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Quali sono gli spazi dedicati alla danza contemporanea nel contesto della fruizione teatrale odierna? Attorno al repertorio statico e tuttavia ancora amato del balletto, una fucina di idee e opere d’arte effimere che plasmano il corpo. Nata da decenni e ancora non completamente sistematizzata, la danza contemporanea riesce a ritagliarsi una propria fetta di pubblico. Da centri europei come Bruxelles, Amsterdam, Londra e dal resto del Nord Europa, talenti originali e contemporanei migrano per portare il proprio contributo emotivo e significativo più che estetico. Piedi nudi, scarpe da ginnastica o calzini, jeans e maglietta appartenenti al quotidiano, bassa definizione formale del movimento; sono solo alcune tra le principali caratteristiche della danza contemporanea. Da un lato una parte di balletto classico che si apre alla sperimentazione, dall’altro danzatori forti di importanti e pluriennali esperienze che hanno definito un proprio stile e un proprio repertorio: Virgilio Sieni, Enzo Cosimi e Aterballetto per fare qualche nome italiano, ma anche gli internazionali Anne Teresa De Keersmaeker e Wim Vandekeybus, nel 2018 ospiti a Firenze in occasione di "Fabbrica Europa". 
Quest’ultimo è un festival rappresentativo tra quelli italiani che si occupano di promuovere le migliori proposte di danza contemporanea italiana, europea e mondiale. Nei numerosi spazi diAnne Teresa De Keersmaeker "Fabbrica Europa", De Keersmaeker si esibisce in prima nazionale al Teatro della Pergola con la Compagnia Rosas, presentando al pubblico la nuova produzione “Mitten wir im Leben sind/Bach6Cellosuiten”. La musica di Bach, già messa in danza in altre creazioni della danzatrice belga, è ora suonata dal vivo dal violoncellista francese Jean-Guihen Queyras e esplorata attraverso il corpo. Con la sua XXV edizione, "Fabbrica Europa" è ritornata all’essenzialità del corpo, al primitivo, alla vitalità intesa a partire dal battito del cuore, vuole cominciare da capo per rinnovarsi e rimettersi alla prova.

Spostando l’occhio più a sud, verso la capitale, la Fondazione Romaeuropa è una delle istituzioni di maggior prestigio impegnata nella promozione della danza, nel segno della conservazione e della divulgazione, non solo di quello che offre il panorama nazionale, ma allargando lo sguardo al di fuori dei nostri confini. Molti i progetti in piedi da diversi anni, tra cui (dal 2010) “DNA Danza Nazionale Autoriale”, il focus sulla giovane ed emergente danza italiana d’autore. Nel 2013 l’indagine si è estesa all’Europa e poi nel 2015 è nato “DNAworld”, aprendosi addirittura dall’Europa agli altri continenti. Diversi i progetti complementari e paralleli, come “Waiting for DNA” e “DNAppunti coreografici”.
Con “Dancing DaysFondazione Romaeuropa da vita ad una rassegna interamente dedicata al movimento, proponendo al pubblico una programmazione sempre molto attenta alle tendenze europee in ambito coreografico, alle novità, a ciò che di rilevante si muove in questo magma creativo senza confini territoriali. L’edizione 2018 vede in cartellone diversi esponenti della scena internazionale, come l’israeliana Karen Levi con “The Dry Piece – XL Edition” (insolita indagine sulla percezione del corpo femminile nella società contemporanea e sull’ideale moderno di bellezza), “Opus” del coreografo greco Christos Papadopoulos (questo suo ultimo lavoro indaga la relazione tra musica e visione), la norvegese Ingrid Berger Myhre con “Blanks” (una riflessione sulle condizioni attraverso cui si assiste a uno spettacolo di danza) e Dominik Grünbühel insieme a Luke Baio, rispettivamente americano e inglese, con “Ohne Nix” (performance umoristica con videoproiezioni e tecniche di morphing). Tra gli appuntamenti più rilevanti nell’ambito del "REF Romaeuropa Festival" certamente la presenza del coreografo e danzatore svizzero Gilles Jobin, con uno spettacolo di danza contemporanea realizzato interamente in realtà virtuale dal titolo, appunto “VR_I”. Secondo appuntamento di assoluto rilievo la creazione di Hofesh Shechter, tra i massimi esponenti della danza contemporanea israeliana, “Grand Finale”, definito dal The Guardian: «Un valzer per la fine dei tempi». 

