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Continua la stagione di prosa all’Altrove Teatro Studio con un evento speciale: Venerdì 28 e sabato 29 febbraio alle 20 con replica finale domenica 1° marzo alle 17, torna finalmente a Roma dopo oltre quattrocento repliche e dieci stagioni, lo storico spettacolo “Mumble Mumble - ovvero confessioni di un orfano d’arte”.

Un racconto in tre tempi in cui Emanuele Salce accompagnato in scena da Paolo Giommarelli narra impudicamente le vicende di due funerali e mezzo.Locandina Mumble Mumble

Nel primo, quello di suo padre Luciano, quando aveva poco più di vent’anni e, reduce da una nottata di eccessi etilici, si trovò a dover gestire da solo l’accadimento, fra para-parenti a caccia di lascito, addetti alle onoranze funebri che lo inseguivano con cataloghi di bare e la ragazza per cui spasimava che non gli si concedeva.

Nel secondo, quello di Vittorio Gassman, marito di sua madre, in cui si assiste ad un vero e proprio Carnevale del sacro e del profano, fra autorità politiche improbabili e presenzialisti d’ogni risma per concludere il tutto con la semifinale degli Europei del 2000 Olanda – Italia.

Nel terzo, metaforicamente, il suo. Quest’ultimo viene vissuto attraverso l’incontro con una bionda australiana e una défaillance occorsagli in un museo di Sydney.

A fare da contraltare in scena lo spettatore-regista Paolo Giommarelli, ora complice, ora provocatore della confessione, passando con candida disinvoltura da Achille Campanile a Petrarca fino ad un trattato di procto-gastroenterologia.

 

Cenni sullo spettacolo

Mumble mumble – ovvero confessioni di un orfano d’arte nasce nel 2009, quasi per caso, quando la direzione artistica di un teatro privato milanese, dopo avermi visto in un’intervista tv, mi offrì di fare una serata nel loro spazio estivo. “Vorremmo conoscerla artisticamente” fu la proposta. [...] Il primo istinto fu quello di cercare  supporto nei classici: “La mite” di Dostoevskji era sempre stato uno dei miei  racconti preferiti. Optai per quello senza indugi. Ma poi, per enorme senso di gratitudine verso questi signori sconosciuti che mi offrivano questa inaspettata e gratificante possibilità, tornai sui miei passi e, ritenendo di dover fare qualcosa di più per poter contraccambiare adeguatamente la generosa offerta, aprii il rubinetto dei miei ricordi più intimi senza indugi e venne fuori tutto, tutto ciò che avevo di più intimo dentro di me. [...] Ma pochi giorni prima dell’andata in scena, accadde l’inaspettato. Lo stesso teatro che  mi aveva tanto cercato, ingaggiato e tanto incoraggiato a farmi conoscere artisticamente presso il suo spazio, decise di censurarmi. [...] Il mio produttore mi disse di non farne un dramma e che mi avrebbe offerto di metterlo in scena comunque per qualche serata all’interno di una sua rassegna di testi inediti che si sarebbe tenuta qualche mese più tardi. E lì accadde l’imponderabile, lo spettacolo ebbe un successo insperato (almeno da me), registrammo persino degli esauriti e ci fu proposto di replicare per tutta la settimana successiva. A Roma si sparse in fretta la voce che accadeva  qualcosa di molto interessante nel nostro teatrino, venne chiunque, dai colleghi agli  impresari. Finché uno di questi decise subito di prenderlo e metterlo nel suo cartellone l’anno successivo. Da lì parte l’avventura di questo piccolo spettacolo che finisce per diventare così quasi grande e ad andare in scena ancora oggi.

Emanuele Salce

1 mumble

Note Biografiche 

Emanuele Salce, figlio dell'attore e regista Luciano Salce e di Diletta D'Andrea, si è diplomato in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1991. Dopo alcune esperienze come regista di documentari per Videosapere ed il Dipartimento Scuola Educazione della Rai, è stato assistente alla regia di Dino Risi, Ettore Scola, Marco Risi, Livia Giampalmo e Pasquale Squitieri, apparendo occasionalmente come attore (Concorrenza sleale, Le barzellette). Negli anni 2000 la sua attività, nel cinema (Colpo d'occhio, Il padre e lo straniero), in televisione e, soprattutto, in teatro si è intensificata, sia come interprete (La parola ai giurati, La baita degli spettri, Riccardo III, Il topo nel cortile) ed anche come autore: Mumble mumble, presentato per la prima volta al Teatro Cometa Off di Roma nel 2010, e poi replicato nelle stagioni successive con successo sempre crescente. Servendosi del critico Andrea Pergolari come co-autore, vi racconta, con i moduli del paradosso e del grottesco, la sua condizione di orfano di due padri artistici: Luciano Salce e Vittorio Gassman (con cui Emanuele ha vissuto dall'età di due anni, una volta che sua madre Diletta era divenuta compagna di vita di Gassman). Nel 2009, sempre insieme a Pergolari, ha raccontato la figura del padre Luciano a vent'anni dalla scomparsa nel volume Una vita spettacolare e nel documentario L'uomo dalla bocca storta, che è stato presentato al IV Festival Internazionale del Film di Roma, al Biografilm di Bologna (2010), al Premio Sergio Amidei (2011) ed ha avuto la menzione speciale come miglior documentario sul cinema ai Nastri d'argento 2010.

