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Graziano Piazza racconta a Recensito il suo “MisuraXMisura”

È in scena al Teatro India, fino all’11 dicembre, “MisuraXMisura”, una delle opere più affascinanti di Shakespeare, nella traduzione e nell’adattamento di Graziano Piazza, il quale ha dato vita ad una pièce che mette al centro l’individuo, invitando a guardare dentro di noi, a conoscerci e a trovare quella misura, quell’equilibrio necessario a governarci. Un vero e proprio caleidoscopio di emozioni, sentimenti, temi contrastanti , dualismi, vizi e virtù, una tragicommedia in costante equilibrio tra leggerezza e dramma, un classico dal sapore fortemente attuale, quasi eterno.
Il regista e interprete racconta così ai lettori di Recensito, con questa intervista, i dettagli della suo spettacolo, spiegandone il significato più profondo.

A 400 anni dalla scomparsa di Shakespeare porti in scena “MisuraXMisura”. Perché proprio quest’opera del Bardo e che relazione può avere con la società odierna?
“La ragione e la necessità di questa scelta è perché rispetto ad altre pièce, “MisuraXMisura” è quella che più ha una coralità d’insieme, in cui un intera società, il governo di una città, che può diventare di una nazione, ma purepiazza1 di un mondo, riesce a farci vedere che le stesse cose possono riguardare dal grande uomo al piccolo uomo, anche non chiuse in se stesse, ma aperte verso la ricerca di un governare, osservare e sentire che cosa vuol dire cambiare per quanto riguarda se stessi. È come se questa pièce ci desse modo di cogliere la possibilità diretta tra la parola e l’azione”.

Si affrontano lussuria e devozione, altruismo ed egoismo, pietà e rabbia, politica ed etica, giustizia e compassione, tematiche forti, antitetiche e più che mai attuali. In che modo si può arrivare ad una misura, ad un equilibrio tra le parti, sempre in relazione alla società contemporanea e come cerchi di manifestarlo nello spettacolo?
“Chiaramente Shakespeare non dà una soluzione vera e propria, non dà una misura. Noi per altro lo abbiamo chiamato “MisuraXMisura” con la x, perché volevamo che la parola “misura” si confrontasse e si specchiasse con se stessa. È come se questa x fosse la spiegazione di un calcolo, ma anche un modo affinché le due parole in qualche modo si doppiassero, si guardassero nel suo doppio, per cui questa misura indica la possibilità di guardarsi, di osservarsi, di riconoscersi nell’altro e attraverso l’altro guarire delle proprie ferite o grazie all’altro riuscire realmente a vedere le proprie abitudini, le proprie emozioni, anche le proprie violenze, ciò che l’istintività bestiale degli uomini non riesce tanto a contenere . Le meravigliose musiche di Arturo Annecchino cercano di alleggerire tutto ciò, non è un’opera pesante, bensì passa attraverso leggerezze e si precipita verso tensioni e crudeltà. Quindi i linguaggi continuano a essere presenti, e si alternano un linguaggio più alto e uno più basso, ciò che riguarda il cielo e ciò che riguarda la terra, ciò che riguarda una purezza e ciò che riguarda una virtù negata, anzi la volgarità quasi . Tutto questo secondo me è molto vicino alla dimensione contemporanea, come tutti i classici che sanno essere costantemente contemporanei e contemporaneamente si rinnovano, proprio per questo abbiamo scelto di intraprendere anche una via di nuova traduzione”.

piazza2Sei rimasto fedele all’opera di Shakespeare? In quali termini e prospettive ha attuato questo riadattamento?
“Sono rimasto fedele a Shakespeare, ho fatto soltanto dei tagli e ho ridotto gli attori da 17-18 a 12 , eliminando alcuni minori personaggi minori, però ho fatto ad esempio un inglobamento se così si può dire: il personaggio del boia l’ho incluso in quello di Pompeo. Pompeo doveva diventare il suo assistente, invece io lo faccio diventare proprio il suo sostituto , perché il boia in questo momento è malato e non c’è, allora anche in basso nelle carceri, come in alto c’è stato il vicario sostituto del Duca , c’è il sostituto. “MisuraXMisura” è una delle pièce più cariche di indicazioni bibliche, come dice il titolo stesso, ed è un una’ occasione per guardare a che punto siamo. Ho fatto poi piccoli adattamenti minimi, ad esempio Madame Oberdan l’abbiamo chiamata semplicemente Madame ‘O ,un riferimento kleistiano, però anche di questa “O” che è la grande “O” del Globe. È una ruffiana, una prostituta che interpreta la virtù al contrario, è come se fosse la regina dei bordelli, se fosse qualcosa che parla della filosofia del bordello, del che cosa vuol dire vendere il proprio corpo. Allora ho inserito una citazione da Klossowski , dal testo “Moneta vivente”, in cui parla dello scambio dei corpi dal punto di vista del capitalismo.

