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Cinque anni di direzione al festival di Santarcangelo dei Teatri: intervista a Silvia Bottiroli

Dall’8 al 17 luglio, la cittadina romagnola di Santarcangelo e le sue zone limitrofe si sono trasformate nel palcoscenico a cielo aperto della 46ma edizione dello storico “festival del teatro in piazza” di Santarcangelo dei Teatri. Le strade, le piazze, le aree dismesse tanto quanto i punti particolarmente pittoreschi del territorio sono stati crocevia di artisti italiani e internazionali, habitat pulsanti di vita e di amore anche, per la vita. Basti citare l’evento di apertura curato allo Sferisterio da Luigi De Angelis ed Emanuele Wiltch Barberio, “Lumen”: ha reso omaggio alla vitalità di persone recentemente scomparse come Flavio Nicolini, intellettuale autoctono legato agli esordi della manifestazione nel 1971, e Sandra Angelini, attenta organizzatrice della compagnia Motus che raggiunse negli anni Novanta i primi importanti traguardi artistici proprio a Santarcangelo, e che da allora con quella terra non ha mai smesso di stringere un rapporto di mutua collaborazione.santarcangelo2
L’edizione appena trascorsa ha visto quindi trascinarsi dietro insieme alla terra, all’acqua, all’aria e al fuoco, gli elementi primordiali che hanno ispirato la scelta del palinsesto, un’aura romantica, nostalgica e allo stesso tempo tipica di un microcosmo proiettato verso il futuro, nell’ottica da un lato di non tradire una tradizione storica che prosegue da quasi mezzo secolo, e dall’altro di mostrare l’invisibile aderendo a una linea progettuale e artistica partecipativa, fecondatrice di prospettive future. All’indomani dell’incontro in cui è avvenuto ufficialmente il passaggio di consegne con la direttrice entrante Eva Neklyaeva, abbiamo posto qualche domanda alla direttrice uscente Silvia Bottiroli, cercando di tirare le somme di un mandato durato cinque anni, e quindi di un’intera fase storica del festival di Santarcangelo, con l’intenzione di provare a individuare strategie vincenti che potrebbero essere riutilizzate in altre occasioni.

Proviamo a sintetizzare la peculiarità del Festival di Santarcangelo, del suo mandato, rispetto alla storia del festival. Per cosa verranno ricordati questi anni, secondo Lei?
“Se parliamo proprio dell’identità del festival e del suo mandato culturale, ci sono tre punti in particolare su cui si è lavorato in questi anni e che, credo, le edizioni degli ultimi anni e quella di quest’anno raccontino con pienezza: la dimensione internazionale, il suo essere un festival di creazione e il suo rapporto con il pubblico. Per dimensione internazionale mi riferisco al fatto che Santarcangelo è uno di quei luoghi in Italia dove possiamo vedere teatro e danza europei e il più possibile extraeuropei, pur nel limite di quello che il budget del festival permette, ma anche al fatto che è un festival che si pensa all’interno di una serie di reti e di relazioni internazionali, nel senso che viene costruito in una serie di dialoghi progettuali con altri teatri e festival e con dei progetti europei. Quando parlo di “creazione” intendo che è un festival che sostiene il lavoro degli artisti sia con forme di residenze e di accompagnamento alla produzione, sia con la commissione di progetti specifici: anche in questa edizione, molte creazioni sono nate per Santarcangelo, alcune anche proprio nei suoi spazi. Infine, per quanto riguarda il pubblico, intendo dire che questo lavoro riguardante l’internazionalizzazione e la creazione, e dunque più vicino al rapporto con la produzione artistica, è accompagnato da un lavoro altrettanto approfondito – e molto disteso anche durante l’anno – di formazione del pubblico e di coinvolgimento attivo di pubblici diversi dentro i processi di creazione. Anche quest’anno alcuni progetti – tra gli altri “Azdora” di Markus Öhrn e “Corbeaux” di Bouchra Ouizguen – sono stati realizzati con la partecipazione di cittadini del territorio, mentre tutto un lavoro articolato è stato condotto per sensibilizzare i pubblici ai linguaggi del contemporaneo, anche con modalità che coinvolgono più tradizionalmente la mediazione o il coinvolgimento sul piano culturale”.

