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Il Ruggito di Balletto Civile, grido di rabbia a Teatri di Vita di Bologna: racconto su una realtà italiana da seguire

Per iniziare nel migliore dei modi il 2016, parliamo di “Ruggito”, uno degli ultimi spettacoli realizzati e portati in scena da Balletto Civile, compagnia fondata nel 2011 da Michela Lucenti, direttore artistico, Emanuele Braga, Maurizio Camilli, Ambra Chiarello, Francesco Gabrielli e Emanuela Serra, una delle realtà che si è maggiormente distinta durante l’anno appena trascorso.
Siamo a Teatri di Vita, affascinante location, centro di produzione e sperimentazione all’interno di Parco dei Pini a Borgo Panigale, Bologna; in una sala, in cui platea e pareti sono immerse nel nero, subito si notano tanti lampadari gialli che scendono dal soffitto del palcoscenico: con precisione geometrica creano l’unica scenografia dello spettacolo. Ma dove siamo? Perché tante luci che si accendono e spengono, puntate sulle teste dei performers? “Ruggito” è il ritratto della vita all’interno di un centro commerciale, luoghi che sono diventati oggi punti d’incontro, soprattutto nelle province italiane: posti di svago inutile, negozi dove sfogare la propria depressione e annoiarsi con gli sguardi persi nelle vetrine. Luoghi in cui, nonostante tutto, lavorano persone, si svolgono vite, si incontrano corpi e sguardi; e in scena infatti compaiono: la donna delle pulizie, il pizzaiolo, il clown che non riesce neppure più a ridere, una signora il cui viso è segnato dal lutto, un probabile disoccupato che, privo ormai di speranze, tenta un provino per un film porno e infine la caporeparto, che tiene fermo il controllo sul lavoro degli altri, ma perde totalmente quello sulla sua esistenza.
Proprio quando tutto sembra finito, quando il dolore è talmente tagliente, quando la pena ci fa pensare alla fine, c’è una luce - non quella dei neon! - che spinge l’essere umano a risalire dalla melma che lo circonda, a guardarsi davanti per trovare sempre una piccolo abbraccio all’interno del petto di chi ci si avvicina.
Attraverso un lavoro che porta all’unione della danza, della recitazione e del canto lo spettacolo tocca le corde della sensibilità: ritratti di esseri umani, che sembrano leggerci dentro e rappresentarci. Michela Lucenti, coreografa e meravigliosa danzatrice, dalla voce toccante, e Maurizio Camilli, che ha curato il suono e il testo, insieme ai performer, che in Balletto Civile collaborano sempre alla realizzazione di uno spettacolo, riescono, come fanno da tempo, a leggere tra le righe della cronaca quotidiana e scovare i problemi reali che incatenano le persone, per rappresentare le dinamiche di un’intera società.
La coreografia, danzata su una base musicale che non si ferma mai, come ci svela Michela, è un continuo divenire emotivo di sentimenti espressi attraverso il corpo: movimenti fluidi, roteanti e poi isterici, corse senza fiato attraverso il perimetro del palcoscenico, salti liberatori, cadute improvvise, passi a due carnali, a tratti violenti e disperatamente delicati in altri, quasi un amplesso compiuto per noia. Ogni passo è accomunato dalla perdita continua del baricentro del corpo, una perdita che qui realmente sembra simboleggiare lo smarrimento, la mancanza vera del proprio nucleo, della propria gioia, dell’interesse.
Lo spettacolo, che prende vita in maniera embrionale al Teatro Due di Parma, e che viene completato e perfezionato durante l’attuale residenza della compagnia al Teatro della Tosse di Genova, è solo una delle dimostrazioni dell’importante lavoro svolta da Balletto Civile, realtà italiana che guarda oltre i confini dell’Europa e che si distingue per creazioni non catalogabili all’interno di categorie precostituite.
Una compagnia da continuare a seguire e studiare, sicuramente da vedere all’opera. Per questo anno inoltre, come ci racconta Michela Lucenti durante l’incontro a Teatri di Vita, è in progetto la realizzazione di una retrospettiva su Balletto Civile, a Bologna, promossa da Emilia Romagna Teatro. Non mancheranno, quindi, le occasioni per vedere dal vivo, sia a Bologna, sia nel resto d’Italia, le nuove produzioni di questo collettivo nomade di performers, come loro stessi si definiscono.