 

 

MUMBLE MUMBLE ovvero confessioni di un orfano d’arte

Di Emanuele Salce e Andrea Pergolari

Con Emanuele Salce e Paolo Giommarelli

Regia Timothy Jomm

Musiche Federico De Antoni

Ufficio stampa Rocchina Ceglia

Distribuzione Altra Scena

Foto di scena Dania Martino

Costumi Giulia Elettra Francioni

Disegno luci Giacomo Cursi e Marco D’amelio

Grafica e materiali Daisy Iacuzzi

 

Per tutte le informazioni riguardanti la Stagione 2019/2020 dell’Altrove Teatro Studio è possibile visitare il sito www.altroveteatrostudio.it 

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BIGLIETTI

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Redazione 26/02/2020

Una porta divide idealmente lo spazio vitale di due amici fraterni, diversi ma profondamente dominati dalle stesse ansie e nevrosi. Ci rammentano che «La signora del piano di sopra sta partendo», questo il titolo dello spettacolo, ma è domenica mattina e quel baccano, che sta creando la donna appena un piano più sù, non li fa riposare entrambi.
La versione definitiva del testo ha debuttato all’Altrove Teatro Studio il 21 e 22 febbraio: con la regia e la drammaturgia firmata da Tommaso Paolucci e Francesco Pietrella, accompagnati in scena da Matteo Berardinelli e Daniele Pinzi.Fotodiscena 3Troppo tempo libero e la stanchezza degli snervanti turni di notte danno vita alla tragicomica tensione che ci accompagnerà per tutta la messinscena.
Cosa sta accadendo nel palazzo? Perché tutto questo via vai? Chi è quella gente e, soprattutto, cosa succede lì fuori? Gli interrogativi in cerca di risposta sono fagocitati dalla gabbia astratta che trattiene i due: la loro testa. La drammaturgia di Paolucci-Pietrella è un crescendo, un’amalgama che pian piano prende vita sino al momento in cui i protagonisti, faccia a faccia, si dichiarano le stesse paure. 
L’uso sapiente dello spazio aiuta la narrazione scenica alla suddivisione degli snodi chiave, antiteticamente prende il sopravvento una parte della psiche umana, poi un’altra. Mai banalmente entriamo nei passaggi emotivo-cerebrali dell’essere umano che di fronte ad una realtà di incertezza e ignoranza si muove, arranca e cerca di divincolarsi più o meno bene.

Fotodiscena 1Prima assistiamo all’istinto illogico, che si traduce nella perdita della lucidità e di qualsiasi sistema di riferimento, dopo subentra il momento razionale figlio dalle regole che gestiscono ogni circostanza. I protagonisti conducono la costante dicotomia verso un’ isterica ricerca di un senso. 

Da lontano, rimanendo perennemente in “finestra”, gli interpreti tentano di trovare un ordine traducendo ogni nuovo elemento, inserito in questa aliena giornata, con una connotazione negativa.
L’assenza della parola, la gestualità e la prossemica raccontano un momento che viene narrato solo attraverso l’uso del corpo rivelando quello che di più intimo c’è nella mente: ora la confusione, le paranoie e le paure sono palesate in modo più consistente.
Tommaso Paolucci si impone inizialmente come la parte più remissiva e problematica della dinamica: paradossalmente compie un’evoluzione, in numerosi passaggi riesce a domare la sua sensibilità e reagire.
Francesco Pietrella, sicuro di sé e schematico, ribalterà il suo essere risultando meno incisivo di quello che sembra. L’involuzione emotiva del suo personaggio rappresenta lo specchio di una società predominante, celata dietro personalità apparentemente indistruttibili.
Un’ora di botta e risposta tra due emisferi che ogni tanto si sfiorano, si toccano e poi collidono.
“La signora del piano di sopra sta partendo” sintetizza con l’artificio dei due amici, diversi ma in fin dei conti uguali, un tema cardine della psicologia umana: fino a che punto il mio sguardo sul mondo è fedele alla realtà se mosso da precisi schemi mentali?
E, in ultima analisi, fino a che punto queste visioni condizionano l’atto pratico poi? Una riflessione consapevole che riesce ad alleggerirsi da sola, quando necessario, e consegnare allo spettatore la giusta dose di risate.

Arianna Sacchinelli 

22-02-2020

Continua la stagione di prosa all’Altrove Teatro Studio. Venerdì 21 e sabato 22 febbraio alle 20 in scena “La signora del piano di sopra sta partendo”, drammaturgia e regia di Tommaso Paolucci e Francesco Pietrella, accompagnati in scena da Matteo Berardinelli e Daniele Pinzi.

Due amici, due colleghi, vivono e si sopportano nello stesso appartamento da tanti anni. La routine delle loro settimane vede l'alternarsi di faticosi turni di notte e sfiancanti giorni di riposo, come dovrebbe essere questa domenica. Dalle prime luci dell'alba capiranno però che riposarsi non sarà così semplice. Una serie di eventi - più o meno insoliti - getterà i due in un turbine di paranoie e paure.foto1

In questo vortice cominceranno a mettere in discussione la loro quotidianità e anche un evento banale come la partenza della signora del piano di sopra potrà far vacillare le loro convinzioni; i personaggi di questa storia si troveranno a bordo di una giostra a loro insaputa: non si può scendere, si può solo continuare a girare. Quanto gli costerà decidere di non affrontare le proprie insicurezze, ma al contrario rimanerne  ingabbiati?

Note di regia

Questo testo, che descrive la storia di due amici fraterni, nasce con il desiderio di esplorare un conflitto che quotidianamente ognuno di noi può vivere dentro di sè, quello tra razionalità e istinto. La storia della cultura occidentale degli ultimi secoli ci ha convinto a credere che sia il primo a dover dominare sul secondo, il trionfo della ragione è quello che ci ha permesso di diventare ciò che siamo oggi. Nonostante questo, spesso proviamo la sensazione che il nostro primo impulso sia quello di reagire seguendo quel sentimento animale che è l'istinto.

I nostri protagonisti si confrontano con un una giornata in cui gli eventi inziano a prendere una piega "curiosa", rimasti volontariamente dentro al loro appartamento, sono estranei a quel che accade al di fuori e possono provare a scoprirlo esclusivamente affacciandosi dalla loro finestra. La finestra diventa un filtro della realtà, un punto di vista soggettivo degli eventi che condizionerà la percezione del trascorrere di questa giornata e di conseguenza tutte le loro scelte. La privazione della possibilità di conoscenza diretta, scatenerà due diverse reazioni: da un lato un senso di paura illogico -  l'istinto appunto - nato da semplici intuizioni che porterà all'abbandono totale della lucidità e alla perdita di qualsiasi sistema di riferimento. Dall'altro l'analisi razionale degli eventi al fine di allontanare il più possibile qualsiasi tipo di pericolo, il tentativo disperato di vagliare le circostanze applicando le regole della ragione, anche se la vita spesso opera attraverso altre regole. Questo dualismo, non porterà facilmente alla presa di una decisione, se non quando la situazione sarà ormai inevitabilmente compromessa, solo a quel punto si scoprirà quale dei due processi di elaborazione avrebbe condotto alla soluzione.  

