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Intervista ad Andrea Caligiuri, uno dei protagonisti del progetto musicale “Viaggio in Italia. Cantando le nostre radici”

Un collettivo di sedici giovani artisti, AdoRiza, riuniti per un cd-book sulla memoria musicale del nostro Paese: “Viaggio in Italia. Candando le nostre radici”. Nato a seguito di un ciclo d’incontri laboratoriali tenutisi presso l’Officina Pasolini sotto la coordinazione di Tosca, il progetto si è trasformato in un fortunato spettacolo teatrale prima, e in un album-raccolta poi. Prodotto e arrangiato da Piero Fabrizi, il disco si presenta come una rassegna di antiche canzoni popolari: tappe di un viaggio che attraversa per intero il nostro Paese, alla riscoperta delle sue radici. Abbiamo raggiunto uno dei giovani artisti coinvolti in questo ambizioso progetto, Andrea Caligiuri – cantautore cosentino attivo da qualche anno con il progetto solista Drugo e il complesso di Napoleone –, per fare quattro chiacchiere con lui al riguardo.

Andrea, ci racconti la tua esperienza all’interno del laboratorio e l’importanza che ha avuto per il tuo percorso?

Siamo tutti ex studenti di Officina Pasolini, quindi la maggior parte di noi già si conosceva prima dell’ideazione di questo progetto. Il gruppo vero e proprio, poi, si è formato con la nascita di questo laboratorio, per volere di Tosca. Inizialmente, in tutta onestà, eravamo un po’ scettici. Ma subito dopo, iniziando a lavorare, ne abbiamo compreso il grande potenziale. Certo, è stato un lavoro di ricerca molto faticoso – e, in alcuni casi, anche un po’ noioso –. Perché, al di là dei bellissimi brani che alla fine sono stati selezionati, abbiamo dovuto sorbirci ore e ore di lamenti e ninna nanna di contadini.adoriza

Hai detto che inizialmente eri un po’ scettico. Effettivamente tu sei molto giovane, cosa ti ha spinto a partecipare a un progetto così legato a tradizione e passato?

Sicuramente, in questo momento storico, mi rendo conto che possa sembrare un po’ anacronistico andare a ricercare nel passato della tradizione musicale popolare. Ma personalmente, anche perché non mi sento rappresentato più di tanto dal contesto musicale che mi circonda, penso di aver fatto la scelta giusta. La cosa più interessante di questa nostra ricerca, al di là della possibilità di poter rivivere tradizioni lontane ma comunque affascinanti, è stato ritrovare delle canzoni oggettivamente molto belle. Canzoni che, nonostante siano state scritte cento anni fa, risultano ancora fortemente attuali. Che vanno oltre il tempo, ecco. Quindi, per rispondere alla tua domanda: sì, io sono un giovane musicista, ma nella vita voglio fare il cantautore. Quindi potermi rapportare con canzoni di questo valore è stata un’opportunità davvero preziosa. 

Prima dicevi che non ti senti molto rappresentato dall’attuale contesto musicale. Cosa pensi della scena cantautoriale moderna?

Guarda, è un discorso molto ampio. Io sono giovane e la mia carriera da cantautore lo è ancora di più. Però per tutta l’adolescenza ho ascoltato tantissima musica e ho sempre avuto il desiderio e la curiosità di scoprire nuovi artisti. Ricordo quel periodo, quando ancora non esistevano i social... Mi piaceva la prima musica indipendente, quella “vera”, perché era effettivamente auto prodotta. Ora, al di là dei gusti personali, degli stili e dei generi, credo che fare musica sia diventato più che altro una sorta di moda. Non percepisco una vera esigenza artistico-comunicativa da parte di questi nuovi artisti “indipendenti”, quanto più un desiderio di vivere la vita da artista, perché è figa.

Una generale mancanza di autenticità, quindi…

Esatto. Ad esempio, quando apro Instagram dopo due o tre post mi appare la sponsorizzazione di un nuovo artista. È ovvio che questa sia la conseguenza di un insieme di cose: internet, il mondo digitalizzato in cui viviamo, il nuovo modo di fare comunicazione, l’opportunità di acquisire un minimo di visibilità a costi relativamente bassi. Però, rimane in me la sensazione che non ci sia più l’esigenza artistica di fare canzoni perché si ha veramente qualcosa da dire.

Tornando invece a “Viaggio in Italia”, puoi raccontarci qualcosa di più riguardo al tuo brano, “Ripabottoni brun brun”? Sei stato tu a sceglierlo? Se sì, perché?

La scelta dei brani è stata fatta insieme dal collettivo, da Tosca e dalle altre figure che ci hanno seguito (Piero Fabrizi, Paolo Coletta, Felice Liperi, ndr). Sono stato scelto per questo brano, che poi è anche il primo dello spettacolo e del disco, perché tra le voci maschili ero probabilmente quella più adatta.

In che senso?

Nel senso che, avendo una voce un po’ “sporca” e un timbro basso, avrei potuto impersonare con più credibilità il ruolo dello zingaro, figura centrale in questo che è un brano legato alla tradizione gitana.

Quali sono i progetti futuri del collettivo? Avete già in mente qualcosa?

Sicuramente c’è la volontà di portare avanti il progetto “Viaggio in Italia”, che consideriamo un piccolo gioiello, forti anche della reazione incredibile che il pubblico ha avuto dopo le prime uscite. Poi, il collettivo è fatto da tante persone e le idee sono chiaramente tante. Abbiamo in cantiere altri progetti, che magari si discosteranno molto dal concept della musica popolare. Soltanto i prossimi mesi ci diranno cosa ci aspetterà.

Francesco Carrieri, 16/07/2019