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La compagnia "ExVuoto" racconta il suo spettacolo “Sister(s)” in scena al Roma Fringe Festival

Debutterà mercoledì 13 settembre al Roma Fringe Festival, "Sister(s) - Miraggio su strada qualunque", spettacolo della compagnia vicentina ExVuoto, diretto da Tommaso Franchin e scritto e interpretato da Andrea Dellai, con Laura Serena e Giulio Morittu. Una fiaba moderna, un ritratto grottesco e ironico delle nuove generazioni vissuto attraverso gli occhi di due fratelli in una desolata Rovigo, narrato con immagini iperboliche, sfumature pulp, contorni fumettistici. Una storia che trae le sue radici dalla realtà, per rivestirsi di follia e affrontare i dubbi esistenziali che affliggono i giovani di oggi. In questa intervista sulle pagine di Recensito, il regista Tommaso Franchin e l’autore e attore Andrea Dellai, ci guidano in un viaggio alla scoperta di uno spettacolo fortemente attuale e sorprendentemente fiabesco, offerendo innumerevoli spunti di riflessione.

“Sister(s)” appare uno spettacolo in cui la durezza del realismo dei nostri tempi si sposa con la magia tipica delle fiabe. Come è nato questo accostamento?
"È uno spettacolo queer e questo accostamento ci sembra queer. Siamo cresciuti con i classici Disney, con una narrazione del futuro rosea in cui tutto sarebbe andato bene, in cui ci sarebbe stato il lieto fine: saremmo diventati ricchi e soddisfatti, felici e contenti. Non è stato così. Forse è normale, non lo so. Ma nulla si è salvato di quel mondo. Il mondo è cattivo (troppo), lo abbiamo scoperto. SISTER(s) parla di questo mondo bieco e volgare, ma lo fa con gli occhi dei quel bambino che in tutte le maniere cerca di aggrapparsi al suo sogno. Non vogliamo parlare della realtà utilizzando solo i parametri di questa, abbiamo bisogno di sfuggirle, per tornarci continuamente, come in un labirinto senza via di scampo."

E’ una favola neorealistica espressa con toni pulp. Vi siete ispirati a qualche modello cinematografico?
"Ci siamo ispirati ai paesaggi americani di Lynch, Tarantino, e tra tutti i film possiamo citare Natural Born killers (Oliver Stone) per il suo andamento sincopato, frammentario, per gli innesti di stili e linguaggi diversi, e per l’uso della violenza come metafora dei nostri tempi. Sicuramente anche Paris, Texas (Wim Wenders) ha contribuito a creare la nostra “Rovigo, Alabama” per i silenzi e gli spazi sconfinati. Le luci sono state disegnate ispirandoci a questi panorami (anche se al Fringe, per la natura del festival, si potranno apprezzare meno). E poi, da qualche parte, c’è anche la follia di Priscilla, regina del deserto."sisters giulio morittu e laura serena

E’ presente in un certo modo anche il tema del sacro. Che rapporto avete con la fede e la religione?
"Hai scritto bene: parliamo di sacro, non di fede e religione. Secondo noi questo spettacolo non è blasfemo, anzi è tutto il contrario. Il mondo ha bisogno di un dio. E forse questo dio oggi è un dio che finalmente può sbagliare, che può ritrovarsi in un frigo e bersi una birra e farfugliare qualcosa che non torna, qualcosa che non ci saremmo mai aspettati da lui. Abbiamo bisogno di un dio un po’ più umano. Gli uomini sbagliano, infatti. Lo fanno in continuazione. Ma poi, siamo sicuri che quella madonna si sia sbagliata? Possiamo noi ritenerci talmente illuminati da capire il sacro? Perché apparire in un frigo deve essere male? Perché un benzinaio non può farsi suora? I fisici con l’andare avanti delle loro ricerche stanno scoprendo che l’universo è regolato da un apparente Caos e non da un presunto Ordine; e allora perché dio non potrebbe essere Caos? Per gli antichi Greci gli dei erano crudeli, nel senso che il loro disegno nei confronti degli uomini era inafferrabile e tremendo. Pensa ad Edipo. Ma un intento c’era, ed era comunque volto ad un Bene superiore, seppur incomprensibile."

Quanto c’è di autobiografico in questa vicenda di due fratelli invisibili che vivono ai margini della città? Da dove è nata l’ispirazione?
Andrea: «I riferimenti geografici appartengono in qualche maniera ai luoghi in cui viviamo. Il resto è pura invenzione, mediata anche da dei topoi tipici delle fiabe. Quello che mi interessava veramente era il cambiamento. Mi è capitato spesso di riflettere su cosa significhi cambiare per forza. C’è stata una cosa nella mia vita che mi ha obbligato a una svolta, consapevole del fatto che non sarei più stato lo stesso. Che la colpa fosse stata mia o di qualcun altro non aveva alcuna importanza perché intanto la considerazione che io avevo di me e di conseguenza il mio modo di pensare erano cambiati. Veramente. Non so se ti è mai capitato. Ti svegli una mattina e sai che hai definitivamente abbandonato ciò che eri stato fino a ieri. Allora se vuoi sopravvivere, perché comunque la vita ha il sopravvento, decidi di salutare il tuo io di ieri e di accettare il tuo nuovo io. Sai che cambieranno i rapporti con le persone, con le cose, con il domani. E da quel momento in poi anche gli altri, attorno a te, dovranno cambiare ed è questo che li spaventa. C’è una frase nello spettacolo che recita: “Sopravvive chi si adatta”. Ecco, io ci credo fermamente. Non è un’attestazione di sconfitta, ma l’accettazione propositiva di non fermarsi a un’idea ma di mettere in pratica ciò che veramente si è e si ha, per poterci meravigliare ancora una volta».

E’ un’istantanea dei nostri tempi che i giovani di oggi si trovano a dover affrontare. Quale messaggio sperate possa trasmettere il vostro lavoro?
"Affrontate il cambiamento (vostro ed altrui), non fronteggiatelo. Buttatevi, senza paura. Comprendetelo e fatevi trascinare, ma non siate passivi, e magari fatelo insieme, divertendovi."

E’ uno spettacolo di denuncia? E se si, quale è il grido che vuole lanciare?
"No, non è uno spettacolo di denuncia, è semplicemente la rappresentazione in chiave ironica del mondo in cui viviamo. La volgarità del linguaggio che usiamo in scena non è altro che quella che sentiamo ogni giorno attorno a noi."

Credete che il teatro, come lo era stato il cinema neorealista, possa essere uno strumento per riportare un’ immagine e una denuncia del contemporaneo?
"Sì, ma non basta l’aderenza alla realtà. È fondamentale sognare, aprire nuovi mondi allontanandosi dal reale: “la forma delle cose si distingue meglio in lontananza”, dice Calvino. Si può raccontare il mondo come faceva il neorealismo, ma anche come faceva Fellini."

In “Sister (s)” è possibile intravedere un happy ending, ossia una speranza di salvezza?
"Certamente, abbiamo bisogno di speranza. Allison alla fine cresce. Si lasciano, è vero, ma si riconciliano tra loro e con il loro passato. Crescere, a volte, vuol dire morire un po’, ma non è detto che ciò sia un male."

Maresa Palmacci 10-09-2017

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