Il lavoro è frutto della collaborazione nata durante gli anni di studio in Accademia, ed ha debuttato arrivando finalista al "Premio Siae 2016" con un teaser di 5 minuti. Nel corso degli anni è stato oggetto di un costante lavoro che ha prodotto - nel 2018 - il corto teatrale della durata di 35 minuti andato in scena al Teatro India all'interno del festival "Contaminazioni" e che nel 2019 ha partecipato al "Minimo Teatro Festival" organizzato dal Piccolo Teatro Patafisico di Palermo. La versione definitiva del testo debutterà all'Altrove Teatro Studio di Roma il 21 e 22 febbraio 2020.

Francesco Pietrella e Tommaso Paolucci

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Redazione 10/02/2020

Debutta in prima assoluta a Roma, all’Altrove Teatro Studio il 24 e 25 gennaio alle 20 con replica finale pomeridiana domenica 26 alle 16, SETE, spettacolo scritto da Walter Prete e diretto da Lorenzo Parrotto.

Unico interprete in scena Giorgio Sales, il quale dà vita a un meccanismo “scellerato” che genera un intero caleidoscopio di personaggi: dal ristoratore all’imprenditore, dall’influencer al trader finanziario fino al critico d’arte, in una sorta di gioco al rilancio in cui vince chi riesce ad aumentare di più il valore di un bene primo come l’acqua, trasformandolo in un’icona del lusso.  Una scrittura a cerchi concentrici in cui gli stessi personaggi, tornano ciclicamente sempre più inebriati dalla bramosìa del desiderio e galvanizzati dall’incapacità di avvertire il bisogno, che però resta un indicatore essenziale dell’equilibrio biologico.

Partendo da episodi di stretta attualità, passando per la riflessione di Feuerbach e Guy Debord, si giunge alla spettacolarizzazione dell’immagine che per Debord diventa momento della mediazione nel rapporto fra individui, descrivendo la parabola dello slittamento dell’essere in avere e dell’avere in apparire. Assetati di immagini, i personaggi di SETE finiscono per non riconoscere più la vera sete, quella legata alla conservazione della vita, che resiste ad ogni tentativo di farsi ridurre in cosa.foto UDINE SETE 

“Con Sete vogliamo raccontare una storia. La storia di un luogo che, come tutte le cose, porta con sé una memoria. L’avvento improvviso e fortuito di uno dei tanti eroi del nostro tempo (o antieroi, a seconda di come la si legge) cambierà il destino di questo luogo e, a effetto domino, i destini di tutte le persone a esso collegate. Insieme a Walter e a Giorgio ci siamo decisi a raccontare un piccolo grande spaccato del nostro tempo. È sempre difficile sapere davvero cosa si vuole. Per questo, spesso e volentieri, ci si affida, oggi più che mai. Ci si affida a quelle persone che sanno cosa vogliono, o almeno sembrano saperlo. E ci affascinano, ci attraggono, proprio perché ci comunicano sicurezza e decisione. Ed è tra queste maglie che i nostri cinque personaggi prendono forma. Ed ecco l’acqua: bene indispensabile, primario. Bene che deve, dovrebbe, essere alla portata di tutti. E così come Dio, che nella Genesi separa la luce dalle tenebre, così il nostro eroe separa un bene come questo dal resto del mondo, “stabilendo un valore”: in questo caso il valore è dato dalla bottiglia, da ciò che contiene e racchiude l’acqua. Ma il valore cambia anche a seconda di chi stabilisce il valore stesso, il nostro eroe. Noi, da parte nostra, non vogliamo trovare il colpevole. Vogliamo raccontare ciò che può cambiare radicalmente una vita. Alla fine, chissà, ci ritroveremo anche noi chiedendoci a vicenda un sorso d’acqua, cercando nello zaino o nella borsa la nostra bottiglietta. Che c’è di male. In fondo si sa: a teatro viene sete.”

Lorenzo Parrotto

Lo spettacolo ha ricevuto il “Premio Speciale” nell’ultima edizione del “Premio Giovani Realtà del Teatro Nico Pepe”, conferito dal Direttore dell'Accademia De Maglio, e la “Residenza alle Periferie Artistiche” della Regione Lazio.

 

NOTE BIOGRAFICHE

“SETE” è il prodotto di un collettivo informale composto da Giorgio Sales (interprete), Lorenzo Parrotto (regista) e Walter Prete (drammaturgo). Dopo gli anni della formazione e delle prime esperienze professionali, si ritrovano per dare seguito ad un impegno preso anni fa, quasi per gioco.

Lorenzo Parrotto, classe 1993, romano, si diploma nel 2016 presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”. Debutta nel 2016 al Teatro Argentina di Roma con “Ragazzi di vita”, di Pier Paolo Pasolini, regia di Massimo Popolizio, spettacolo premiato alle MASCHERE DEL TEATRO ITALIANO 2017.  Nel 2017 entra a far parte della Scuola di perfezionamento del Teatro di Roma.
Nel 2017 con Lorenzo Collalti, autore e regista con cui collabora nella compagnia l’ “Uomo di fumo”, prende parte a “Nightmare N.7” e “Reparto Amleto”. 
Nella primavera del 2019 è al lavoro nelle riprese del film "La cena", opera prima di Manuel de Teffè.

Giorgio Sales, classe 1994, salentino, viene ammesso giovanissimo all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” dove si diploma nel 2016. Successivamente, nel 2017, viene ammesso al corso di perfezionamento presso la Scuola del Teatro di Roma. Nel 2018 entra a far parte del cast di Skam, serie TV molto popolare fra i giovani e in onda su TIMVISION. Tra i tanti titoli portati in scena, nel suo curriculum, spiccano produzioni di respiro nazionale con registi e cast di assoluto prestigio.

