Per Federica Fracassi “Magda e lo spavento” rappresenta il culmine di un impegno attoriale lungo e complesso. Lo spettacolo, in scena al Teatro India dal 19 al 24 aprile, è l’ultima parte della trilogia “Innamorate dello spavento” scritta da Massimo Sgorbani, attraverso cui l’attrice ha avuto l’occasione di affrontare l’amore folle e incomprensibile di tre personaggi per Adolf Hitler. Dopo Blondi, pastore tedesco del fuhrer, ed Eva Braun, è ora la volta di Magda Goebbels, moglie del ministro della propaganda del Terzo Reich, che uccise i sui sei figli prima della liberazione di Berlino.
Perché ha scelto di interpretare “Innamorate dello spavento”?
“La decisione è maturata dall’incontro con Massimo Sgorbani, autore dei tre testi. Lui stimava il mio lavoro e quello del regista Renzo Martinelli, e noi stimavamo il suo. Così mi ha dato da leggere il primo di questi testi, “Blondi”, sul pastore tedesco di Hitler, e io me ne sono subito innamorata. Era scritto con un linguaggio veramente candido e puro, quello di un cane innamorato del suo padrone. Sgorbani era riuscito, non so come, a far parlare davvero un cane, senza psicologia ma con un ritmo, con un respiro, proprio da animale. Da qui è nata questa indagine intorno a queste figure che si sono uccise o hanno fatto una fine tragica perché innamorate di Hitler. Quello che volevamo venisse fuori non era tanto l’orrore del nazismo, che mi sembra abbastanza scontato, quanto piuttosto come sia facile entrare in un gorgo di male, un vortice, in cui queste donne sono completamente prese, anche se in modo diverso”.
Parliamo di una forma d’amore molto difficile da comprendere. Come cambia e in cosa differisce l’amore delle protagoniste dei tre spettacoli?
“Quello di Blondi è incondizionato e inconsapevole. Quello di Eva è un altro tipo di inconsapevolezza: a differenza del cane, è in parte cosciente di quello che accade, ma la sua razionalità è offuscata dal suo amore. Lei ragiona con il cuore, di pancia, come un’adolescente innamorata di una rock star che non vuole vedere, non vuole sapere, non vuole veramente confrontarsi con la realtà. Lei vive di immaginazione, di proiezioni. Non è un caso che Sgorbani abbia creato un doppio, con cui Eva si confronta, che è Rossella O’Hara, la protagonista di “Via col vento”. È come se Eva recitasse continuamente, immedesimandosi nell’eroina del suo film preferito. L’amore di Magda Goebbles, che portiamo ora in scena all’India, è un amore più razionale e ideologico, dotato di grande consapevolezza, ma anche qui la razionalità è scavalcata, questa volta dalla follia. Magda e Hitler, che in scena è interpretato da Milutin Dapcevic, sono a un livello di psicosi talmente alto che parlano continuamente di nazismo, alimentando la loro passione senza mai sfiorarsi, consumando il loro amore solo nell’ideologia, nel trasporto per il nazismo”.
Parlano di nazismo, è vero, ma sembrano in realtà discutere di tutt’altro.
“Sgorbani li fa parlare di cartoni animati di Walt Disney: anche qui c’è una rimozione continua della realtà, per cui non parliamo delle bombe, dello sterminio degli ebrei, ma riusciamo a riportare l’ideologia nazista e i discorsi sulla discriminazione raziale nella storia di Biancaneve e i sette nani o di Topolino. È come una fiaba nera, tanto che anche loro diventano quasi delle marionette, dei corpi sempre più rigidi, che perdono completamente il contatto con qualcosa di organico e di reale, come se vivessero in un’altra realtà. Un modo folle di dissertare che mantiene però una sua, pur tremenda, logica. Una follia manipolatoria, in cui le convinzioni personali hanno la capacità di creare un gruppo d’ascolto molto forte. Certo Hitler ha approfittato del vuoto politico della Germania del tempo, però poi le persone l’hanno seguito. È questa la cosa che mi spaventa di più e che mi apre delle domande: il fatto che il male sia lì a un passo, anche dentro di noi”.
