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Ciro Masella: sogno e realtà di un attore artigiano

Impegnatissimo nella scena contemporanea, attore versatile e talentuoso, Ciro Masella si destreggia in produzioni che costituiscono importanti realtà del teatro italiano e si approcciano a linguaggi diversi tra loro. Abbiamo passato tre quarti d’ora a chiacchierare con uno dei protagonisti di “Thanks for Vaselina”. Nello spettacolo - venuto fuori dall'incredibile penna di Gabriele Di Luca - Masella interpreta Annalisa, un padre transessuale tornato dopo dieci anni per recuperare il rapporto con il figlio. La pièce è stata in scena al Piccolo Eliseo fino all'8 maggio: una vera rivelazione.

Carrozzeria Orfeo. Concretezza e sogno nel teatro in questo spettacolo si condensano. Come funziona la poetica della Compagnia in "Thanks for Vaselina"?
“Sono entrato solo successivamente nella Compagnia, che spesso aggrega a sé componenti esterni al nucleo originario che comprende Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti e Luisa Supino, e in specifico proprio permasella1 “Thanks for Vaselina”, quindi posso parlare da osservatore esterno, anche se molto vicino, di un fare teatro che unisce una grande concretezza e sapienza artigianale ad aperture oniriche, impennate immaginifiche, voli di fantasia, che a volte si condensano in veri e propri momenti coreografici di grande impatto, come qui accade con “il concerto per tazzine”. Si tratta di storie che raccontano il nostro presente, personaggi fortemente realistici e ancorati alla contemporaneità, che potremmo incontrare per strada, che stanno attorno a noi, che spesso siamo noi stessi, ma visti con uno sguardo profondamente poetico”.

Il tuo personaggio è un transessuale. Spesso nel mondo dello spettacolo è facile accostare una maschera del genere alla comicità e alla frivolezza. Lo è anche il tuo? A chi ti sei ispirato?
“Qui il mio personaggio, come tutti gli altri (una madre ludopatica, una ragazza sovrappeso con una storia familiare disastrosa incappata in strani corsi per rafforzare l’autostima, due trentenni sbandati di cui uno arrabbiato e rancoroso e l’altro apparentemente occupato a far parte di quante più associazioni culturali per la difesa delle diversità e per l’integrazione...) è al contempo comico e drammatico, come lo è quasi sempre la vita di ciascuno di noi. Non è raccontato come una maschera, ma come un essere umano, non bidimensionalmente ma in tutte le sfaccettature e le contraddizioni di ciascun essere umano. Tutti i personaggi di questa storia sono, alla fine, esseri umani alla disperata ricerca di amore. Il mio è un uomo “trasformato”, anche nella sua nuova identità sessuale, che ritorna per una “missione”, ma che scopre di essere soprattutto padre, e poi marito sui generis. Non è certo un transessuale da commedia frivola o da vaudeville: è un’essere umano che reclama la propria identità sessuale, i propri gusti sessuali, e poi il suo bisogno d’amore, d’amare ed essere amato, quindi il suo diritto alla felicità. Avendo scelto me, poi, Gabriele e Massimiliano non hanno certo voluto assecondare uno stereotipo: io stesso mi sono stupito quando mi è stato proposto questo personaggio, non avendo il fisico che si immagina appartenere allo stereotipo del trans da commedia. Ho capito poi, lavorandoci, che il mio compito era quello di lavorare su qualcosa di molto più profondo e necessario dell’immagine esteriore e stereotipata di transessuale. Credo di aver lavorato più sul personaggio dii un padre, e sul bisogno fortissimo di paternità; poi, naturalmente, anche sul diritto alla propria identità, sia essa sessuale che affettiva. In fase di costruzione del personaggio ho visto tanti film con protagonisti dei trans (naturalmente Almodòvar, ama anche tantissimi altri), ma poi ho spostato l’attenzione dall’esteriorità all’interiorità di questo piccolo uomo che mi fa tantissima straziante tenerezza. Gabriele Di Luca si è poi discostato ancor di più dallo stereotipo e dalla semplificazione distinguendo la differenza di genere dai gusti sessuali, quando fa asserire al mio personaggio che, pur sentendosi intimamente donna, è attratto più dalle donne che dagli uomini. Troppo spesso siamo portati a vedere le cose bianche o nere, dimenticandoci che invece sono fatte di una infinità di sfumature, di colori che virano, che il mondo è più articolato e più ricco e più sfaccettato di come noi lo vorremmo catalogare e classificare”.