Santarcangelo3Lei da questo punto di vista si può ritenere soddisfatta? Ha notato un avvicinamento reale di un pubblico solitamente meno attento nel corso di questi anni, un’affluenza maggiore rispetto al passato, tenendo conto del lavoro svolto attraverso queste modalità partecipative?
“Sì, quando iniziammo a dirigere Santarcangelo nel 2012 anche con Cristina Ventrucci e con Rodolfo Sacchettini mi ricordo che Frie Leysen, fondatrice del Kunstenfestivaldesarts di Bruxelles, ci disse: «Bene, avete un mandato triennale, ma considerate che ci vogliono cinque anni perché il lavoro che si imposta abbia un impatto pieno». Un po’, forse, la “regola del quinto anno” è valida, nel senso che è vero che abbiamo visto una crescita di molti aspetti in tutti questi anni, ma obiettivamente questa è stata l’edizione in cui abbiamo assistito a un risultato pieno in questo senso”.

In effetti, abbiamo notato una grande partecipazione di pubblico per “Butterfly” di Kinkaleri, inserito nella sezione del festival “Attraverso lo specchio” dedicata al teatro-ragazzi.
“Il lavoro sui bambini che abbiamo fatto quest’anno con gli spettacoli per l’infanzia ha avuto una risposta che onestamente non ci aspettavamo in quella dimensione, perché da un paio d’anni non avevamo curato proposte specifiche per i bambini del festival. Abbiamo scelto uno spazio aperto, grande, come ha visto, e sempre allo Sferisterio e al Parco della Fiera, durante il primo week-end, i lavori di Luigi De Angelis ed Emanuele Wiltch Barberio (“Lumen”) e di Zapruder filmmakersgroup e Zeus (“L’invincibile. Ascesa all’Olimpo”) sono stati visti da circa mille o forse millecinquecento persone a sera. Dal punto di vista quantitativo – che ovviamente non è l’unico che conta – c’è stata una generosità di partecipazione straordinaria da parte di un pubblico locale che non è necessariamente un pubblico del festival. Credo, appunto, che sia anche il frutto di un lavoro lento, che però ha permesso una prossimità, una vicinanza, che come tutte le prossimità alza delle temperature di scambio e crea delle condizioni di incontro più approfondite”.

In Italia, molto di più che negli altri paesi in Europa c'è un enorme scollatura tra teatri e festival, soprattutto in termini produttivi, ma anche di circuitazione. Nel resto d’Europa i festivalsantarcangelo4 sono momenti in cui le produzioni nazionali si confrontano con produzioni internazionali al fine di porsi in una prospettiva più grande, per conoscere le nuove tendenze, proporre degli scambi (perché molte produzioni vengono finanziate dai teatri e trovano comunque una propria circuitazione naturale all'interno dei teatri stessi). Seppur avviene il momento di confronto con le produzioni internazionali, nel nostro paese in realtà il circuito dei festival estivi è quasi un circuito estivo parallelo in cui le produzioni girano, mentre in inverno sono molto più deboli, da un lato, e dall'altro i festival diventano un modo per finanziare gli spettacoli di compagnie che all'interno dei teatri non troverebbero spazio di finanziamento (pensiamo anche a compagnie molto note come i Motus o i Fanny&Alexander). Cosa ne pensa di questo stato: questa problematica toglie un po' della vocazione originaria del festival? Li fa ripiegare su una dimensione molto più nazionale che internazionale?
“Capisco il senso della sua domanda, ma non sono sicura che il resto del panorama europeo sia così uniforme come a volte ci diciamo per facilità di “griglie di lettura”. Sicuramente è vero quello che dice rispetto ad alcuni sistemi (probabilmente non a tutti), ma una serie di problematiche tra la forma del festival e quella della stagione la si riscontra anche altrove. Che si riscontri in Italia è fuori dubbio, e mi sembra una domanda importante, perché si tratta di una questione cruciale del sistema teatrale. I festival si trovano nella situazione un po’ paradossale di non avere una vera funzione produttiva (e di non avere quindi un budget che permetta attività di produzione, a differenza di altri soggetti), ma di svolgerla per alcuni artisti, e soprattutto di essere tra gli organismi più fragili del sistema teatrale ma di ricoprire molti ruoli diversi. Che questa situazione tolga qualcosa ai festival, ovviamente, è un rischio possibile che credo in alcuni casi si intravveda. Credo però si possa anche provare a camminare su questa linea sottile di essere festival e al contempo svolgere una funzione che dovrebbe essere condivisa con altri e in particolare con le stagioni, in generale molto poco ricettive rispetto al contemporaneo. Un po’ a Santarcangelo lo stiamo facendo, e il festival lo si può leggere anche in questo senso: da un lato è un luogo di un’eccezionalità di formati, che permette agli artisti di affrontare e creare progetti come “Lumen” e “L’invincile. Ascesa all’Olimpo” che citavo prima, o che presenta lavori come “Natten” di Mårten Spångberg, sette ore di danza con cui si è chiusa questa edizione. Sono formati non pensati o adatti per una stagione teatrale, ma a Santarcangelo abbiamo presentato anche spettacoli che vorrei vedere in stagione, e che in qualche modo presentiamo al festival proprio per portarli a una visibilità maggiore: da Cosmesi a Cristina Kristal Rizzo, e da Amir Reza Koohestani a Philippe Quesne sul piano internazionale, per fare esempi relativi all’edizione 2016. Il nostro tentativo, almeno, è quello di non rinunciare a svolgere questa doppia funzione: da un lato di essere luogo di un’eccezionalità produttiva per gli artisti, in cui misurarsi con dei formati differenti, ma dall’altro di dare uno stimolo alle stagioni e di offrire una continuità di sostegno agli artisti. Le faccio un esempio: quest’anno abbiamo presentato sia “Di natura violenta” di Cosmesi sia “Bolero effect” di Cristina Rizzo, che sono due lavori, rispetto alla logica dei festival, “vecchi”. Quello di Cosmesi debuttò l’anno scorso a Dro e quello di Cristina Rizzo (che era un’anteprima, ma che poi di fatto fu un debutto) due anni fa a Santarcangelo. Li abbiamo ripresi perché sono due lavori che dovrebbero – e in parte lo stanno già facendo – girare in altri contesti e con una continuità diversa. In assenza di questo, il festival può anche diventare una seconda iniezione di energia a uno spettacolo e, appunto, un modo di presentarlo in un contesto curato e forte di altre presenze anche internazionali, di proporlo quindi con decisione a un sistema teatrale, come un lavoro importante e che merita attenzione”.

