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Video web nel settore food: storie, documentari, tutorial e ricette

Numerosi gli incontri dedicati al cambiamento del settore food con l’avvento dei social network alla Social Media Week Food&Wine, a cura di Paola Sucato, una sezione della Social Week Milan organizzata da DOING che è cominciata il 6 giugno in via Tortona, BASE Milano.
Esperti del settore, aziende, star up e giornalisti enogastronomici si sono confrontati su vari temi caldi: lo “spigoloso” tema delle recensioni, il mestiere del food blogger, l’utilizzo del social network per raccontare un viaggio enogastronomico, il food porn, l’utilizzo delle immagini per la promozione.
Oltre il testo dei post, le immagini e i contest, i video stanno ottenendo sempre maggiore successo sui social, soprattutto crescono le visualizzazioni da mobile. L’incontro “Video: storie, documentari, tutorial e ricette” ha dato spazio alle storie di chi ha trasformato la sua passione in lavoro o ha dovuto reinventarsi come Mauro Fermariello, fotografo affermato, che nelle sue Winestories racconta la produzione e la storia dei vini e viticoltori italiani. Lenny Pellico, invece, firma e gira le storie di Donne del cibo, una serie dedicata alle donne che hanno dedicato la loro vita alla cucina, disponibili sul canale “Cucina del Corriere della Sera”.
Unico nel suo genere in Italia è il progetto Unforketable di Elisia Menduni, nato otto anni fa con l’intento di comunicare la cucina di Niko Romito, è diventato un’enciclopedia video del gusto, con più di 200 ricette della cucina italiana, realizzate dallo chef stellato, che mostra l’esecuzione della ricetta passo passo. I video hanno un costo minino di 1.99, ma non si tratta di un progetto di vendita, è solo strategia di comunicazione. I video Unfortable sono molto scaricati all’estero.
Anche le aziende hanno dovuto inserire nella loro strategia comunicativa i video, come spiega Ilaria Mazzarotta, digital strategist di Buitoni ha presentato dei tutorial in 30 secondi, utili per dare spunto sull’utilizzo dei prodotti, pensato per il target di riferimento dell’azienda, le equilibriste, ossia le donne dai 25 ai 40 anni che vogliono fare tutto e bene.
Infine Edoardo Scognamiglio, co-fondatore della video agency Combo Cat, ha presentato uno spot per il web Danone, spiegando i punti di forza di un video seriale.
È ancora presto per valutare quanto i video sul web hanno influenzato concretamente gli acquisti, ma fra meno di un anno saranno disponibili i dati, nel frattempo cresce il numero di like, follower e visualizzazioni.

Gerarda Pinto 10/06/2016

Intervista a Renato Caruso: è uscito “Aram”, un lungo viaggio d’amore tra le corde

Renato Caruso è un chitarrista, ma non solo: è uno scrittore, è un viaggiatore, è un compositore. La musica lo ha condotto su vari sentieri, gli ha fatto vivere esperienze diverse, ma è sempre nella pace delle note fiorite nelle sue melodie che lo fa tornare.
Abbiamo parlato del suo ultimo album, “Aram”, uscito in Italia il 20 maggio 2016. Lavoro di sole chitarre, il disco esprime nelle sue 11 tracce la visione emozionale di un artista fresco, sperimentatore e piacevolmente ammaliante.
Potremmo definire il tuo “Aram” come un affascinante lungo viaggio che dal suo paese natale la conduce nel mondo, a Parigi, in Spagna, in Asia?
“Sì, certamente. Tutto parte dal mio paese di origine, vicino a Crotone, e si dirama come una sorta di viaggi di Gulliver. La mia vita è un continuo spostamento: sono stato prima a Bologna dove ho studiato e poi a Milano. Ho anche viaggiato un po', sono stato in Inghilterra, a Parigi, in Germania; da ogni esperienza, da ogni luogo dove mi trovavo prendevo tutto il possibile, tutta l’influenza possibile. Sono stati anche periodi brevi, però mi bastava anche poco tempo per capire l’aria che si Aram4respirava e per lasciarmi coinvolgere”.

Oltre a un viaggio nello spazio, “Aram” forse può essere definito anche come un viaggio nel tempo? Ci sono infatti composizioni ispirate ai tempi medievali, altre appositamente elaborate per il tempo del riposo, della tranquillità, del ricordo.
“Esatto, oltre allo spazio c’è da considerare anche il fattore tempo. Credo ci siano dei momenti in cui si può ascoltare una musica e dei momenti nei quali se ne ascolta altra o nessuna. La maggior parte dei brani che ho composto sono più orientati alla ricerca di un puro ascolto rilassato: ad esempio mi hanno detto che sono perfetti mentre si lavano i piatti, oppure che sembrano la colonna sonora di un film. Questa è la sensazione che cercavo di stimolare, mi fa piacere averla ottenuta”.

Qual è il brano che rappresenta il pezzo di strada per te più importante?
“Sicuramente “Aram”, che dà il titolo del disco ed è il primo brano. È Mara, il nome della mia compagna, al contrario. L’amore a volte fa brutti scherzi!”