Mi sembra, infatti, che analizzando l’amore di queste tre figure che lei ha affrontato si apra anche uno spiraglio alla comprensione della grande infatuazione collettiva avvenuta nei confronti del nazismo.
“Il loro amore è singolare ma può essere letto anche in un’ottica collettiva. Queste tre fasi dell’amore, quello animale, fisico, incondizionato, quello da eroina romantica, quello psicotico e razionale, sono facce di una stessa medaglia attraverso cui cercare di capire come queste emozioni abbiano preso gli animi di tanti, in maniera a volte anche superficiale. Ce ne accorgiamo oggi con facebook, dove tutti sono pronti a seguire l’opinione predominante senza essere veramente informati e consapevoli”.
Tra le tre donne della trilogia, Magda Goebbels è forse quella più difficile da comprendere e con cui trovare dei punti di contatto, anche alla luce del terribile gesto finale verso i figli. Come ha lavorato per avvicinarsi al personaggio?
“Il mio non è stato un lavoro filologico, ho cercato di non farmi troppe domande psicologiche, né di studiare troppo le protagoniste della trilogia. Sono voluta partire da me, cercare quei contatti, seppur minimi, con i personaggi. Sfumature, certo, qualche meccanismo che posso riconoscere. Molto importante è stata la componete fisica: il nostro approccio, mio e del regista Martinelli, è molto esteriore, da fuori a dentro, più che da dentro a fuori. Per Eva Braun ho guardato le sue immagini e i filmini fatti a Berchtesgaden. Anche per Madga sono partita dal suo ritratto, che mi ha fatto pensare subito a una certa rigidità. Forse non era vera, non possiamo saperlo, ma mi sembra che una donna che metta al mondo sei figli e poi scelga di ucciderli debba per forza essere capace di una scissione netta, di una rimozione forte, che ho voluto rendere appunto con una rigidità fisica, quasi da burattino”.
Dopo due monologhi si trova ora a dividere il palco con un altro attore, Milutin Dapcevic, che per la prima volta da consistenza corporea al depositario dell’amore delle protagoniste, cioè Adolf Hitler.
“È stato molto bello. Milutin è un attore che io stimo moltissimo, lo conosco da vent’anni e ho già lavorato tre volte con lui, abbiamo un’intesa molto forte in scena. Questa intimità è importante perché ti permette di lavorare a un livello superiore fin dal momento delle prove. Al di là di questo, anche ritmicamente è importante avere due voci, due corpi che interagiscono tra di loro e con la musica di Fabio Cinicola, fatta con strumenti giocattolo, che diviene quasi una terza voce, essendo eseguita dal vivo”.
È stato difficile lavorare su una drammaturgia che si è sviluppata su tempi così lunghi (“Blondi”, primo capitolo trilogia, è andato in scena nel 2012, “Eva” nel 2013 n.d.r.), o questa caratterista ha portato qualcosa in più allo spettacolo e alla sua evoluzione?
“Secondo me è stato un arricchimento. I tre spettacoli sono certamente speculari, pieni di collegamenti e di rimandi, ma al tempo stesso hanno dei linguaggi molto differenti, le regie sono molto diverse, nonostante siamo firmate sempre da Martinelli, e anche il mio approccio recitativo e molto diverso. È stata per me una grande prova, perché mi sono trovata a lavorare su un unico tema potendolo analizzare da più punti di vista, realizzando tre spettacoli autonomi in cui mi sono buttata a capofitto. È un progetto a cui sono molto affezionata e che mi ha dato tanto”.
Gianluca De Santis 23/04/2016
Per approfondimenti sullo spettacolo: https://www.recensito.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=14742:esercizi-di-stile-visioni-a-confronto-su-magda-e-lo-spavento&Itemid=121