Walter Prete, classe 1991, anche lui salentino, fondatore -insieme a dei colleghi- di ALIBI nel 2013 e della sala teatrale ESSENZA a Corigliano d’Otranto nel 2015, è un attore professionista, diplomato nel 2013 con Titolo Regionale. Nel 2016, ALIBI vince il premio ministeriale “fUnder35”, riservato alle più interessanti realtà culturali sul territorio nazionale. Nell’ambito di ALIBI ed Essenza, Walter Prete conduce da anni una ricerca drammaturgica originale, fortemente ancorata alla contemporaneità e in linea con i suoi interessi filosofici e sociologici. Attualmente è impegnato nella scrittura della propria tesi di laurea in Filosofia presso Università del Salento dal titolo (provvisorio) “Il dispositivo Potere/Finzione nel teatro di Rafael Spregelburd”.

 

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U.s. 17/01/2020

Domenica 12 gennaio 2020 alle 18.30 - a grande richiesta - torna la lettura-concerto che racconta il movimento che poi verrà chiamato Beat Generation.

Partendo dalle origini e dal libro cult “On the road”, passando per i grandi ideali del rifiuto della violenza e della liberazione sessuale si riascolteranno i brani noti e meno noti della “Brit Invasion”, fino al folk americano e alla musica psichedelica che saranno lo sfondo per il successivo grande movimento sociale degli hippie. 

Lo spettacolo Beat Generation attraverso le voci di Ottavia Bianchi, Marius Bizau e Giulia Nervi, accompagnate alla chitarra dagli arrangiamenti di Giacomo Ronconi, ripercorre il periodo tra la fine degli anni 50 e il 1969: quel decennio di musica che è stata la colonna sonora di grandi cambiamenti. Giorgio Latini farà da contrappunto, narrando gli eventi più suggestivi accaduti in quegli anni ormai mitici e mai dimenticati.

Nel 1940 l’incontro tra Jack Kerouack e Allen Ginsberg genera un movimento che quattro anni più tardi prenderà il nome di Beat Generation e culminerà nel 1951 con la scrittura del libro cult “On the road”. Gli ideali della Beat Generation sono il rifiuto della violenza, del materialismo e delle regole della vita convenzionale, la liberazione sessuale e delle droghe. Perché questo moto di ribellione diventi fenomeno di massa bisogna attendere il 1957, quando il libro viene pubblicato divenendo immediatamente il manifesto di una generazione. Sull’onda lunga di questi ideali nascerà il beat, ovvero il movimento musicale che si origina proprio nei primi anni ‘60.BG 12 1 2020

La scelta della “scaletta” in Beat Generation è stata forse la fase più difficile. In questo senso l’apporto di Giacomo Ronconi è stato fondamentale: insieme a lui si è trovato il necessario equilibrio tra le canzoni per così dire “obbligate” e alcune chicche meno note. L’inusuale arrangiamento per una sola chitarra e ben tre voci cantanti ha dato vita ad una serie di soluzioni che hanno rappresentato una sfida per gli interpreti che nascono, in primis, come attori e che si lanciano in questa nuova sperimentazione artistica.

La narrazione punta ad esaltare la musica stessa con brevi e curiosi aneddoti relativi alla nascita di queste canzoni che si rivelano utili anche a svelare i retroscena meno conosciuti di un così denso panorama musicale e sociale. Attraverso il racconto di quanto davvero accadeva in quel periodo, lo spettacolo mette in evidenza il valore contemporaneo che queste canzoni ancora posseggono.

 

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Intero 15 euro – Ridotto 10 euro – Tessera 2 euro 

Redazione 7/01/2020

Un evento musicale per concludere il 2019 all’Altrove Teatro Studio. Domenica 22 dicembre alle 18.30, il coro Le Mani Avanti diretto da Gabriele D’Angelo sarà sul palco per una vera e propria festa natalizia. Un coro a cappella fieramente e rumorosamente pop, proporrà uno spettacolo speciale, ricco di rivisitazioni dei grandi classici natalizi, da White Christmas a Carol of the bells, da Christmas Lights dei Coldplay allo spiritual River to pray. Gli arrangiamenti mai banali sono inframezzati da improvvisazioni vocali che puntano a coinvolgere il pubblico attraverso una carrellata di successi pop/rock e gospel tipici del repertorio di questo coro che emoziona e comunica la gioia pura e ancestrale del canto. Trenta voci senza strumenti che, sotto la guida di Gabriele D’Angelo, sapranno richiamare l’atmosfera del Natale in chiave soul, rock e pop, prima di brindare tutti insieme dopo il concerto-evento.

Le Mani Avanti locandina

Le Mani Avanti è un progetto nato nel 2014 come laboratorio corale diretto da Gabriele D’Angelo (Gabriele Dorme Poco; Anonima Armonisti, Occhi Chiusi In Mare Aperto) e nel 2015/2016 ha preso le sembianze di un vero e proprio coro, col repentino aumento dell’ensemble che attualmente è di circa 30 elementi. Il repertorio spazia tra il soul e il pop/rock, da Michael Jackson a Florence and the machine, da Sia a Frank Sinatra. Il coro è a cappella, non utilizza quindi nessuno strumento se non la voce, con un lavoro identitario connotato da una costante ricerca, affrontando arrangiamenti originali scritti da Gabriele D’Angelo, e spesso cuciti intorno alle voci dei propri coristi. Il lavoro sui brani prevede suddivisioni poco convenzionali, con un approccio meno ortodosso rispetto alla tradizione corale e più in stile col mondo dei gruppi vocali d’oltreoceano. Un altro focus importante del coro Le Mani Avanti è legato all’improvvisazione vocale in stile circle singing e vocal summit, nei quali i coristi si cimentano nella costruzione di brani estemporanei, basati su loop esclusivamente vocali e non preparati. Il loro “debutto in società” avviene in concomitanza col Vokalfest 2015 di Roma, pochi mesi dopo vengono chiamati a cantare al Musicantium e l’anno successivo sono finalisti del Winter Vocal Fest, dove portano a casa il premio per il miglior solita. A gennaio 2017 partecipano alla rassegna Libri Come all'Auditorium Parco della Musica di Roma, un evento in occasione del quale hanno appositamente arrangiato ed eseguito a cappella alcuni brani del repertorio di Bertolt Brecht, alternandosi sul palco con l’attore Luigi Lo Cascio. Dopo un altro anno di lavoro, nell’estate del 2018 Le Mani Avanti entrano in studio per registrare il loro primo disco, “Martedì”, disponibile su tutte le piattaforme digitali. Il disco, così come lo spettacolo proposto da Le Mani Avanti, riflette l’urgenza di una musica condivisa e di comunicare attraverso uno strumento che ci unisce tutti: la voce. A luglio 2019 partecipano al Napoli Teatro Festival, diventando così il primo coro a cappella ospite della prestigiosa manifestazione.

