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L’enogastronomia a piccole Porzioni: la penna autorevole e la lucidità di Luigi Cremona

Animato da un incessante ricerca e dalla voglia di esplorare posti nuovi, Luigi Cremona, ingegnere e esperto di enogastronomia, ha scelto il cibo e la cucina come strumenti di conoscenza e di contatto con diverse realtà. La curiosità, sempre alimentata dai suoi numerosi viaggi, l’ha portato dai mercati popolari ai grandi ristoranti stellati, mantenendo fede alla sua idea di assaggio o porzione in cucina. La sezione sul sito di Witaly, la casa editrice fondata con la moglie Lorenza Vitali, dedicata alle recensioni di tutti i ristoranti d’Italia e non solo, e gli eventi enogastronomici si chiama proprio PorzioniCremona.
Ha collaborato con le più importanti riviste enogastronomiche e le sue esperienze di viaggio sono confluite nel Touring Club d’Italia, dove è consulente per la Ristorazione e l’informazione Alberghiera, in particolare per la Guida degli Alberghi e dei Ristoranti. E’ Maestro Assaggiatore Formaggi dell’ ONAF ,sommelier AIS e promotore di numerosi eventi e premi come “ il Premio al miglior Cuoco Emergente” rivolto ai giovani chef. La finale 2015 si svolgerà alle Officine Farneto di Roma lunedì 4 ottobre, nell’ambito del Cooking for Art e i protagonisti di questa sfida saranno Gianfranco Bruno de “Lo Scrigno dei Sapori”, Forenza (PZ), per il sud, Nikita Sergeev del “Ristorante L’Arcade”, Porto San Giorgio (FM),  per il centro e Oliver Piras dell’ ”Aga”, San Vito di Cadore (BL), per il nord.
Prima della finalissima Luigi Cremona ci ha raccontato come si è evoluta la professione dello chef e com’è nato il suo rapporto con la gastronomia.


Tra qualche giorno sapremo chi sarà il Miglior Chef Emergente 2015, cosa ha in comune questa nuova generazione di chef e cosa li distingue dai loro maestri?
"Sono ottimista, di generazione in generazione si va avanti, perché cambia la tipologia delle persone che si avvicinano alla cucina. Quando ho cominciato io, il cuoco era una professione di serie c, in ambienti terrificanti. Quaranta anni fa nessuno entrava nelle cucine, il posto di pregio al più era la sala, fare il cuoco era un mestiere poco considerato. Man mano la situazione si è evoluta fino a diventare una professione attraente non solo dal punto di vista economico, ma anche d’ immagine, di conseguenza anno dopo anno, si sono avvicinati persone che facevano altri mestieri per guadagnare qualcosa. Oggi tra gli chef ci sono tanti laureati, è chiaro, quindi, che migliora l’impostazione culturale e l’educazione. Sono sempre più capaci e dei professionisti, che non solo sanno cucinare ma anche muoversi e parlare bene."

Quando e com’è nata la sua passione per la gastronomia?
"Quando ero studente, avevo la passione per i viaggi. Andando in giro per il mondo, ho scoperto che il mercato, soprattutto in certi posti dell’Oriente, l’India in particolare, ha un fascino straordinario, soprattutto cinquanta anni fa, oggi l’ha un po’ perso ma resiste ancora. Oggi a Parigi è il mercato il luogo che consiglio di visitare, a parte il tour culturale. Il mercato è una bella fonte per capire come mangia, come vive, come si rapporta la gente. Il cibo è un qualcosa con cui si raffronta tutti i giorni, varie volte. Per me è un metodo importante per capire come vive la popolazione di una nazione. Da qui è nato questo accostamento gastronomia e prodotti che si è evoluto nella ristorazione. Ho cominciato ad andare in giro per i ristoranti negli anni 70, facevo l’ingegnere poi la passione è cresciuta e allargata." 

Quali sono gli alimenti che consuma quotidianamente e che non possono mancare nella sua cucina?
Cose semplici, sono sempre in giro, per il novanta per cento della mia vita. Quando sono a casa, la parola d’ordine è cose “banali”, mangio le cose che non trovo in giro. Le verdure, ad esempio, è difficile che in un ristorante di qualità ci siano le verdure, sono sempre un piatto marginale, un piccolo complemento, anche quando fanno un piatto vegetariano è sempre arzigogolante. Ogni tanto mi viene voglia di mangiare i “friarielli”. Quando è la stagione giusta, passo per Napoli e mangio i friarelli senza salsiccia, oppure la mozzarella di bufala. Non possono mancare il culatello e i grandi prodotti d’Italia. Io non amo cucinare, amo assaggiare. Non gratifico molto mia moglie, do poca soddisfazione sia agli chef quando vado in giro, perché assaggio e mangio poco, sia in casa perché preferisco mangiare cose semplici."

Potrebbe spiegarci cosa intende quando dice che “il critico deve assaggiare con la testa, non con la pancia”?
Se ci facciamo guidare dalla pancia non andiamo lontani. Se mangiassi un piatto di spaghetti ben condito non avrei, dopo, né la fame, né la voglia, né le condizioni tecniche di base come la libertà del palato, per apprezzarne i sapori. È come se bevessi un litro di vino e poi facessi le degustazioni. Non ho mai capito, fin dall’inizio, forse per temperamento o carattere come facevano i miei pochi colleghi, negli anni Ottanta, (perché all’epoca erano pochi) erano tutti abbastanza rotondi, io ero l’unico magro. Questa gente mangiava tanto, e tuttora è una forte componente. Io faccio fatica a fare come fanno gli altri, perché è necessaria la lucidità."

Gerarda Pinto 01/10/2015