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«Rifondare questa Europa», partendo «non dall’economia ma dalla cultura»: è questo, nelle parole dell’ambasciatore di Francia in Italia Christian Masset, l’ambizioso obiettivo che si pone la nuova stagione della "Francia in scena", lungo e articolato programma di eventi (oltre duecentocinquanta in ventuno città italiane) presentato il 7 maggio nella Sala Anna Magnani di Palazzo Farnese a Roma. Ogni appuntamento, da qui al 27 novembre, nasce dalla collaborazione dell’Institut français con partner italiani, tra cui Romaeuropa, Napoli Teatro Festival, Novara Jazz e altri ancora. Una particolare attenzione è stata dedicata quest’anno alla valorizzazione degli artisti giovani, come dimostra l’evento di lancio tenutosi a Firenze il 4 maggio, "La Parata dei Giganti", realizzato da Léonard Martin, ventottenne borsista alla Villa Medici, intervenuto in conferenza a raccontare il suo progetto: una parata di tre marionette alte sei metri ispirate ad altrettanti quadri di Paolo Uccello, per un festoso omaggio alla città e alla pittura fiorentina a cinquecento anni dalla morte di Leonardo Da Vinci. Il progetto di Martin rappresenta allora, ha aggiunto Christophe Musitelli (direttore dell’Institut français Italia) tutte le istanze fondamentali al centro di questa nuova edizione: «dare la parola ai giovani», rimarcare l’esistenza di una «memoria comune» tra i paesi e le culture d’Europa, far conoscere «una scena emergente in Francia che si costruisce in dialogo con l’Italia».

La conferenza è proseguita con gli interventi di alcuni dei partner italiani che hanno presentato le rispettive produzioni in programma. Corrado Beldi di Novara Jazz si è soffermato sugli eventi che dal 24 al 26 maggio animeranno il Parco del Ticino, tra cui un concerto del batterista Ariel Tessier e della violista Séverine Morfin il 25 maggio. La sera del 24 sarà dedicata invece all’ospite d’onore della residenza artistica di quest’anno, ovvero Matteo Bortone, che suonerà col quartetto Travelers, formato da due musicisti francesi e due italiani (tra cui Bortone stesso). Natalia De Marco, della Direzione del Chiostro del Bramante, ha invece posto l’accento sullo spettacolo di improvvisazione Il domani è cancellato, ad opera del collettivo (LA)HORDE, prima nazionale il 7 e l’8 giugno, con gli spazi del Chiostro che diventeranno palco per due serate tra danza, performance, film e dj set. Particolarmente ricco il panorama di collaborazioni dell’Insistut con il Napoli Teatro Festival, di cui ha parlato Alessandro Barban della fondazione Campania dei Festival: tra gli eventi in programma, il primo episodio di Kanata di Robert Lepage con il Théâtre du Soleil (dal 28 al 30 giugno), nonché diversi lavori di artisti provenienti «dal mondo arabo di cultura francofona», testimonianza per Barban della «sfida civile» rappresentata dal «mettere in dialogo tutte le culture» di quello «straordinario mondo che è l’Europa mediterranea».

Emanuele Massi, direttore di Bolzano Danza, ha citato alcuni frutti del «forte dialogo» con l’Institut che avremo modo di vedere durante la trentacinquesima edizione del festival bolzanino (12-26 luglio): tra questi, My body of becoming forth by day di Olivier Dubois e la prima in esclusiva nazionale di Franchir la nuit del coreografo Rachid Ouramdane (anche curatore ospite della Sezione Outdoor). Hanno completato il quadro della «grande famiglia franco-italiana» (come l’ha definita la responsabile del progetto La Francia in scena Chloé Siganos) Francesca Corona (consulente artistica del Teatro India di Roma) e il direttore del Festival Romaeuropa Fabrizio Grifasi. La prima ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra l’Institut e la Rete I.N. Italia, con progetti come Jukebox di Joris Lacoste: in tale occasione gli spettatori sceglieranno quali parole far eseguire all’interprete da una partitura di cinquanta documenti sonori rappresentanti «ogni genere di parola parlata» in un dato luogo. Dal canto suo, Grifasi ha ricordato come quella della Francia sia una «presenza storica» all’interno del Festival Romaeuropa, presenza che quest’anno offrirà numerosi eventi, tra cui concerti come quello di Chassol Ludi (24 novembre) e spettacoli come la prima nazionale di Falce e Martello (25-27 ottobre), dove Julien Gosselin si confronterà con il racconto omonimo di Don Delillo.