Da dove nasce e come nasce la tua ispirazione? Come componi?
“Di solito scrivo quando mi succede qualcosa, anche minima, oppure quando mi colpisce una musica, o anche quando sono triste, non dico depresso, ma triste. Ci sono dei momenti bui nel percorso personale di ognuno: anche nella mia vita ce ne sono stati tanti, però ho cercato sempre di mantenere il sorriso e di affrontarli in maniera costruttiva. Ecco perché da questi nascono spesso delle canzoni. Ma non sono necessari solo momenti di sofferenza: compongo anche ispirato da accadimenti sia sociali che personali, ad esempio qualche storia d’amore mi ha ispirato diversi brani. Ho una composizione abbastanza estemporanea, sicuramente nulla è programmato, non ci riesco, solo quando prendo spontaneamente la chitarra in mano riesce a uscirne qualcosa di valido.

Hai inoltre inventato un vero e proprio genere musicale.
“Sì, è stata anche la tesi della mia laurea a Milano. Si chiama Fujabocla. Questo termine l’ho coniato circa 10 anni fa, e lentamente si è sviluppato ed è diventato realtà. È l’acronimo di quattro generi musicali: funk, jazz, bossa e classica. Credo che questi siano i quattro generi musicali più influenti al mondo, e portano necessariamente a una contaminazione tra di loro e con altri, che io chiamo pop contaminato. In alcuni brani di “Aram” si sente questo genere, soprattutto in “Tarantella”: ci sono alcune parti in cui io faccio un mix tra jazz bossa e classica. Solo ascoltando il brano e il disco però si può capire a fondo quello che sto spiegando, a parole non è mai facile illustrare la musica”.

Quali sono i musicisti che più ti hanno influenzato?
“Senz’altro Pino Daniele. In Italia era senza dubbio il numero uno, insieme a Battisti e Alex Britti. Internazionalmente parlando, Beatles Sting e Rolling Stones sono i miei maggiori spunti, oltre alla musica classica, perché comunque io provengo da un percorso di studi di conservatorio”.

CarusoHai anche scritto un libro “LA MI RE MI”, edito da Europa Edizioni e dedicato proprio a Pino Daniele.
“Sì è vero. Stavo già scrivendo qualche appunto quando a gennaio ho avuto la terribile notizia della sua scomparsa e d’istinto ho deciso di dedicarlo a lui. Inoltre c’è un capitolo che parla proprio di Pino Daniele, della sua tecnica chitarristica. La gran parte del libro invece parla di informatica musicale, quindi di studi scientifici che vanno da Pitagora a Steve Jobs, partendo da come si muove la corda e la vibrazione nel tempo e nello spazio, passando per il piemontese Leonardo Chiariglione che ha scoperto l’mp3 e arrivando a Steve Jobs che lo ha usato per cambiare la discografia”.

Come percepisci la situazione musicale in Italia, in particolare per quanto riguarda la musica strumentale? Ritieni le sia dedicato abbastanza spazio e attenzione?
“No, purtroppo abbiamo pochissimo spazio. Molte orchestre stanno chiudendo, tanti musicisti non hanno più lavoro. È una scelta di vita molto difficile, a meno che qualcuno non abbia qualcosa di veramente forte da dire. Penso infatti che se un artista di qualunque ambito -musica, letteratura, pittura- voglia veramente dire qualcosa di profondo, la gente alla fine lo capisce. L’Italia resta comunque un Paese di cultura, anche se ora è difficile: la gente non è stupida, se qualcosa è buono e valido viene apprezzato. Altrimenti non si potrebbe spiegare come ad esempio un libro riesca ancora a vendere centinaia di migliaia di copie. Quindi bisogna sempre cercare di dare il massimo, e se si riesce a raggiungere un ottimo livello qualitativo ed emotivo allora si riesce ancora ad attirare l’attenzione della gente”.

Credi che all’estero la situazione sia migliore? Cosa hai percepito nei tuoi viaggi?
“No, secondo me sono tutte cavolate. Anzi, credo sia più difficile trovare spazio all’estero per un italiano. In una città inglese o spagnola è difficilissimo emergere, a livello musicale c’è veramente una grande competizione. Io parto dall’Italia perché sono italiano, e da qui devo e voglio partire. Poi se devo andare oltre, volentieri. Ma oltre il confine non c’è certamente un Paradiso”.

