In occasione del ritorno a Napoli di Dylan Dog Experience, nell’ambito del Napoli Teatro Festival 2019, abbiamo intervistato il regista del progetto e direttore del Comicon di Napoli, Claudio Curcio. Gli uffici del Comicon sono a Via Chiaia, in un palazzo antico, quasi invisibili, se non sai cosa cercare. Quando varchi la soglia, è come entrare in un universo parallelo, in stanze con scaffali ricolmi di volumi, disegni, ricordi e passione.
Dylan Dog Experience è alla sua terza edizione: la prima volta nel 2016 a Lucca Comics, poi al Comicon nel 2017 e ora quest’anno. Com’è nata l’idea di un progetto interattivo?
“Nel 2016 la Bonelli festeggiava il 30° compleanno del personaggio di Dylan Dog e ci chiesero di realizzare qualcosa. Il progetto iniziale era quello di una mostra, ma quell’anno ero stato in vacanza a New York e lì vidi uno spettacolo, Sleep no more, un riadattamento delle opere shakesperiane, in cui i visitatori si muovevano tra varie stanze e interagivano con gli attori. Da lì, è venuta l’idea di creare qualcosa di nuovo.”
Avete riscontrato difficoltà nel dare vita a un personaggio che è nato nei fumetti?
“Non abbiamo avuto particolari problemi nel trasportare i personaggi dalla carta alla realtà. La difficoltà maggiore era quella di vedere se il pubblico, anche non appassionato conoscitore, o che addirittura non ne sa niente, poteva apprezzare qualcosa del genere. Abbiamo avuto un riscontro positivo, questi primi giorni sono stati ricchi repliche, c’erano gli appassionati, come una coppia di Firenze che è venuta con le figlie e una di loro si chiama Morgana (il nome della madre di Dylan Dog). Sono rimasti contentissimi dei dettagli, che sono notati solo dagli appassionati, i visitatori che non li notavano, invece, hanno comunque apprezzato le scenografie, quindi, anche questa è stata una risposta in cui speravamo: con i dovuti accorgimenti, Dylan Dog Experience funziona per chiunque. Anche grazie al taglio che Sclavi ha dato alle sue storie: dal comico, all’horror, ma anche un po' sopra le righe. È stato facile metterle in scena con gli attori, perché rendono bene quello che c’è nei fumetti, situazioni comiche e grottesche che si mescolano al genere. Gli attori sono di Firenze, a Lucca ci occorrevano performer locali, ma con loro abbiamo continuato, sia al Comicon due anni fa, sia oggi. A loro si sono uniti degli attori napoletani e con il tempo hanno migliorato sempre di più la loro interpretazione.”
Sono rimasta molto colpita dall’uso della maschera di Dylan Dog che viene data a tutti i visitatori. È un modo per dire che tutti possiamo essere Dylan: un personaggio che non ha superpoteri, eccetto un quinto senso e mezzo, attratto dall’irrazionale e profondamente umano
Sì, è così. Secondo me il grande successo di Dylan Dog è questo: è timido, impacciato, al tempo stesso uno sciupafemmine, sempre un po' triste, è un ex alcolista, ha cambiato più lavori. Sclavi quando l’ha creato, insomma, ha creato una persona comune, non un anti-eroe, perché, a suo modo, è eroico, ma un personaggio in cui tanti si possono identificare. Il suo successo è anche dovuto al fatto che riesce ad appassionare anche persone dell’altro sesso: nelle sue storie ci sono tante figure femminili, molte delle quali si innamorano di lui. Da qui l’idea della maschera. Pensa che il titolo di lavoro era “Essere Dylan Dog” e così l’abbiamo promosso nell’ambito del Napoli Teatro Festival. In questo modo, poniamo l’accento su qualcosa che è un po' diverso dal concetto di gioco che la parola experience può evocare. Fare una mostra interattiva di Tex, ad esempio, in cui si fa indossare la maschera di Tex, avrebbe avuto meno senso. Mettere la maschera di Dylan Dog, per uomini, donne e bambini, invece, funziona. È un personaggio universale.”
Come mai la scelta di Palazzo Venezia?
“Noi avevamo bisogno di uno spazio con delle sale abbastanza grandi per riuscire a far svolgere la scena e il NTF ci ha proposto delle sedi, noi siamo nello spazio dell’ambasciata, ci siamo trovati bene anche con i ragazzi che la gestiscono. Una delle stanze l’abbiamo utilizzata con l’arredamento che già c’era. Poi, siamo nella zona dei Decumani e anche questo ha aiutato per l’affluenza. Ora, siamo in trattative per trovare a Milano degli spazi per una versione definitiva, per modo di dire, che sia autonoma dal fumetto e che possa andare in scena per tutto per l’autunno.”
Leggeva Dylan Dog quando era piccolo? Il suo numero preferito?
“Per me è “Il lungo addio”, un grande classico (n. 74 uscito nel novembre del 1992). Mi piace molto, perché rappresenta bene lo spirito di Dylan Dog per gli appassionati. In realtà, molti lo trovano melenso e fuori dalla serie, dopotutto, è basato su un soggetto di Mauro Marcheselli, ma è il mio preferito, senza dubbio.”
Com’era essere un appassionato di fumetti negli anni ‘80?