Emanuele Bucci   8-5-2019

ROMA – Mentre l'esposizione “DREAM. L’arte incontra i sogni" continua al Chiostro del Bramante, lo sceneggiatore e scrittore Ivan Cotroneo presenta, insieme alla giornalista Teresa Ciabatti e ai due lettori-attori Angela Baraldi e Alessandro Roja, il suo libro “Le voci del sogno”, edito da La Nave di Teseo. È la raccolta dei racconti di mostra ascoltabili nell'”audioguida non didattica” di DREAM, nati dall'incontro con Natalia De Marco, direttrice artistica del Chiostro, e Danilo Eccher, curatore della mostra.
I testi dell'audioguida sono letti e interpretati da 14 attori italiani, tra cui Carolina Crescentini, Giulia Bevilacqua, Isabella Ferrari, Marco Bocci, Cristiana Capotondi, Brando Pacitto, Matilde De Angelis, Matteo Giuggioli, Giuseppe Maggio, Valeria Solarino, Valentina Cervi, oltre ai due già citati, presenti all'evento, ai quali si è poi aggiunto, a sorpresa, Alessandro Preziosi.

14 storie diverse, 14 io-narranti, 14 identità. 14 racconti che parlano da un posto che non c'è, da un sogno, appunto, che, come tutti i sogni, non si capisce esattamente da dove né quando sia iniziato. Ivan Cotroneo ci spiega di essere cresciuto in una famiglia numerosa, in cui era impossibile avere un momento di privacy: «c'era sempre uno sguardo esterno a dirti “ma che fai, sei ridicolo” quando volevi ballare davanti allo specchio, quando te ne volevi stare per i fatti tuoi». E nel libro si avverte questo sguardo, che l'autore fa suo, questa distanza, questo effetto di straniamento tra quello che sta dentro e quello che sta fuori, tra ciò che si percepisce e l'osservazione di chi percepisce.
«Compresenza» è una parola su cui l'autore pone l'accento, potremmo definirla la parola-chiave per interpretare il libro: accanto alla dimensione realistica ce n'è sempre un'altra «non perfettamente realistica». Come se i luoghi contenessero, in compresenza, tutte le storie che lì sono state scritte. Come se vivessimo sempre, oltre che nello spazio fisico e concreto, in uno «spazio altro», onirico, indefinibile. L'idea del libro dopotutto nasce proprio da un episodio realmente vissuto dallo scrittore, quando, a vent'anni, attraversando Piazza Mercato a Napoli, la sua città, ha sentito delle presenze intorno a sé, e ha iniziato ad ascoltare le loro storie, quelle che hanno poi preso corpo ne “Le voci del sogno”.Le voci del Sogno
Ivan Cotroneo sceglie di far leggere il racconto dell'ingresso nel mondo del sogno, ad Alessandro Roja. «Troppe le stelle, troppi gli impegni, troppe le cose fatte e da fare». L'io che narra alza gli occhi, ammira l'enorme cielo stellato, e pensa che è una conquista, ma anche un enorme peso da caricarsi sulle spalle.
È poi il turno di Angela Baraldi, cantante e attrice dalla voce ipnotica, già prodotta da Lucio Dalla e protagonista del film di Gabriele Salvatores “Quo Vadis, baby?” (2004). A lei Cotroneo decide invece di affidare la stanza della vertigine: «non puoi uscire da questo labirinto senza prima esserti perso». Un invito a perdersi per ritrovarsi, a perdere il senso e la logica, ad avere paura della vertigine, o che tutto ci caschi addosso, per essere noi stessi vertigine e labirinto.