masella3Nello spettacolo la marijuana è fin troppo palesata e vistosa. Che cosa simboleggia questo aspetto spudorato dell'illegalità in fondo?
“Credo che la droga, alla fine, sia un pretesto, un punto di partenza, è la cornice in cui iscrivere una storia molto complessa e ricca, articolata. E poi è qualcosa che fa parte prepotentemente della nostra realtà, della nostra quotidianità, così come la ludopatia, la transessualità, e tutti i temi apparentemente scottanti e tabù che questo spettacolo affronta. E li affronta perché ne siamo intrisi, circondati, li respiriamo e viviamo ogni giorno. Così come il linguaggio molto forte e colorato che parlano alcuni personaggi, che è il linguaggio che parliamo noi e sentiamo parlare quaotidianamente. O come la bestemmia che ad un certo punto arriva nel testo, necessaria e fortemente legata al racconto, alla temperatura che esso ha raggiunto in quel momento. Alcune volte è stata più forte la preoccupazione previa della bestemmia o del linguaggio così forte che la reazione reale del pubblico, il quale non ha mai battuto ciglio né mai si è sentito offeso da un linguaggio che è fortemente necessario a raccontare questi personaggi e questa storia, e che restituisce prepotentemente la nostra realtà quotidiana”.

"Thanks for vaselina" definita come "un'inculata morbida". Tu come ti senti, inculato o baciato dalla fortuna?
“Nessuno dei due. Non è una condanna né una fortuna, io ho sempre avuto questa aspirazione, questa necessità direi, e mi ci sono dedicato con amore e tanta “cocciutaggine”. Amo il mio lavoro, profondamente e prepotentemente. Ritengo che il mestiere d'attore sia un meraviglioso lavoro di grande artigianato, e come tale dovrebbe essere più rispettato, dagli esterni come da chi lo fa. Purtroppo ciò non accade così spesso, anche perché sovente a fare questo mestiere ci sono frotte di persone che non hanno nessuna competenza o sapienza artigianale; chiunque, purtroppo, può alzarsi un giorno e dichiarare d’essere un attore (ed è buffo che Roma sia una città in cui ci sono più attori che sampietrini, in cui ad alcuni provini ti trovi eserciti di “volenterosi” che si arrangiano a fare questo lavoro senza averne gli strumenti o le competenze). Fare l'attore richiede tanto studio, e dedizione, e un lavoro su se stessi e sul proprio corpo e sulla propria voce (i nostri strumenti, come per un musicista può essere il violino o il pianoforte) che non finiscono mai, che non si possono circoscrivere ad un laboratorio di una settimana fatto chissà quando, ma che ci accompagna per tutta la durata della nostra vita. E’ buffo che un danzatore debba passare tutti i giorni della sua vita alla sbarra, un musicista debba dedicare ore e ore giornaliere ad esercitarsi, e un attore invece, che per assurdo suona lo strumento più complesso e inconoscibile e delicato e in continua trasformazione, no. Questo è un lavoro d’artigianato. Ciascuno poi deve cercare, nella sua sapienza artigianale, nella conoscenza degli strumenti e delle tecniche, di dare il proprio tocco personale, la propria visione, il suo personale “marchio”. La conoscenza tecnica è indispensabile per ogni lavoro artigianale, come lo è la sapienza che si tramanda dai maestri. Per poterlo rivoluzionare, è necessario conoscerlo profondamente un linguaggio. Faccio sempre l’esempio di Picasso: ha potuto scomporre e reinventare la pittura solo perché la possedeva profondamente e totalmente; ha inventato il suo personalissimo stile anche perché era un grande ritrattista e paesaggista, conosceva intimante e profondamente la tecnica che ha rivoluzionato e reinventato”.