santarcangelo5Ci ricorda come sopraggiunse la decisione di terminare la sua direzione un anno prima del previsto? Ha mai avuto ripensamenti per questa decisione?
“Non ho avuto ripensamenti, sono convinta che sia la decisione giusta anche se lasciare Santarcangelo è difficile per tante ragioni. L’ho deciso un anno fa, alla fine del festival dell’anno scorso, mossa da due ordini di pensieri. Da una parte, il desiderio di misurarmi con altre dimensioni e altri contesti, e dall’altra, una sensazione molto ragionata e molto discussa sul fatto che con questo anno saremmo riusciti a chiudere un discorso sul festival, a riposizionare con forza Santarcangelo sul piano internazionale ridandogli un profilo molto chiaro, e che questo sarebbe stato il momento ideale per un passaggio di consegne rispetto a dei tempi istituzionali. La nuova direttrice artistica del festival avrà adesso più di un anno per impostare e costruire il nuovo progetto triennale al Ministero, mentre se io avessi concluso il mio mandato nel 2017, avrebbe avuto pochissimi mesi per farlo, ed è molto difficile costruire un progetto triennale per un’istituzione in cui non si è mai lavorato. Mi sarebbe sembrata una tempistica poco adatta, forse addirittura poco corretta. Anche la scelta che compiuta sulla direzione artistica dal Consiglio di amministrazione, quella di una curatrice straniera, non sarebbe stata possibile tra un anno, con questo tipo di tempistica. Uno degli aspetti, quindi, che mi ha dato conferma di questa scelta è che ha creato uno spazio di libertà e di visione per il Cda nel momento in cui affrontava una decisione sul futuro: non ha dovuto tenere conto di serie ristrettezze temporali, ma ha potuto godere di una libertà di progettazione che mi sembrava importante per il festival”.

Quale augurio vorrebbe fare alla direttrice entrante, Eva Neklyaeva?
“Auguro a lei – ma sono sicura che lo farà – di prendersi appieno questa responsabilità molto alta e molto bella di dirigere il Festival di Santarcangelo. Una responsabilità “alta” perché è un festival vivo, e quindi anche difficile nella sua vitalità, ed è una responsabilità “bella”, nel senso che Santarcangelo è un luogo dove possono accadere degli incontri straordinari, fatti di apertura al lavoro artistico e di creazione di mondi insieme agli artisti e agli spettatori. Le auguro quindi di avere il desiderio e il coraggio di abbandonarsi all’avventura che è questo festival”.

Renata Savo 24/07/2016