Come già accennato, Alessandro Preziosi, che fa parte anche lui dei 14 lettori di DREAM, ha fatto la sua comparsa inaspettata nella seconda parte della presentazione, cogliendo l'occasione per leggerci un estratto del libro. «Le mie mani sanno solo tessere e perdersi nei fili, per creare. Così, ti ho scritto una strada, una terra e un paese e invece che ad una lettera, ho affidato il mio amore ai colori e alla materia, ho usato le mie notti per cercare di essere Dio per te»: un pezzo mozzafiato, uno stile meditativo e intimista, una sensibilità e serenità che Preziosi paragona alla poesia di Fernando Pessoa perché, dice, ci aiuta a «leccarci le ferite». In Cotroneo ci sembra di ritrovare, in effetti, quella «febbre di sentire», quel fermento dell'immaginazione che sono stati propri di Pessoa al di là di ogni tipo di eteronimo.

È così attraente l'idea di affiancare a una mostra contemporanea una lettura in audio-guida che non spiega, ma offre una suggestione che completa la mostra, che ne diventa parte integrante, ponendosi in dialogo con essa. Prodigi dell'era contemporanea – l'era del post e della contaminazione, delle arti che si attraversano l'una con l'altra e creano meraviglie. E ci sentiamo di affermare che anche “Le voci del sogno” sia un prodigio, l'opportunità per stupirsi. Da afferrare in libreria, su Amazon o IBS.

Sara Marrone, 14/02/2019

Dopo 50 anni dall’ultima esposizione nella capitale, tornano a Roma le opere di Joseph Mallord William Turner. È merito della virtuosa cooperazione internazionale tra la sede espositiva romana, il Chiostro del Bramante, e il museo londinese, la Tate Gallery, se dal 22 marzo al 26 agosto più di 90 opere d’arte, tra schizzi, studi, acquerelli, disegni e una selezione di olii, saranno a disposizione dello sguardo della città eterna: “Turner. Opere della Tate”, a cura di David Blayney Brown.

p.142 Turner Larco di Costantino 1823 olio su tela BIS

Oltre 150 anni fa, il 23 aprile 1851, si spegneva J.M.W. Turner alla rispettabile età di 76 anni dopo un’altrettanto rispettabile carriera che aveva attraversato i proverbiali secoli l’un contro l’altro armati e l’Europa del pre e del post Napoleone. Di immenso successo allora come oggi, l’arte del pittore inglese è portatrice di una novità di stile e contenuti che non smette di parlare. Non è un caso se una sezione della mostra, intitolata “Turner, il primo dei contemporanei”, è dedicata agli artisti di Otto e Novecento maggiormente debitori della lezione turneriana. Già individuati dallo storico dell’arte Robert Rosenblum nel suo felice saggio “Modern Painting and the Northern Romantic Tradition”, vengono rievocati maestri del calibro di Monet, Rothko, Twombly.
La lunga carriera di Turner lo vede profondamente radicato nell’ambiente della Royal Academy School, prima come allievo appena adolescente poi come docente. Il suo lascito alla Tate, un vero e proprio museo nel museo, include i lavori che erano rimasti nell’atelier alla sua morte: pezzi invenduti e incompiuti e innumerevoli studi che formano una collezione personale, intima, espressiva, sperimentale e che aprono le porte del suo retrobottega. Il vento fresco della sua arte, pur nel progressivo abbandono di ogni preoccupazione naturalistica a favore della meditazione astratta sulla luce e sul colore, fu ben accolto. “Mago”, lo chiamava un critico dell’epoca. E in effetti, novello Prospero, esercita un controllo sovrannaturale sui quattro elementi che sotto forma di colore atmosferico compongono i suoi lavori, dai più tradizionali paesaggi non troppo distanti dagli esiti del conterraneo John Constable come la veduta dell’Arco di Costantino del 1823 fino ai più avanguardistici “Colour Beginnings” (studi e schizzi raccolti a partire dalla fine del 1810). il pennello di Turner, tecnica e immagine si allineano. La maestria e il genio dell’artista piegano l’olio e l’acquerello, il cui impiego risulta invertito negli effetti ricercati: libero e leggero il primo, denso e trasparente il secondo. Una vera e propria ossessione per il carattere mutevole e vertiginoso della luce della quale le opere della Tate al Chiostro sono testimoni privilegiate. E così i visitatori.

Alessandra Pratesi
23/04/2018

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