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Il Colosseo: il naufragio del mondo antico e del contemporaneo

Sono tempi duri nella Capitale del “mondo di sotto” e i luoghi della cultura chiudono inesorabilmente, stretti nella morsa della crisi, che forse non è più economica, ma è sempre più sociale, politica.
E allora, dedicare una serie di articoli agli spazi della cultura, per coscienza civica e responsabilità storica, diventa un’occasione per raccontare lo splendore che forse ancora ci appartiene, partendo dal luogo di cultura per eccellenza, l’anfiteatro più grande del mondo: il Colosseo.

Combattimenti, martirii, condanne: il “turista per caso” - quello che al Colosseo ci va per farsi un selfie con i centurioni abusivi, o per sfregiarne le mura in preda a deliri di eternità - difficilmente riesce ad associare al monumento un’immagine meno superficiale di quella suggerita dalle pratiche di violenza spettacolare, che avrebbero animato l’Anfiteatro Flavio al tempo della sua piena attività.
Solo qualche mese fa, suscitava consensi e perplessità schizofreniche il progetto di ricostruzione dell’arena, promosso dal Ministro Franceschini per permettere lo svolgersi di manifestazioni culturali, all’interno di quella che è stata e rimane la cartolina di Roma e dell’Italia per il mondo intero.
In totale il piano prevede 80 milioni di euro di investimenti nel biennio 2015-2016 da investire in musei e siti archeologici e culturali in tutta Italia. Tra questi, anche l'intervento per la ricostruzione dell'arena del Colosseo, che in origine altro non era che una distesa di sabbia (in latino rena, da cui l’italiano arena), utile ad assorbire il sangue e il sudore di chi la praticava, per forza o per diletto.
Ma cosa succedeva davvero nell’anfiteatro più famoso del mondo? Com’era costituito e come era reso partecipe il pubblico? Il pollice dell’imperatore decreteva sempre la vita o la morte dei gladiatori, o era possibile un quieto “pareggio”?
In realtà le fonti a disposizione sono necessariamente da leggere criticamente, specie se si pensa che la più importante è il Liber de spectaculis di Marziale che si può - con un pizzico di ironia - definire “l’addetto stampa della dinastia dei Flavi”.
L’opera racconta con dovizia di particolari i cento giorni di giochi che animarono nell’80 d.C. il complesso voluto da Vespasiano, innaugurato da Tito e completato da Domiziano. Certo è che quello che gli storici chiamano “il naufragio del mondo antico” ha annegato nell’oblìo la potenza, i colori, gli umori e le vite che affolavano gli ordini della struttura. Già l’oblìo, quella sorta di velo sulla memoria, che ai tempi dell’Impero era talvolta una vera strategia politica: si pensi, ad esempio, alla damnatio memoriae toccata all’ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia – Nerone - per il quale i Flavi non risparmiarono una denigrazione postuma fortissima, arrivando alla riconversione dei monumenti voluti dall’Imperatore (passato poi alla storia come incendiario e nefasto), quando non alla distruzione (si veda il cosidetto “Colosso di Nerone”, una statua enorme, di cui oggi rimane solo il basamento nei pressi del Colosseo).
Eppure la storia del Colosseo parte proprio da Nerone: lì dove sorgeva il lago della splendida Domus Aurea neroniana, Vespasiano – primo Imperatore della dinastia degli Homines Novi - volle fosse eretto quello che doveva essere il simbolo della grandezza sua e dell’impero agli occhi del mondo.
Costruire sull’acqua? Per i romani, è risaputo, gestire le risorse idriche non era un limite, ma un’occasione di esaltazione edilizia e architettonica: non è dunque diffcile immaginare che, come si riscontra in Marziale e in Cassio Dione, l’arena del Colosseo, almeno prima del completamento degli ipogei sotto Domiziano, potesse essere allagata e svuotata per giochi d’acqua come le naumachie. Dunque una zona lacustre, un luogo dove innanzitutto serviva ideare un sistema per far scorrere e all’occorrenza richiamare le acque.
Scorrere via, proprio come sono trascorsi oltre venti secoli, scorrere via come sono passate le tante vite del monumento più rappresentativo d’Italia, che nelle prossime settimane proveremo a conoscere meglio, epurandolo dai selfie e dai graffiti vandalici, cercando di rievocare la maestosità in parte perduta di un luogo deputato allo spettacolo, un luogo che resterà, fortunatamente, sempre aperto.

Adriano Sgobba 31/08/2015