Gabriele D’Angelo

Gabriele D’Angelo, classe ’81, è un cantante, cantautore, insegnante di canto e di coro di Roma. Si avvicina allo studio del canto all’età di 16 anni con l’insegnante Micaela Grandi ed entrando a far parte del coro gospel/spiritual “I Grandi Laboratori Riuniti”. Nel 2001 inizia un percorso di formazione al Saint Louis College of Music di Roma, studiando jazz con Elisabetta Antonini, improvvisazione con Gianluca Renzi, teoria e solfeggio con Pierpaolo Principato ed entrando a far parte del coro gospel della scuola diretto da Susanna Stivali. Nel 2003 inizia a lavorare con l’Anonima Armonisti, settetto vocale a cappella con tre dischi all’attivo, vincitore del Solevoci Festival di Varese, ideatori del VokalFest, e con numerose partecipazioni televisive tra cui Miss Italia, Uno Mattina e Maurizio Costanzo Show. Nel 2005 si unisce all’ensemble vocale Quinta Giusta, composto da cinque voci e un pianista (Emiliano Begni), con i quali lavora per oltre 5 anni nell’ambito di live e spettacoli teatrali (X Factor prima edizione, Teatro Sistina, Teatro Valle di Roma). Nel 2010 lavora come sound designer per la Rai e per la serie d’animazione televisiva Farhat – Il principe del deserto. Nel 2013 inizia ad insegnare tecnica vocale; l’anno successivo forma e dirige il coro a cappella Le Mani Avanti, 30 voci tra amatori e semiprofessionisti con i quali nel 2015 partecipa al Musicantium e Winter Vocal Festival di Pinerolo, dove Le Mani Avanti portano a casa il premio per la Miglior Voce Solista. Lavora in studio e dal vivo come vocalist e corista per diversi progetti (Rossana Casale, Mario Biondi, Lucio Leoni), ed è la voce di sigle e jingle per Rai e Mediaset. Finalista di Musicultura 2014 con il brano Inchiostro Simpatico, due anni dopo, con il nome d’arte Gabriele Dorme Poco, ha pubblicato il suo primo EP come cantautore dal titolo “Dispari Erano I Giorni, Di Spari Le Notti”. Al momento è impegnato nella produzione di un secondo disco come cantautore; sta lavorando con la nuova formazione Occhi Chiusi in Mare Aperto (premio del pubblico sia al VIVAVOCE International Festival A Cappella 2017 che al VokalTotal 2018 di Graz); ha ultimato la direzione artistica del primo disco del coro Le Mani Avanti, e in parallelo prosegue l’attività di insegnamento, dirigendo dei laboratori improntati sull’armonia vocale, improvvisazione e la ricerca di nuove modalità d’espressione attraverso l’uso della voce.

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Redazione 18/12/2019

Evento speciale all’Altrove Teatro Studio: Helen...da qui di Aniello Nigro, con Monica Maiorino e la regia di Aldo De Martino. Liberamente ispirato al libro di Nadia Busato Non sarò mai la brava moglie di nessuno (SEM, 2018), lo spettacolo sarà in scena lunedì 16 dicembre alle ore 20.30. Abbiamo rivolto alcune domande al drammaturgo Aniello Nigro che ha risposto confrontandosi con l’interprete Monica Maiorino e con il regista Aldo De Martino, offrendoci l’occasione di scoprire di più su Helen...da qui.

“Helen...da qui” parte da un libro, “Non sarò mai la brava moglie di nessuno” di Nadia Busato (SEM edizioni, 2018). Come è diventato lo spettacolo che vedremo in scena all’Altrove Teatro Studio il prossimo lunedì 16 dicembre?

L’attrice Monica Maiorino casualmente legge il romanzo ne rimane colpita e decide di portare questa vicenda in teatro, solo in un secondo momento, avendomi coinvolto felicemente, di concerto abbiamo deciso di raccontare il personaggio, a nostro dire, più enigmatico e affascinante del romanzo, Helen.

Il testo è stato curato da lei, la regìa da Aldo De Martino e in scena ci sarà lei “Helen”, ovvero Monica Maiorino: come avete gestito le diverse fasi di lavoro?

C’è stata una prima fase di ricerca sul romanzo, le sue possibili correlazioni e le sue sfaccettature, fase a cui tutti hanno partecipato attivamente. In seguito dopo aver composto il testo, come un drammaturgo deve (secondo me) fare, ho lasciato il passo alla regia che ha opportunamente lavorato in una fortunata simbiosi con l’attrice.Libro Helenda qui

La protagonista è una donna in trappola che assurge a metafora di una certa condizione femminile: in che misura la vicenda raccontata in scena può essere letta in chiave contemporanea?

La cosa che più ci ha colpiti man mano che lavoravano al progetto è che le dinamiche psicologiche di quella condizione non sono propriamente cambiate. Oggi, non ci sono le liste, ci sono meno divieti, cambiamenti di norme, ma l’approccio al mondo femminile da parte dell’uomo ha ancora molta strada da fare. Quindi troviamo questo spettacolo, “incredibilmente”, contemporaneo.

Nelle note di regìa di Aldo De Martino leggiamo della sua intenzione di “mettersi in ascolto senza giudicare”, mettendo a disposizione la sensibilità propria di chi conosce l’arte del teatro. Ci si può aspettare dal pubblico una forma di coinvolgimento e quindi di sensibilità simile nell’accogliere la vicenda di Helen?