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=MxeSZqhZ4Js

Silvia Mergiotti 01/01/2016

La “magia” della danza nel 2015 e oltre

Allo scoccare della mezzanotte, il 31 dicembre, avrete all’improvviso il potere di tornare indietro nel tempo e rimediare agli errori commessi nel 2015. Dopo aver ricucito storie d'amore impossibili, chiesto scusa e/o gambizzato chi di dovere, bloccato quel bonifico, interrotto i pasti nel momento giusto, finito per bene tutte le cose che avevate iniziato; senza alcun dubbio, uno dei vostri pensieri sarà quello di recuperare gli spettacoli di danza che stoltamente avete perso (molti dei quali, potrete leggere le recensioni su questo sito).
Evitando di rispettare ogni possibile ordine di priorità, tanto il tempo e lo spazio per una volta saranno al vostro servizio, vi recherete a Torino in occasione della quindicesima edizione di Interplay, il festival dedicato ai nuovi linguaggi della danza contemporanea, per godere di "Complexe des genres", lo spettacolo della talentuosa Virginie Brunelle. La coreografa canadese che si è imposta sulla scena contemporanea per il carattere crudo ed emozionale dei suoi spettacoli, prende in prestito le forme codificate della danza classica per rielabolarle in un nuovo linguaggio, fino a creare immagini inedite e di grande forza espressiva. La coreografia estremamente fisica e acrobatica ricca di una notevole poeticità visiva, descrive l'incontro/scontro tra il maschile e il femminile: un leitmotiv che nella danza di ogni genere ricorre sovente, forse perchè è leitmotiv delle nostre vite.
Già che ci siete, probabilmente, questa volta non vi farete sfuggire i lavori di Ambra Senatore e Irene Russolillo con i rispettivi“Mattoncini” e “Strascichi”.
Lasciando il capoluogo piemontese andrete ora direttamente nella capitale italiana che, prima di aprire la Porta Santa in occasione dell’irrinunciabile Giubileo anticipato, ha ospitato il Romaeuropa festival per poter dire "Io c'ero" davanti agli spettacoli di Anne Teresa De Keersmaeker, una delle più carismatiche e autorevoli coreografe della scena contemporanea. Con la sua compagnia Rosas regala "Vortex Temporum", una delle più raffinate e spettacolari fusioni di danza e musica e “Verklärte Nacht” che, a suo dire, «rappresenta uno dei traguardi nella mia personale ricerca sulla creazione di duetti».
Nell’ambito dello stesso festival, vedrete certamente Akram Khan Company in "Kaash", coreografia datata 2002, una danza multiculturale per cinque interpreti, accolta sin dal debutto come esempio paradigmatico della grande potenzialità di sintesi interculturale del suo creatore. “Kaash” è leggerezza e precisione. Potenza. Irrinunciabile.
Spostandovi al teatro Vascello vedrete, invece, "In girum imus nocte et consumimur igni", il magnetico lavoro della fucina lucchese Aldes ad opera di Roberto Castello un'esperienza immersiva che trascina per un'ora in un universo parallelo.
E da festival in festival capitolini, oltre a “Equilibrio”, non rinuncerete a salutare e augurare il meglio alla rassegna di danza contemporanea "Eden - connect the dots" a cura di Gianluca Cheli e Gianni Parrella.
Ricordiamo del 2015, "Il fascino dell'idiozia" di Zaches Teatro, "un'indagine sulle atmosfere che abitano le Pitture Nere di Goya, un lavoro che costituisce la prima tappa della Trilogia della Visione, "progetto più ampio sull'opera di tre differenti artisti per indagare l'atto del vedere come forma articolata di percezione". La compagnia toscana affascina e coinvolge, con il suo lavoro sul connubio tra vari linguaggi artistici come la danza contemporanea, i mezzi espressivi del teatro di figura, l'uso di maschere, il rapporto tra movimenti plastici e musica/ suono elettronico dal vivo, per comunicare la necessità di "abituarsi all'oscurità per vedere più a fondo".
Da osservare il progetto di Virgilio Sieni, uno dei maestri della ricerca coreografica italiana "Nelle pieghe del corpo", così come "Fear Party" di Enzo Cosimi, coreografo tra i più autorevoli del panorama italiano, lavoro che esplora il profilo della paura nelle sue diverse valenze psicologiche.
In giro per l'Italia, non potrete perdere "Jessica and me"di Cristiana Morganti, la storica danzatrice del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch. L'attrice e ballerina di irresistibile talento e vivida comicità, giunta a un momento importante del suo percorso, si ferma a riflettere su se stessa: sul rapporto con il proprio corpo e con la danza, sul significato dello stare in scena, sul senso dell’“altro da sé“ che implica il fare teatro. Uno spettacolo ironico e intelligente, in grado di far capire quanto si deve mettere e quanto si deve togliere in un testo che aspira ad essere onesto.
Per restare, nelle atmosfere magiche del Tanztheater Wuppertal, assisterete all’evento storico che ha segnato un cambiamento all’interno della compagnia, a distanza di sei anni dalla morte della coreografa Pina Bausch, per la prima volta l’ensemble si è aperta al lavoro di nuovi coreografi con NEUE STÜCKE 2015 di Theo Clinkard, Cecilia Bengolea e François Chaignaud, Tim Etchells.
E, visto che la magia è nell’aria, a questo punto, chiedete alla fatina della danza di portarvi ancora un pò più indietro nel tempo per osservare direttamente Pina Bausch che danza “Café Müller” o di catapultarvi a Parigi, il 29 maggio 1913, al Théâtre des Champs-Elysées per la prima rappresentazione assoluta de “Le Sacre du printemps”, ad opera dei Balletti russi di Sergej Djagilev, su musica di Igor' Stravinskij, con scenografie di Nikolaj Konstantinovič Roerich e per la coreografia di Vaclav Nižinskij; lo spettacolo che segnò per sempre un cambiamento nella storia della danza.
E poi… ancora altro… e altro…