Giulia Zanichelli 09/06/2016

“Lasciami entrare” al MACRO, tra matite e infanzie spezzate in attesa di essere riparate

Lasciami entrare” è l’ultima tappa di un viaggio iniziato nel 2011 a Tzippori in Galilea, nei pressi di Nazareth, nel quale Alessandro Valeri ha voluto donare a un orfanotrofio il proprio impegno umanitario, creativo e artistico.
Non è la prima storia di tal genere, né sarà l’ultima, ma vale la pena di essere raccontata poiché l’arte impegnata e non omologata di quest’artista offre la possibilità di entrare in un mondo difficile, condividendolo non soltanto per il tempo di uno sguardo, ma anche per la sintonia dei sentimenti.lasciami1
All’interno di un moshav ebraico in una zona del paese abitata per la maggior parte da arabi musulmani, un piccolo gruppo di suore con l’aiuto di assistenti e insegnati gestisce l’orfanotrofio che accoglie bambini senza fare alcuna distinzione di etnia o religione e senza fare opera di evangelizzazione. Mentre fuori le mura dell’orfanotrofio c’è un aspro conflitto, al suo interno regna una collaborazione tra islamici, cristiani ed ebrei.
Alessandro Valeri torna più volte in questa che pian piano diventa un’oasi di affetti e lavoro. Prende appunti di viaggio per registrare le emozioni in un luogo difficile da descrivere. Scatta fotografie (Valeri ha vinto molti premi nel settore), registra suoni e video, disegna con e per i bambini: questi appunti di viaggio diventano oggi un’esposizione, visibile dal 2 giugno al 24 luglio 2016 negli spazi del MACRO La Pelanda - Foyer 1 di Testaccio.
La mostra propone un video attraverso cui si può sbirciare tra le fessure di quel mondo tragico e così distante, che si tende ad ignorare, troppo spesso intorpiditi da milioni di altre notizie che registriamo con gli occhi e la mente allo stesso modo: il delitto per una lite, la pubblicità dell’otto per mille, il divorzio dell’attrice famosa e così via.
Il rifugio anti-gas dell’orfanotrofio si mostra come un luogo pieno di giocattoli ma freddo e arido dove il rumore costante delle ventole accompagna quotidianamente la giornata dei circa 70 bambini.
In questa situazione critica, che un figlio dell’occidente definirebbe una “non vita”, c’è un bambino che non ha perso la speranza per una nuova vita e senza fare calcoli disegna un giardino con fiumi e arcobaleni. L’orfanotrofio è dunque un luogo che provoca forti emozioni e per questo è diventato una fonte d’ispirazione per Alessandro Valeri che è riuscito a trarre luce in tale strazio.

lasciami4L’ultima tappa di un viaggio si rivela, per noi, l’inizio di uno successivo. L’artista ha voluto creare una connessione profonda con le persone attraverso una nuova dimensione narrativa. Percorrendo il suggestivo corridoio con 40.000 matite spezzate, si entra nei luoghi dell’anima. Si riconosce e si supera la difficoltà simbolica dell’arte e della vita; si accetta il rischio dell’inciampo perché le matite rotolano e si spezzano ulteriormente sotto i passi di chi vi cammina sopra. Non c’è un’intenzione drammatica nell’arte di Valeri ma volendone trovare una, ogni scricchiolio di matita è un grido di aiuto, un qualcosa che si distrugge con la speranza di rigenerarsi.
Tutti i corridoi si possono percorrere in diverse direzioni ma ovunque si provi ad andare quelle matite a pezzi fanno scivolare sul pensiero di un’infanzia perduta, violata, disuguale, una situazione interrotta, una volontà spezzata, un sogno infranto. Ci torna alla memoria Antoine de Saint-Exupéry: “Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano”.
Tutto questo non può che smuovere la coscienza soprattutto in chi, a primo impatto, quelle matite hanno fatto riemergere ricordi decisamente più felici. L’istallazione è arricchita da alcune tele su cui sono stampate le foto dei dettagli immortalati dall’artista all’interno dell’edificio disadorno. Un interruttore, un lucchetto di un armadio, un vecchio rubinetto, un Mickey Mouse di peluche, la porta del rifugio anti-gas, un’ombra sul muro. Questi pezzi di un puzzle, estrapolati dal loro contesto, sono stati ingranditi e messi in bianco e nero, con l’aggiunta di pochi e veloci colpi di pennello che accentuano il vuoto di molte delle scene catturate.
Bisogna credere nelle cose al punto di renderle vere. A sostegno di un’arte socialmente utile che faccia dell’etica una nuova frontiera di affermazione estetica, le opere della mostra a cura di Micol Veller Fornasa sono in vendita e il ricavato va in beneficenza all’orfanotrofio di Tzippori. Il cammino culmina in un’istallazione sospesa: un vecchio banco di scuola appeso nel vuoto che evoca un diritto spesso negato, quello all’istruzione.
I bambini sono sempre fuori dall’inquadratura, tranne nell’ultima fotografia, l’unica che coglie una presenza fisica, umana, e che li mostra in fila per una partita di pallone.
Ma non tutto è perduto. E’ che forse le cose semplici sono le più difficili. La felicità, piccola cosa quale è, si svela difronte a una vecchia macchina per lo zucchero filato e a un signore che offre dolcezza ai visitatori: immagine che raffigura come dovrebbe essere la vita di quei ragazzi, piena di gioia e spensieratezza.
A loro invece si svelerà mai la felicità?

Livia Filippi 05/06/2016

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