Un teatrante che lavora per il pubblico spera sempre che questi si metta in ascolto con la giusta attenzione e sensibilità.

Su cosa ha insistito la ricerca storiografica a cura di Tina Galano?

La giornalista Tina Galano, che tra l’altro lavora spesso su queste tematiche, ha incentrato le sue ricerche su vicende di donne dell’America degli anni ‘30/’40. Molte di queste non appaiono nel testo ma sono servite ad un approfondito studio propedeutico a tutto il gruppo.

Avrete modo di portare “Helen...da qui” in altri teatri o contesti artistici nel breve termine?

La scaramanzia fa parte del teatro, da sempre, preferiamo con cortesia non rispondere (sorride)

Un invito “emotivo” per lo spettatore: vedere lo spettacolo vorrà dire provare quali emozioni o sensazioni?

Per quanto ci riguarda, le emozioni di questo testo possono essere molteplici, ritenendo noi questo spettacolo universale. Generalmente le emozioni del pubblico preferiamo apprenderle (e non suggerirle) dagli spettatori in viva persona alla fine della rappresentazione.

Redazione 13/12/2019

In arrivo all’Altrove Teatro Studio con lo spettacolo Diario Elettorale, scritto, diretto e interpretato da Mario Migliucci in scena sabato 14 dicembre alle 20 con replica pomeridiana domenica 15 dicembre alle 17. Abbiamo rivolto alcune domande all’autore, regista e interprete dello spettacolo Mario Migliucci.

- Prima di scoprire di più su “Diario Elettorale” proviamo a rivolgerle la domanda che lo spettacolo, forse indirettamente, rivolge allo spettatore: il primo voto non si scorda mai?

Per quanto mi riguarda è così, lo ricordo ancora bene quel giorno. La mia prima volta è coincisa con il referendum che ha introdotto il sistema maggioritario, come elettore sono nato insieme alla seconda repubblica. La convinzione di contribuire con il mio segno sulla scheda a una nuova fase per l’Italia era forte. Credo ancora nel voto, ma allora sicuramente di più.

- Protagonisti della storia un lui e una lei, “due scrutatori al servizio della democrazia”, ci racconta da dove parte questo racconto?

Tutto ha inizio con un’infatuazione per una collega scrutatrice, sparita nel nulla e poi da me eletta come interlocutrice immaginaria. Sulla scia della lettura di Che tu sia per me il coltello di David Grossman, comincio a tenere con lei una corrispondenza quotidiana, inframmezzata dalla possibilità, mano a mano più irrealistica, di incontrarla di nuovo a un seggio elettorale o chissà dove altro. In un mondo che colleziona e archivia volti e speranze a gran velocità, è un atto di lucida follia custodire uno sguardo ricevuto, tenerlo vivo e usarlo come chiave di accesso alla realtà.

- A metà tra il dovere e l’amore, dove “chi finge l’amore, crea l’amore”: anche in un contesto dove politica e meccanismo istituzionale sono fondanti, è dunque l’amore a stimolare il ritmo della narrazione, della vita?

Direi in primo luogo l’amore per sé stessi, la necessità di parlare a sé stessi, che non è parlarsi addosso, ma crearsi un doppio, guardarlo in faccia e dirgli tutto.  A questo servono gli amici immaginari, per una comunità a questo serve anche il teatro, da qualche millennio a questa parte, a quanto pare.. Anche la cabina elettorale è un luogo in cui ci ritroviamo soli con noi stessi, anche se pubbblico, il più riservato che ci rimane forse. Non ci sembra di avere proprio più nessuno a cui rivolgerci, più che immaginaria la nostra interlocutrice, la politica, ci appare del tutto inconsistente, eppure è lì che, almeno in parte, potremmo affermare una nostra visione.

- Nelle sue note di regia si legge “ [...] riaffermare il diritto all’illusione, raccontare di come siamo sempre qui, sospesi tra una chiamata alle urne e l’altra, tra ripiegamenti e slancio, tra fede e speranze”. Il diritto all’illusione a cui fa riferimento è qualcosa di necessario, connaturato forse alla natura degli uomini in ogni passaggio non del tutto consumato della vita, che si sublima in ricordo. Ci racconta cosa rappresenta per lei questo concetto?

Ecco, io mi ricordo quel giorno di aprile del 1993, mi ricordo con chi sono andato a votare, che ora era e che cosa ho segnato sulle otto schede referendarie che mi avevano consegnato. Da quel giorno ho cominciato a collezionare i mei certificati elettorali, fino a che sono esistiti. Significavano qualcosa d’importante per me. Ma se non fossero stati sostituiti dalla tessera elettorale avrei continuato a farlo? Oppure, una volta uscito dal seggio, li getterei ora nel più vicino cassonetto della carta? Non lo so.. A un certo punto ho smesso di scrivere alla mia amica immaginaria, non da un giorno all’altro, ma un po’ alla volta l’ho abbandonata al mondo reale in cui probabilmente vive da qualche parte felice e contenta. Così come un po’ alla volta ho smesso un tempo di dire le preghiere la sera prima di addormentarmi. Non so se c’entra e non so se ho risposto, ma credo di sì.

- “Diario Elettorale”, oltre che nel suo testo e nella sua interpretazione trova nella musica di Giulia Anita Bari e nel contributo alla realizzazione dei video di Gianluca D’Apuzzo due linguaggi che completano “l’alfabeto” della resa scenica dello spettacolo. Ci parla della misura in cui questi elementi contribuiscono all’equilibrio e all’efficacia della messa in scena?

Ho pensato da subito che la musica, prima con il violoncello di Mariaclara Verdelli e Laura Benvenga, e in ques’ultima versione con il violino di Giulia Anita Bari, dovesse essere parte costitutiva del racconto. Il lui e la lei del diario dovevano avere un loro doppio sul palco, ognuno con i suoi compiti, ma in piena collaborazione per dare fluidità allo svolgersi della narrazione. Forse uno dei due ne sa un po’ di più di questa storia, anche se non lo dà tanto a vedere. Il linguaggio delle immagini, richiamato per primo all’appello con la collezione delle figurine, vuole in parte giocare con l’immaginario politico degli ultimi venticinque anni, in parte evocare il doppio cinematografico di fondamentale importanza per il nostro eroe scrutatore.