Miriam Larocca 31/12/2015

 

Alcuni piccoli film, il mio feuilleton in musica: Recensito incontra Gerardo Casiello

“L’emozione è il vero centro di gravità della rappresentazione” (Gerardo Casiello, Lo Spettacolo)

Amante della letteratura, divoratore di musica, avvezzo alla riflessione che manifesta tramite scrittura in musica. Dal 6 ottobre scorso Gerardo Casiello ha iniziato a pubblicare il suo romanzo d'appendice in note sulla rivista 2.0 Youtube: “Alcuni piccoli film”, titolo del suo secondo (autoprodotto) progetto discografico, è un album a puntate che racconta la giornata tipo di una persona, dall'oro in bocca del mattino fino alle suggestioni oniriche della notte. Un concept condito non solo da testi vivaci e delicati ma anche da una variegata componente strumentale, elementi uniti in un mix coinvolgente di generi – dal jazz al blues, dallo swing alle ballate popolari – parole, note, e immagini. Già, è questa la caratteristica principale alla quale il titolo allude: gli undici brani che compongono l'album sono raccontati tramite “piccoli film”, clip illustrate da pregiati disegnatori, da Riccardo Mannelli a Laura Scarpa, fino a Bambi Kramer e Zerocalcare. Un modo ingegnoso di manifestare visivamente ciò che nella canzone in realtà già c'è, ma non si vede: l'evocazione di immagini attraverso la commistione di parole e note. Noi di Recensito lo abbiamo incontrato poco prima di Natale per parlare della sua filosofia, dei suoi modelli e di ciò che conta per far nascere una canzone: la verità.

Hai scelto di pubblicare il disco “Alcuni piccoli film” con cadenza settimanale su Youtube, come se fosse un romanzo d’appendice. Da cosa deriva questa scelta?
“Mi piaceva l'idea di fare come Proust con La ricerca del tempo perduto, o come Kafka, di dare un'idea di continuità a una cosa che comunque ha un corpo unico. Con le uscite settimanali è come se ci fosse un work-in-progress che si ricompone. Mi piacciono molto le collane che escono in edicola, le discografie o i volumi, mi piace l'idea di una cosa che si srotola nel tempo. Essendo un disco autoprodotto (sorride, ndr), sono stato libero di farlo”.