Hai già lavorato o penserai di lavorare in altri settori come la tv e il cinema? Il cinema italiano sta cambiando negli ultimi tempi.
“Non faccio distinzioni fra teatro, cinema e televisione: si tratta sempre del mestiere d’attore. In America, come nel resto del mondo, gli attori passano tranquillamente dall’uno all’altro linguaggio, come accade a moltissime star del cinema americano o inglese, che tra un film e l’altro recitano in teatro o in bellissime serie televisive. Solo in Italia, per troppo tempo e colpevolmente, si è pensato che gli attori di teatro non fossero “cinematografici” o “televisivi”, che non potessero reggere il grande e il piccolo schermo. Un attore, se è bravo, può tranquillamente fare teatro, televisione e cinema, indistintamente. Si tratta solo di “regolare” l’intensità recitativa: in teatro la distanza richiede una incisività recitativa maggiore, che permetta di arrivare a tutto il pubblico, fino alle ultime file, mentre al cinema è la macchina da presa che viene a scavare nelle pieghe dei sentimenti, delle espressioni. Dovevano arrivare registi come Marco Tullio Giordana con “La meglio gioventù” o Paolo Sorrentino, e ora tanti tanti altri, a ricordarci che in Italia abbiamo magnifici attori di teatro, come Toni masella2Servillo, capaci di fare meravigliosamente anche il cinema. “La grande bellezza” raccoglie il meglio dei nostri palcoscenici, una quantità di meravigliosi attori che eravamo abituati a vedere più spesso a teatro, che nulla hanno da invidiare agli attori americani o inglesi, o ai colleghi italiani più avvezzi al linguaggio cinematografico.
Ho fatto sia la tv che, più sporadicamente, il cinema, e mi sono divertito parecchio. E vorrei rifarlo. Quando ti permettono di farlo bene, questo è un lavoro meraviglioso. Stiamo assistendo ad un momento di grande creatività e vitalità del nostro cinema, con giovani talenti che si affermano, che definiscono un loro personalissimo stile, che stanno portando linfa vitale anche nel nostro cinema, che è stato grande quando era industria, quando assieme alle punte di diamante dei maestri come Fellini, Antonioni e Visconti annoverava tutta una serie di artigiani meravigliosi, che poi abbiamo chiamato maestri, come Monicellli, che facevano grande il racconto popolare, la nostra commedia, il cinema artigianale scritto dai vari Age e Scarpelli, recitato da caratteristi e da attori splendidi, e che rappresentava lo zoccolo duro, le fondamenta del nostro cinema, grazie alle quali potevano poi tranquillamente esistere le punte autorali e più “complesse” di Fellini Antonioni e Visconti”.

Progetti futuri?
“Intanto andiamo avanti con "Thanks for Vaselina", mentre ho in cantiere molti altri progetti. Con Archivio Zeta per un Macbeth al Cimitero germanico del Passo della Futa, con i Gogmagog e Virginio Liberti per un lavoro che debutterà al Festival di Castiglioncello; poi collaborerò con Emanuele Aldrovandi per un suo nuovo testo. Riprenderemo con Michele Sinisi il fortunatissimo “Miseria e Nobiltà" da Scarpetta, prodotto da Elsinor e l’”Ubu Roi" di Latini, un bellissimo spettacolo divenuto ormai “cult”, che io amo molto e al quale devo tanto. Sono tutti progetti dai linguaggi diversissimi, e li reputo tutti dei “regali”. Quando vedo il pubblico felice, coinvolto, scosso, grato, mi sento ripagato di tutto, perché mi accorgo di quanto il teatro possa essere ancora bello e necessario”.

Elena Pelloni ed Emanuela Platania 09/05/2016

Leggi qui la recensione di “Thanks for Vaselina”: https://www.recensito.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=14840:thanks-for-vaselina-una-bellissima-pisciata-controvento&Itemid=121