aspetti unico nel suo genere. La collaborazione, giorno dopo giorno, diventa necessaria, così come il processo empatico che ti porta a considerare punti di vista diversi dal tuo. Questo vale sia per gli italiani che per i ragazzi africani, spesso profondamente divisi tra loro. Da regista il laboratorio ti obbliga continuamente a mediare con il gruppo umano con cui ti confronti, portandoti spesso a dover compiere delle rinunce o a trovare dei compromessi rispetto a quanto ti eri prefissato. Questo da alcuni viene visto come un limite, tant'è che spesso il termine “laboratoriale” viene utilizzato come giustificazione preventiva di uno spettacolo incompleto offerto al pubblico. Io al contrario credo che si tratti di una grande sfida in grado di poter immettere nel nostro lavoro una diversa emotività e un sguardo sulla realtà più partecipe di quanto spesso riusciamo a fare da persone che vivono occupandosi solo di teatro."

Ilaria Vanni 9/08/2017

Leggi qui la recensione di "Vento da Sud Est": https://www.recensito.net/teatro/vento-sud-est-daf-corso-campolo-teatro-india-roma-recensione.html

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