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Il mio jazz riflessivo: Recensito incontra Fabrizio Savino

Un jazz intimistico che cerca spazio in Europa. Fabrizio Savino è un musicista di talento, compositore raffinato e attento, ragazzo modesto – "umano" come si definisce preferendo il "tu" al "lei" – cultore dell'ordine musicale e della narrazione ritmica. Noi di Recensito lo abbiamo raggiunto al telefono per farci raccontare il suo terzo progetto discografico "Gemini" – inciso in compagnia di Luca Alemanno al contrabbasso e Gianlivio Liberti alla batteria – e per riflettere con lui delle difficoltà "spaziali" di un musicista giovane che produce qualcosa di molto lontano dal pop che domina il mercato.

Entriamo subito nel disco: al primo ascolto emerge la tua anima intimistica. È un'accezione in cui ti ritrovi?
"Un po' sì, in riferimento sia al disco sia al mio carattere, perché sono uno riflessivo. Il disco lo è ancora di più perché fa parte di un percorso emotivo, chiaramente è qualcosa che si costruisce in base a delle forme di pensiero".

Quali sono le differenze di "Gemini" rispetto ai precedenti due dischi (“Metropolitan Prints" e "Aram", ndr)?
"Dal punto di vista prettamente stilistico ho un po' di difficoltà a definire la differenza, in quanto sono tutte composizioni di mio pugno. Alla fine c'è sempre un'idea caratterizata dal momento in cui ho scritto la musica per quel determinato disco. Dal punto vista invece strutturale le differenze ci sono in tutti e tre, perché c'è sempre un cambio di formazione: Metropolitan Prints, il mio primo lavoro, è un quintetto con due fiati più chitarra contrabbasso e batteria; Aram invece è un disco in quartetto col pianoforte; con Gemini invece ci troviamo in un trio, quindi dal punto di vista della formazione sono completamente differenti. E la formazione inficia molto nel suono globale del disco e nella composizione".

È un disco in cui non ci sono fiati né archi.
"In Gemini no. Ci sono più che altro tracce di voce che ho registrato con dei panoramici in una stanza, che hanno ripreso un canto che io facevo anche a seconda del tema".

E' qualcosa che avevi previsto prima della composizione o che è venuta fuori in fieri?
"Diciamo che io un po' uso la voce mentre suono come una sorta di mantra, mi dà la capacità di concentrarmi e relazionarmi maggiormente al parlato e alla nota, in quanto il fiato è un collegamento più diretto rispetto a uno strumento di legno che aggiungi alla tua idea musicale. In Opposing Thoughts, brano di apertura, è un effetto desiderato, volevo sentire una voce che non fosse una vera e propria voce ma una sorta di chitarra a distanza, per dare tridimensionalità all'esposizione di un tema. Negli altri brani sono più che altro casuali: ho provato l'effetto, è una cosa che mi è piaciuta e l'ho tenuta".

A proposito di prove ed effetti. Mi sembra che in questo disco ci sia anche una linea narrativa. Seppur la parte diciamo testuale è riservata ai titoli dei brani, la tensione narrativa ed emotiva – e di conseguenza anche ritmica – cresce e tocca il picco nella traccia 8 ("The Inception and The End", ndr) e poi si avvia verso la coda. Non so se sei d'accordo con questa sintesi. In parte mi hai già risposto prima, ma è una cosa prevista? Avevi già in mente l'impalcatura generale del disco oppure tutto si è proposto brano per brano?
"Se dovessi analizzare i miei lavori passati e il modo in cui gestisco la composizione, diciamo che è veramente come fosse casuale però poi ricercata, nel senso che inizio a scrivere brani legati al mio percorso artistico e di vita di quel preciso istante, ed è come se nascessero naturalmente, in una sorta di scaletta, di consequenzialità emozionale. Quando registro non seguo un ordine legato a quello che poi vorrei il disco fosse, ma è come se fosse naturale: definisco una struttura che probabilmente era quella che già volevo. Casualmente ci sono dei brani messi in ordine, e a posteriori mi sono accorto che sono brani che ho scritto in ordine: ad esempio fino alla terza traccia si tratta di brani che sono nati in ordine e sono finiti così anche nel disco".

Sei alla terza esperienza discografica. Ti chiedo se e perché è difficile – o se per te è stato così – emergere per un musicista giovane, e soprattutto per un musicista giovane che fa una musica un po' distante dal pop che domina il mercato.
"È difficilissimo rispondere, sicuramente in Italia ci si lamenta un po' troppo in tutti gli ambiti. Il mio percorso è stato complesso però mi sento anche fortunato, ho avuto la fortuna di trovare al mio fianco dei collaboratori sinceri e questo mi ha dato la possibilità di arrivare a un terzo lavoro discografico grazie anche a stimoli e apprezzamenti ricevuti. Tra quello che desidererei avere quando pubblico e quello che ho... beh, c'è una differenza, ma anche le cose che in piccola percentuale si avverano non sono altro che stimoli a continuare. Le difficoltà ci sono, ma c'è anche la possibilità di espandere il proprio lavoro in tutto il mondo se uno ha sacrificio, pazienza e fortuna per trovare spazio. Comunque le difficoltà esistono come in tutti gli ambiti, non credo che la musica sia l'unico problema da risolvere per l'Italia".

L'ultima domanda: dove andrà adesso Gemini?
"Mi auguro il più possibile davanti alle persone. La promozione è un passo importante, ma sicuramente il desiderio che accomuna tutti i musicisti è quello di suonare. Ci sono già date in Italia, tutte al Sud, poi verso il prossimo autunno si dovrebbe delineare un tour tra Belgio e Francia. Diciamo che questa volta vorrei provare ad esportare maggiormente fuori dall'Italia. Fino ad Aram l'Italia mi ha dato, adesso vorrei relazionarmi con un pubblico differente".

Anche perché il tipo di musica si presta a essere transnazionale, se vogliamo.
"Assolutamente. C'è anche un po' più di attenzione agli spazi dove poter fare musica. Rientro da un'esperienza a Bruxelles, dove come dicevo dovrei tornare in autunno, dove c'erano tanti club che programmavano. È una cosa molto bella. C'erano anche serate dove non c'era nessuno, però ci sono spazi".

Daniele Sidonio 24/01/2016