Nel disco non fai altro che manifestare visivamente ciò che in realtà sarebbe già insito nella canzone, l’evocazione di immagini attraverso la commistione di parole e note. Com’è nato questo progetto?
“È nato prima il disco, che come ho detto mi sono interamente autoprodotto per scelta artistica. Ho avuto rapporti con discografici di un certo livello interessati al lavoro, ma la loro visione non combaciava con la mia, snaturava troppo il progetto. Ne ho sentiti due e alla fine ho deciso di autoprodurmi. L'idea di pubblicarlo a puntate e di associare delle immagini è arrivata quando una sera, avendo i primi pronti ascolti, ho buttato giù una scaletta ipotetica e mi sono reso conto che avevo fatto un concept album sulla giornata tipo di una persona, mi sono fatto il mio piccolo film; lì è nata l'idea di produrre 11 clip video che accompagnassero le canzoni, realizzate insieme a Giuseppe Giannattasio, regista e modellatore 3d, e ai contributi importanti di professionisti di cui sono amico: Riccardo Mannelli, Laura Scarpa, Pierdomenico Sirianni, Amedeo Nicodemo, Bambi Kramer, Stefano Argentero e Zerocalcare, che ha dato un piccolo contributo per una canzone (Una foglia, ndr)”.

Nel tuo disco c'è di tutto: tradizione popolare, musica d’autore, ma anche una corposa e variegata componente strumentale. Quali sono i modelli di Gerardo Casiello?
“Sono un musicofilo incallito, ascolto di tutto, sono consumatore bulimico di musica classica ma spazio moltissimo dal rock al progressive, fino al jazz e al blues. Nel mio percorso artistico ho suonato vari generi. Diciamo che questo disco è la fotografia di quello che sono io adesso: non c'è uno stile preciso, ci sono vari sapori e atmosfere, da quella più barocca con voce e quartetto d'archi a quella più swing o jazz. Sono ballate che fanno parte del mio immaginario. Se dobbiamo dire cosa si ritrova allora diciamo le atmosfere di Paolo Conte, i sapori francesi alla Gilbert Bécaud, Aznavour fino alle influenze sudamericane caraibiche di un certo Harry Belafonte. Il tutto filtrato dal mio punto di vista”.

Questo disco fotografa quello che sei tu oggi ma prima c'è “Contrada Casiello”, una fotografia della tradizione popolare da cui tu provieni. C'è uno stacco – sia “filosofico” che narrativo – tra i due dischi?
“Essendo Contrada Casiello il mio disco d'esordio, a livello narrativo parte dalle atmosfere di un piccolo paese di provincia – Contrada Casiello che esiste realmente – vicino Benevento. Sono storie in cui si ritrovano il matto del paese, la prostituta e via dicendo. È la partenza di Gerardo Casiello verso una dimensione più metropolitana. Alcuni piccoli film è invece un disco meno narrativo ma un po' più introspettivo. È Gerardo Casiello dentro la metropoli – vivo a Roma – che guarda e osserva il mondo dal buco della serratura. Anche a livello filosofico, mentre il primo disco è più didascalico questo è un po' più impressionista, mi piace in questa fase artistica dare delle impressioni di ciò che succede nella quotidianità e restituirle in musica. Mi sono concentrato di più sulla parte musicale e infatti ci sono arrangiamenti più articolati, curati da Tommaso Vittorini che ha lavorato con Conte, Capossela e tanti altri. Lo trovo un disco più maturo".

