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Intervista a Renato Caruso: è uscito “Aram”, un lungo viaggio d’amore tra le corde

Renato Caruso è un chitarrista, ma non solo: è uno scrittore, è un viaggiatore, è un compositore. La musica lo ha condotto su vari sentieri, gli ha fatto vivere esperienze diverse, ma è sempre nella pace delle note fiorite nelle sue melodie che lo fa tornare.
Abbiamo parlato del suo ultimo album, “Aram”, uscito in Italia il 20 maggio 2016. Lavoro di sole chitarre, il disco esprime nelle sue 11 tracce la visione emozionale di un artista fresco, sperimentatore e piacevolmente ammaliante.
Potremmo definire il tuo “Aram” come un affascinante lungo viaggio che dal suo paese natale la conduce nel mondo, a Parigi, in Spagna, in Asia?
“Sì, certamente. Tutto parte dal mio paese di origine, vicino a Crotone, e si dirama come una sorta di viaggi di Gulliver. La mia vita è un continuo spostamento: sono stato prima a Bologna dove ho studiato e poi a Milano. Ho anche viaggiato un po', sono stato in Inghilterra, a Parigi, in Germania; da ogni esperienza, da ogni luogo dove mi trovavo prendevo tutto il possibile, tutta l’influenza possibile. Sono stati anche periodi brevi, però mi bastava anche poco tempo per capire l’aria che si Aram4respirava e per lasciarmi coinvolgere”.

Oltre a un viaggio nello spazio, “Aram” forse può essere definito anche come un viaggio nel tempo? Ci sono infatti composizioni ispirate ai tempi medievali, altre appositamente elaborate per il tempo del riposo, della tranquillità, del ricordo.
“Esatto, oltre allo spazio c’è da considerare anche il fattore tempo. Credo ci siano dei momenti in cui si può ascoltare una musica e dei momenti nei quali se ne ascolta altra o nessuna. La maggior parte dei brani che ho composto sono più orientati alla ricerca di un puro ascolto rilassato: ad esempio mi hanno detto che sono perfetti mentre si lavano i piatti, oppure che sembrano la colonna sonora di un film. Questa è la sensazione che cercavo di stimolare, mi fa piacere averla ottenuta”.

Qual è il brano che rappresenta il pezzo di strada per te più importante?
“Sicuramente “Aram”, che dà il titolo del disco ed è il primo brano. È Mara, il nome della mia compagna, al contrario. L’amore a volte fa brutti scherzi!”

Da dove nasce e come nasce la tua ispirazione? Come componi?
“Di solito scrivo quando mi succede qualcosa, anche minima, oppure quando mi colpisce una musica, o anche quando sono triste, non dico depresso, ma triste. Ci sono dei momenti bui nel percorso personale di ognuno: anche nella mia vita ce ne sono stati tanti, però ho cercato sempre di mantenere il sorriso e di affrontarli in maniera costruttiva. Ecco perché da questi nascono spesso delle canzoni. Ma non sono necessari solo momenti di sofferenza: compongo anche ispirato da accadimenti sia sociali che personali, ad esempio qualche storia d’amore mi ha ispirato diversi brani. Ho una composizione abbastanza estemporanea, sicuramente nulla è programmato, non ci riesco, solo quando prendo spontaneamente la chitarra in mano riesce a uscirne qualcosa di valido.

Hai inoltre inventato un vero e proprio genere musicale.
“Sì, è stata anche la tesi della mia laurea a Milano. Si chiama Fujabocla. Questo termine l’ho coniato circa 10 anni fa, e lentamente si è sviluppato ed è diventato realtà. È l’acronimo di quattro generi musicali: funk, jazz, bossa e classica. Credo che questi siano i quattro generi musicali più influenti al mondo, e portano necessariamente a una contaminazione tra di loro e con altri, che io chiamo pop contaminato. In alcuni brani di “Aram” si sente questo genere, soprattutto in “Tarantella”: ci sono alcune parti in cui io faccio un mix tra jazz bossa e classica. Solo ascoltando il brano e il disco però si può capire a fondo quello che sto spiegando, a parole non è mai facile illustrare la musica”.

Quali sono i musicisti che più ti hanno influenzato?
“Senz’altro Pino Daniele. In Italia era senza dubbio il numero uno, insieme a Battisti e Alex Britti. Internazionalmente parlando, Beatles Sting e Rolling Stones sono i miei maggiori spunti, oltre alla musica classica, perché comunque io provengo da un percorso di studi di conservatorio”.

CarusoHai anche scritto un libro “LA MI RE MI”, edito da Europa Edizioni e dedicato proprio a Pino Daniele.
“Sì è vero. Stavo già scrivendo qualche appunto quando a gennaio ho avuto la terribile notizia della sua scomparsa e d’istinto ho deciso di dedicarlo a lui. Inoltre c’è un capitolo che parla proprio di Pino Daniele, della sua tecnica chitarristica. La gran parte del libro invece parla di informatica musicale, quindi di studi scientifici che vanno da Pitagora a Steve Jobs, partendo da come si muove la corda e la vibrazione nel tempo e nello spazio, passando per il piemontese Leonardo Chiariglione che ha scoperto l’mp3 e arrivando a Steve Jobs che lo ha usato per cambiare la discografia”.

Come percepisci la situazione musicale in Italia, in particolare per quanto riguarda la musica strumentale? Ritieni le sia dedicato abbastanza spazio e attenzione?
“No, purtroppo abbiamo pochissimo spazio. Molte orchestre stanno chiudendo, tanti musicisti non hanno più lavoro. È una scelta di vita molto difficile, a meno che qualcuno non abbia qualcosa di veramente forte da dire. Penso infatti che se un artista di qualunque ambito -musica, letteratura, pittura- voglia veramente dire qualcosa di profondo, la gente alla fine lo capisce. L’Italia resta comunque un Paese di cultura, anche se ora è difficile: la gente non è stupida, se qualcosa è buono e valido viene apprezzato. Altrimenti non si potrebbe spiegare come ad esempio un libro riesca ancora a vendere centinaia di migliaia di copie. Quindi bisogna sempre cercare di dare il massimo, e se si riesce a raggiungere un ottimo livello qualitativo ed emotivo allora si riesce ancora ad attirare l’attenzione della gente”.

Credi che all’estero la situazione sia migliore? Cosa hai percepito nei tuoi viaggi?
“No, secondo me sono tutte cavolate. Anzi, credo sia più difficile trovare spazio all’estero per un italiano. In una città inglese o spagnola è difficilissimo emergere, a livello musicale c’è veramente una grande competizione. Io parto dall’Italia perché sono italiano, e da qui devo e voglio partire. Poi se devo andare oltre, volentieri. Ma oltre il confine non c’è certamente un Paradiso”.

Giulia Zanichelli 09/06/2016