- Dato il momento politico nazionale tra “governi bis” e propaganda costante, come si è evoluto - secondo la sua percezione - il senso civico dei cittadini che devono recarsi alle urne?

Credo che da una parte negli ultimi anni si sia sviluppato fortemente, sull’onda della sfiducia nella democrazia rappresentativa, una spinta alla realizzazione di forme di democrazia diretta, di partecipazione dal basso, come si suol dire, di una consapevolezza civica crescente, abbastanza transgenerazionale. Esperienze spesso ignorate, se non contrastate, dalle Istitituzioni, o usate a proprio vantaggio in un meccanismo di delega al contrario, dall’alto verso il basso, appunto. Dall’altra parte, quella che rimane al netto dell’astensionismo,  mi sembra percepire più che altro, non solo a me evidentemente, il fascino dell’uomo solo al comando, che capisce veramente i bisogni della gente. Che poi questo fascino duri il tempo di qualche tweet o qualche post è la benefica legge del contrappasso.

- Ci sono progetti che la vedono impegnata nel futuro più prossimo come drammaturgo, regista o attore?

Curiosamente tra pochi giorni sarò impegnato come attore in un progetto di teatro immersivo The Shanty Experience, a cui collaboro anche come autore, che  molto ha che fare con gli anni 90. Sono in dirittura d’arrivo nella scrittura di un testo che mette in scena una coppia, moglie e marito, alle prese con una situazione più grande di loro e presto tornerò a dar voce a Doktoro Esperanto, il mio testo più longevo, sempre a proposito di ideali e grandi speranze.

Redazione 10/12/2019

Continua la stagione di prosa dell’Altrove Teatro Studio con lo spettacolo Diario Elettorale, scritto, diretto e interpretato da Mario Migliucci, con la musica di Giulia Anita Bari, in scena sabato 14 dicembre alle 20 con replica pomeridiana domenica 15 dicembre alle 17.

Un incontro al seggio, due giovani scrutatori al servizio della democrazia, Lei e lui, ore e ore dietro a un banco, scambiandosi giusto qualche parola. Poi tutto finisce, in attesa della prossima occasione: un referendum, le comunali, le politiche, le europee, un ballottaggio, le regionali, ogni urna potrebbe essere quella buona per rivedere Lei. In mezzo scorre la vita, scritta, raccontata, immaginata. Nel mondo, fuori dal mondo. Legati da un filo invisibile, lanciato da lui senza che Lei, l’eletta, nemmeno lo sappia.

Il primo voto non si scorda mai? La matita temperata, le schede da non sovrapporre ma da ripiegare meticolosamente, la segreta intimità della cabina: il voto è come un rituale antico, del quale il silenzioso scrutatore è un sommesso officiante. Ma non sono il senso civico o le appartenenze politiche: c’è qualcosa di più forte, che spinge ogni volta lo scrutatore a recarsi al seggio. È l’amore: la speranza di poter ritrovare un giorno la bella scrutatrice Donatella, incontrata durante una consultazione elettorale e mai più rivista. Il nostro scrutatore nel tempo, ha fatto di lei un’amica immaginaria e un amore ideale. «Chi finge l’amore, crea l’amore». Se questo vale anche per la democrazia, forse non è così importante sapere se possa realizzarsi veramente: ciò che conta davvero è non farne un alibi di inerzia, ma un ideale stimolo ad agire, a creare.Diario Elettorale

NOTE DI REGIA

Ė stato un percorso a più fasi a dare forma a Diario Elettorale. La prima tappa risale alla stesura quotidiana di un diario in forma epistolare, con destinataria una ragazza conosciuta durante le operazioni di voto nelle vesti di scrutatore. Una ragazza mai più vista e sentita. In un secondo momento quindi la decisione di rileggere quanto scritto anni prima in chiave di una possibile evoluzione teatrale. Per riscattare l’interruzione di quella corrispondenza immaginaria, riaffermare il diritto all’illusione, raccontare di come siamo sempre qui, sospesi tra una chiamata alle urne e l’altra, tra ripiegamenti e slancio, tra fede e speranze. Che si tratti di una croce da apporre su una scheda elettorale o di una parola da rivolgere al mondo non è poi cosi differente, solo una visione di bellezza ci salverà. La coppia di scrutatori all’origine del racconto trova così agli occhi dello spettatore un suo doppio reale sulla scena con l’attore e la musicista. Come dietro al banco del seggio, ognuno al suo posto, ci si divide compiti e strumenti, al servizio di questa nostra storia.

Mario Migliucci

 

NOTE BIOGRAFICHE

MARIO MIGLIUCCI

Attore e autore. Debutta come attore in teatro nel 1998 in Il Giardino d’Infanzia di Riki di David Grossman, con la regia di Stefano Viali. Dal 2004 lavora con la Compagnia Locomoctavia in Giorno d’Estate di Slawomir Mrožek e  Hamlet. di W. Shakespeare, con la regia di Daniele Fior. Nel 2007 debutta  al Teatro dell’Orologio di Roma Doktoro Esperanto,  monologo da lui scritto e interpretato, da allora in scena anche nella versione in esperanto. Nel 2011 porta in scena per la prima volta Primo Sguardo, di cui è autore e interprete. Nel 2012 lavora all’adattamento teatrale del romanzo La ragazza e il professore di Jean-Claude Carrière, realizzando lo spettacolo Bussando alla porta di Einstein, regia di Giles Smith. Dal 2015 è in scena con il suo testo Diario Elettorale. Nel 2018 è attore per la compagnia Afrodita in Il bambino sogna di Hanoch Levin, regia di Cludia della Seta e Stefano Viali. Nel 2019  è in scena con I miei soldi, regia di Adriano Saleri, di cui realizza l’adattamento teatrale dal romanzo Mon chèque di Jean Claude Carrière.

GIULIA ANITA BARI

Violinista e operatrice umanitaria. Studia violino presso il Conservatorio di Musica di Venezia e Relazioni Internazionali all’Università di Padova e Firenze. Suona in diverse formazioni, spaziando dal mondo classico al folk. Attualmente è parte del progetto Canti Antichi della cantante albanese Elsa Lila e coordinatrice dei progetti sul campo di Terra!Onlus, tra cui l’Orchestra dei Braccianti.