Il disco è anche una chicca dal punto di vista della tecnica di resa dell’immagine, dato che le clip sono state realizzate utilizzando diverse tecniche cinematografiche. Come ti ci sei relazionato?
“Si parte dal presupposto che oggi, con i mezzi che abbiamo, ormai la musica è imprescindibile dall'immagine e viceversa, tanto che la grande massa fruisce la musica attraverso Youtube. Quindi ho pensato 'perché non sfruttare un mezzo così eclettico quale quello del contenitore video per veicolare un prodotto artistico che fosse una commistione tra musica e immagine?'. In realtà ho dato carta bianca agli illustratori, che hanno interpretato secondo il loro linguaggio i brani, non disdegnando le tecniche digitali. Ieri è uscito il brano “Tanto per”, che non è illustrato da un disegnatore ma è un video che si avvalso delle tecniche e dei filtri digitali: ho girato con la go pro in fronte (sorride, ndr) e ho ripreso la mia giornata tipo. I filtri vengono disdegnati da tanti artisti perché ritenuti freddi, invece secondo me non è così, perché alla fine è il risultato che conta: pur utilizzando tecniche digitali si può fare un prodotto artistico che renda l'idea iniziale. “Una foglia”, ad esempio, è tutto girato in time-lapse, dove il mondo va velocissimo e al contrario mentre io vado lentamente (ride, ndr) nella direzione opposta. Poi c'è un brano che deve ancora uscire, “Due amanti”, che è un viaggio a Parigi attraverso fotografie rese come se si fosse in un quadro impressionista. Ritorna sempre l'impressionismo (ride, ndr): nel testo di “La mia verità” io parlo proprio di Renoir e di quell'immaginario lì”.

Quindi c'è un sostrato anche pittorico, se vogliamo, nel disco.
"Sì, certo".

Ecco, hai parlato della tua giornata tipo. L'onesta e la verità di una storia bastano per far nascere una canzone? Non c'è bisogno forse del grande tema o del grande personaggio per scriverne una.
“In questa fase della mia vita penso che bisogna essere onesti prima di tutto con se stessi e poi verso gli altri, perché i mezzi di comunicazione – Facebook Instagram e via dicendo – sono veicoli potentissimi ma anche pericolosi. Ad esempio il sabato sera vedo tante persone che sono più concentrate a farsi fotografie per postarle piuttosto che passare una serata chiacchierando, confrontandosi e divertendosi in modo leggero. Quindi ci sono proprio delle proiezioni di cosa si vorrebbe essere nella vita, si vuole solo apparire. Ritornando alla questione della verità, io dico “La mia verità è un orologio che gira piano, è un incantesimo fatto a mano”: rallentiamo un poco, guardiamoci intorno e rimettiamoci in discussione. Serve più naturalezza, più trasparenza. Serve fermarsi un po' più sulle cose non solo in superficie ma in profondità”.

Curiosità personale: Niccolò Fabi una volta ha detto che per far scattare il processo creativo è necessario un “accidente” di qualche tipo. Ecco, la letteratura è mai stato un “accidente” che ti è servito qualche volta per scrivere una canzone?
"Sempre. Io leggo parecchio, sia la narrativa che la poesia sono onnipresenti nella mia produzione. Lilli Greco, grandissimo produttore della RCA, scopritore e curatore di Jimmy Fontana, Patti Pravo, Avion Travel, De Gregori e Venditti mi diceva 'Quello dell'autore è un mestiere durissimo, perché devi studiare, devi leggere e ti devi documentare'. Ed è vero: a me è capitato proprio di scrivere un brano, “Le temps retrouvé”, “Il tempo ritrovato”, dove ho preso dei brani dalla Ricerca del tempo perduto integrandoli con cose mie, raccontando me stesso attraverso le parole di Proust. Quindi sì, la letteratura è fondamentale in questo mestiere”.

Ultima domanda: dove andrà adesso “Alcuni piccoli film”? Hai progettato un tour?
"Ci sarà un tour che partirà a fine febbraio. In questi giorni stiamo definendo una data di presentazione live a Roma, si tratterà di un concerto-spettacolo in quanto ci saranno anche le proiezioni dei 'piccoli film', un video mapping con i disegnatori che illustreranno in tempo reale. Lo spettatore è parte integrante dello spettacolo: i primi 10 minuti saranno interamente al buio. È un esperimento che ho già fatto nello studio fotografico di Antonio Barrella: i primi 10 minuti saranno inframezzati dai flash delle macchine fotografiche, che ruberanno un po' l'espressione autentica e incondizionata dell'ascoltatore. Sarà uno spettacolo interattivo".

Daniele Sidonio 26/12/2015

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