“Ho sempre letto fumetti, nel senso che i miei genitori non mi hanno mai fatto problemi. I primi che ho letto erano le storie Disney: si chiamavano “Impara a leggere con Disney”. Però, poi, non ho continuato, quando sono cresciuto. Ho ritrovato il fumetto quando avevo 16/17 anni, in quell’età in cui gli altri, invece, lo abbandonavano. Ho ritrovato i Marvel, che avevo letto da piccolo ed erano più evoluti. Ricordo quando vidi lo Spider-Man di Todd McFarlane: era una novità per me. All’epoca, a Napoli, c’era un unico negozio di fumetti, L’arte del fumetto a Via Tarsia, eravamo pochi, nessuno ti seguiva e ti capiva. La situazione era completamente diversa: non c’erano eventi dedicati ai fumetti, non c’erano fumetti nelle normali librerie. In seguito, poi ho aperto una libreria con un amico a Sedile di Porto. Proprio da questa situazione è nato il Comicon: abbiamo proposto a Galassia Gutenberg di fare una sezione a fumetti nella fiera dei libri a Napoli, ma a loro non interessava il progetto. Così noi ci siamo dedicati a fare un evento per il fumetto. Chissà, se Galassia Gutenberg avesse detto di sì, allora magari il Comicon non esisterebbe.”
Com’è stata quella prima edizione?
“C’erano degli appassionati: al primo anno, nel ‘98, facemmo 5000 visitatori, ma senza social media, senza pubblicità e anche se fu un fallimento, perché ne aspettavamo di più e ne servivano di più, anche per coprire i costi, allora per Napoli fu un successo. Oggi, il fumetto è più riconosciuto, è una forma di comunicazione come la letteratura, il cinema, e come loro non ha un’età. Prima era considerato solo per ragazzini, ma non era così, perché anche nei primi Comicon c’erano persone di tutte le età. Ognuno di noi è appassionato di qualcosa, non importa quanti anni hai. Al secondo anno facemmo una mostra su Elik Bilal e vennero moltissime persone che amavano il fumetto francese, che leggevano Bilal e abbiamo proseguito così, cercando sempre di presentare tutto il fumetto: Ortolani, Batman, mostre sulla Disney. Non era un festival di fumetto d’autore, di fumetto popolare, di nicchia, ma era un festival di fumetto a 360° e volevamo presentare il fumetto in tutte le varianti. Siamo stati fortunati, perché con il tempo gli appassionati sono aumentati. Il Comicon si è aperto a nuovi contenuti, ma seguendo una linea che per noi era coerente: perché, oggi, un autore di fumetti è anche regista, scrittore, quindi, il mondo culturale è interconnesso ed è naturale che al Comicon ci sia una sezione di video giochi, di cinema e serie tv. In questo modo si possono offrire più contenuti rispetto a un semplice festival di fumetto.”
Questa edizione ha registrato 160.000 visitatori, con 300 ospiti e oltre 500 operatori: numeri importanti
“Siamo contenti, è la XXI edizione, non è facile mantenere alto il livello e abbiamo fatto dei cambiamenti: c’è un nuovo direttore artistico, Matteo Stefanelli, che ha iniziato il lavoro e ci sembra che abbia funzionato bene, continueremo con lui per i prossimi anni, Poi tra 3 edizioni, c’è un altro anniversario, i 25 anni. Il Comicon si evolve, seguendo i mutamenti del settore di cui si occupa. A volte, abbiamo cercato di anticipare i cambiamenti, presentando quello che secondo noi poteva essere interessante, quello che ci sembrava importante, ma anche le novità. Alla fine, cerchiamo di seguire il nostro ruolo di grande festival culturale italiano. Sicuramente il Lucca Comics è il più grande festival di questo genere in Italia, ma anche noi con i nostri numeri e frequentazione di visitatori e operatori siamo alla pari con realtà come il Salone del Libro o Milano Games Week.”
Nonostante il successo del fumetto in questi anni, qualcuno ancora lo considera un sottogenere, rispetto alla letteratura o al cinema. Mi viene in mente la polemica su Topolino nei mesi scorsi. Cosa ne pensa?
“Per fortuna, oggi, queste affermazioni sono fattedette da poche persone, sempre le stesse, tra l’altro, e sempre meno. Rispetto a prima le cose sono cambiate: in un incontro in un’università, con due gruppi di ragazzi, uno appassionato di videogiochi e l’altro di fumetti, alcuni ragazzi del primo gruppo mi hanno chiesto se un giorno i videogiochi sarebbero stati considerati una forma d’arte ed era la stessa cosa che succedeva per il fumetto. Il teatro, ad esempio, ha migliaia di anni di storia, così la letteratura, un po' di meno il cinema, eppure, è ovvio che oggi queste forme di comunicazione sono istituzionalizzate, ma sono, in ogni caso, forme di intrattenimento che possono avere vari livelli di profondità culturale e artistica, questo vale anche per i fumetti e i videogiochi. Ci sono videogiochi che sono fatti per il solo gusto dell’autore di fare un prodotto artistico: oltre agli sviluppatori, ci sono gli sceneggiatori, è come il cinema, lo stesso per il fumetto: magari ci sono meno componenti industriali, [ nei fumetti] dietro ci sono solo editor, uno, due o tre persone che si occupano di una creazione artistica. È probabile che il videogioco, anche se più giovane del fumetto, potrà avere maggior successo perché muove più soldi. Con il tempo le cose troveranno il loro posto, sarà una questione generazionale: c’è stato un periodo in cui il fumetto non era nelle librerie, ora, invece, anche in Italia è ovunque, ai festival letterari, è spunto per i film, vince premi. Ho vissuto un periodo in cui se dicevi che leggere i fumetti ti prendevano in giro, ora questo momento è bellissimo, perfetto.”
A ulteriore testimonianza delle parole del Direttore, c’è affissa su una porta la locandina creata da Francesco Francavilla per l’edizione di quest’anno: in una Napoli futuristica, una teenager guida uno scooter, accompagnata da un robot gigante. Stanno volando, illuminati dalla luna, e puntano ad arrivare in alto, verso le stelle, con quella passione che muove solo i sognatori.
Maria Castaldo, 20/06/19