 

Diario Elettorale

di e con Mario Migliucci

musica Giulia Anita Bari

disegno luci Dario Aggioli 

contributo alla realizzazione video Gianluca D’Apuzzo – Karma Gava

grafica Damiano Lo Russo

foto di scena Carolina Farina

Produzione Terre Vivaci

 

Per tutte le informazioni riguardanti la Stagione 2019/2020 dell’Altrove Teatro Studio è possibile visitare il sito www.altroveteatrostudio.it scrivere all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o contattare telefonicamente il 351/8700413.

Redazione 

9/12/2019

Continua la stagione di prosa dell’Altrove Teatro Studio con lo spettacolo Con la bocca piena di spille, scritto e musicato da Martina Tiberti, regia di Raffaele Balzano con Patrizia Ciabatta e Giuseppe Mortelliti, in scena venerdì 6 e sabato 7 dicembre alle 20 con replica finale pomeridiana domenica 8 dicembre alle 17. Abbiamo rivolto alcune domande alla drammaturga e musicista Martina Tiberti e al regista Raffaele Balzano.

 “Con la bocca piena di spille” è un percorso, un racconto di liberazione e senso: lavoro, femminilità, crisi quotidiane. Da dove parte l’urgenza di portare in scena Leda?

Martina: Sicuramente da un’esperienza personale. Negli ultimi anni ho cambiato molti tipi di lavoro e la cosa che mi ha più colpito è come spesso non ci sia alcuna corrispondenza tra mansioni e capacità individuali, e come alcuni contesti richiedano un adeguamento che va dal modo di parlare al modo di vestire. Da qui è nata poi una riflessione sugli oggetti che ci circondano e sulle tante cose che portiamo addosso: cosa rappresentano, che relazione hanno con noi stessi, che potere hanno su di noi, come ci condizionano e se c’è una materialità che abbia davvero senso preservare.Tiberti

Il ritmo del racconto scenico è sempre fondamentale: in che modo ha “accordato” parole e musica con la storia?

Martina: Subito dopo aver finito di scrivere il testo ho iniziato a pensare alle musiche. Alcune di loro mi sono venute in mente già mentre pensavo alla storia perché sono brani a cui sono particolarmente legata. Per alcune scene invece abbiamo dovuto adattare i suoni ai movimenti degli attori quindi sono stati registrati dopo aver avuto molto chiaro cosa succedeva in scena.

Insieme ai due attori Patrizia Ciabatta e Giuseppe Mortelliti, si possono annoverare, forse, altri “non-personaggi” e cioè gli oggetti, scheggie di ricordi, frammenti di emozioni: cosa rappresentano questi elementi nello sviluppo dello spettacolo?

Martina: Alcuni oggetti identificano degli aspetti di sé di cui ci si vorrebbe liberare, altri delle parti di noi stessi con cui abbiamo un disperato bisogno di ristabilire un contatto. In entrambi i casi l'oggetto ha anche un ruolo attivo, contiene una storia da raccontare, può proteggerci, metterci in pericolo o aiutarci a ricordare chi siamo.

Nelle note di regia, si riflette sul piano temporale dello spettacolo che si muove tra passato e presente. In che modo ha reso questo aspetto sul piano della messa in scena?

Raffaele: Ho cercato semplicemente di dare vita scenica alle parole scritte. I due personaggi dello spettacolo si muovono appunto su due piani temporali differenti: il presente e il passato. Nel presente troviamo il venditore ambulante, una sorta di narratore che, posto a lato del palco, ci racconta la vita della protagonista di questa storia, Leda. Le vicende passate di questa giovane donna, narrate attraverso il diario, le vediamo vivere sul palco grazie proprio alla stessa Leda. I due, però, in una zona precisa del palco, avranno modo di avvicinarsi, interagire e trovare anche un piano temporale comune.

balzanoChe tipo di lavoro ha ritenuto necessario con gli attori?

Raffaele: Sono partito da un percorso individuale con i due attori, lavorando singolarmente sul diverso modo di raccontare questa storia in base ai loro personaggi. Una volta terminato questo lavoro, c’è stato quello nel quale abbiamo lavorato tutti insieme sull’interazione tra i personaggi, che nel risultato si è rivelato sorprendente soprattuto nell’ascolto tra i due attori. Mi piace pensare a questo spettacolo come ad un “monologo a due”.

Data la sua esperienza in ambito di festival e rassegne teatrali italiane e internazionali, qual è la sua idea rispetto al circuito nazionale in termini di dinamiche organizzative, contenuti e proposte?

Raffaele: Credo che oggi, nonostante le tante difficoltà, ci sia la voglia da parte di attori, registi, autori ,organizzatori, giovani e meno giovani, di fare le cose al meglio, con passione e professionalità, a qualsiasi livello ci si trovi. E’ molto interessante vedere come molte proposte, nella propria creazione, nascono anche dall’esigenza di uscire fuori dai confini nazionale per proporsi all’estero.


L’Altrove Teatro Studio è una realtà teatrale nuova e dinamica con un pubblico altrettanto nuovo ed eterogeneo: che tipo di risposta vi aspettate da chi verrà a vedere “Con la bocca piena di spille”? Cosa vi piacerebbe innescare, riflessione o intrattenimento, o magari entrambe le cose?

Martina: Non mi aspetto nulla, sono curiosa di vedere la reazione del pubblico ma non c’è nulla di prevedibile quando si porta in scena uno spettacolo, soprattutto uno come questo dove il confine tra dramma e commedia è molto sottile. Spero che la storia di Leda riesca ad emozionare e a coinvolgere, e che ognuno possa ritrovare un pezzetto di sé per poi aver voglia di liberarsene.
Raffaele: Come Martina, anche io mi auguro che questa storia possa lasciare nello spettatore qualcosa su cui riflettere e magari riconoscere alcune dinamiche personali. E’ uno spettacolo sincero, a suo modo una favola.

Redazione 3/12/2019

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