Dal punto di vista registico come hai cercato di mettere in scena questa tragicommedia, tra ironia e leggerezza? Hai accentuato più l’aspetto ironico o quello tragico?
“Sicuramente quello ironico, quello di una crudeltà che sa far anche divertire proprio perché è così crudele, e lo fa con nulla. Infatti in maniera shakespeariana abbiamo solo un luogo neutro, con delle quinte e un fondale che può illuminarsi. Siamo in una condizione molto vicina a quella del Globe, cioè lasciamo che l’immaginazione crei ciò che la parola di Shakespeare dice. Abbiamo eliminato nell’adattamento anche i riferimenti alla città di Vienna, ossia i riferimenti sono a un luogo che può essere ogni luogo , che può essere ovunque e da sempre, anzi forse qualcosa che può essere addirittura proiettato nel futuro.

Il cast è numeroso e molto valico, con numerosi giovani attori. Che valore può avere secondo te per un pubblico giovane uno spettacolo come questo che ha al centro l’uomo con le sue contraddizioni?
“Secondo me i giovani si divertono, colgono l’aspetto bislacco, un po’ più paradossale del testo. Questa estate quando abbiamo debuttato a Segesta, c’erano ragazzi a cui era piaciuto molto e c’erano anche dei bambini che si appassionavano alla storia, che ne prendevano parte, perché in qualche modo si crea una sorta di spy story e si desidera sapere come va a finire. Ad un certo punto c’era il Duca che doveva dire che il fratello di Isabella era morto e un bambino ha urlato “non è vero, è nascosto”.

È una pièce che lascia comunque un barlume di speranza.piazza3
“Il finale è un happy and un po’ amaro sotto certi aspetti, perché queste coppie che si rimettono insieme, non si capisce più dal punto di vista affettivo che tipo di rapporto possano avere . Nel quinto atto si entra veramente nella recita, è come se ci fosse al quadrato, ed è lì che la misura si specchia con se stessa, il teatro e quella x in cui la misura da parte del pubblico è quella soglia che permette di specchiarsi. Abbiamo cercato con semplicità di mezzi e relazioni di entrare nella complessità dello spettacolo e renderlo in qualche modo godibile.”

Si tratta quindi di un esempio di teatro classico per affrontare il presente. Per te che nella tua carriera ti sei spesso occupato di drammaturgia contemporanea, com’è stato cimentarsi con un classico?
“Ho avuto spesso modo di lavorare con i musicisti e i grandi musicisti di musica contemporanea sono dei grandi strumentisti di musica barocca, le strutture della contemporaneità hanno a che fare con archetipi classici. Per cui rielaborare ed entrare nella vibrazione della parola shakespeariana, cercando di mantenere il verso, di tenere presente una ritmica, una danza dei corpi, è molto vicino in realtà a una contemporaneità. Non c’è classicità, il modo è quello di confrontarsi con ciò che appare e ciò che è. E questo riguarda sia la contemporaneità, che la classicità”.

Sei anche interprete. Che approccio hai avuto invece dal punto di vista attoriale?
“Questa estate interpretavo il Duca, adesso invece sono Angelo, la vittima che il Duca elegge e che mette sotto osservazione in questo suo grande esperimento alchemico, che crea i presupposti affinché il calore suscitato dall’attrito emozionale affettivo che questo Angelo ha, offra la possibilità di sciogliere gli elementi, quindi di ricrearli e trasformarli in qualcosa di nuovo”.

Maresa Palmacci 04/12/2016

Foto di scena: Achille Le Pera