Vandekeybus 2 2Si può dire, quindi, che la danza contemporanea stia conquistando sempre più una rilevanza nel panorama delle arti performative nel nostro Paese, il che le ha concesso di allontanarsi da quel contesto protetto e circoscritto dello spettacolo per pochi eletti, per gli appassionati o semplicemente per gli esperti. Attualmente i coreografi che primeggiano nell’ambito della danza internazionale mostrano di avere uno spiccato interesse verso i temi attuali, verso uno studio del corpo che attraverso il movimento ne esalti le potenzialità, ne sottolinei la mutabilità. Rinnovato l’approccio allo spettacolo che tende, quindi, ad appassionare il pubblico, con una componente musicale non più accessoria, come accadeva nelle prime sperimentazioni in cui spesso le coreografie non erano scandite da tempi musicali, ma piuttosto dalla cadenza dei passi, dei respiri dei danzatori, adesso la musica ritrova una nuova linfa, divenendo fondamentale e necessaria alla totale comprensione dell’esibizione. 

Se Anne Teresa de Keersmaeker si conferma tra le coreografe europee più apprezzate, spesse volte accolta in Italia, dove i suoi lavori riscontrano sempre molto successo per la composizione formale delle sue coreografie in cui si evidenzia una tensione alla perfezione lineare, pulita ed essenziale, costruite sul calcolo matematico, che si ripercuote anche sulla scelta della musica; altri sono gli artisti acclamati sul territorio italiano. Recente, infatti, è lo spettacolo andato in scena al Teatro Bellini di Napoli, il 20 maggio "In Spite of wishing and waiting" di Wim Vandekeybus, coreografo fiammingo che mescola in questo lavoro danza, teatro e cinema. Qui sono espressi i desideri primordiali di un gruppo di uomini: ferocia, ingenuità, bestialità, goliardia sulle note di David Byrne, ex leader dei Talking Heads, in uno scontro tra corpo e mente, tra fisicità e impulso. Gode tuttora di una certa fama il coreografo francese Gilles Coullet, per diversi anni attivo in Italia, dal 1986 al 1997, in particolar modo al Teatro La Scala di Milano, dove ha collaborato con registi del calibro di Luca Ronconi, Giorgio Strehler, Liliana Cavani, Jerome Savary.

Ritorna sui palcoscenici italiani nell’occasione del "Napoli Teatro Festival" con lo spettacolo Wakan la terra divorata, in cui il linguaggio dei segni e dei riti amerindiani si fonde al teatroVandekeybus 2 1 fisico di Coullet, parola e corpo si uniscono dando vita ad uno spettacolo in cui quell’idea di sperimentazione alla base della danza, cosiddetta, contemporanea è fedelmente riprodotta. Da sempre amatissima e seguitissima è la compagnia dei Momix di Moses Pendelton che apre il suo tour mondiale proprio in Italia, al Teatro Olimpico di Roma, per la stagione 2018/2019. La filosofia dei Momix vede l’assemblarsi di danza e performance acrobatiche, per dar vita a coreografie che rievocano un mondo immaginifico, onirico e accattivante esaltato dai giochi di luci e ombre, dalla scelta di costumi e strumenti che accompagnano i movimenti sinuosi. La danza contemporanea rappresenta tutto questo: un miraggio, un cerchio che non riesce a chiudersi, un presente infinito in cui la società tende al cambiamento ma in fondo rimane sé stessa e, se non riesce più a riconoscersi, torna disperatamente alla ricerca delle proprie origini. All’interno di spazi scenici nudi e non convenzionali, la parola d’ordine è esplorazione; coreografi contemporanei freschi o più esperti dicono la propria attraverso il movimento, lasciando talvolta perplesso il pubblico e tuttavia suscitando una riflessione che troppo spesso le migliori opere in bellezza non provocano.

Benedetta Colasanti, Ilaria Costabile, Giuseppina Dente
08/06/2018

Present continuous”, un presente che si perpetua sul palcoscenico del Teatro Cantiere Florida di Firenze nell’ambito di Fabbrica Europa. Tra parodia e tentativo di portare in scena quelle danze davvero contemporanee e antropologiche come la disco dance di ultima generazione, Salvo Lombardo fotografa un momento di estrema attualità, uno stralcio notturno giovanile e alienante, creando un documentario divertente ma profondamente tragico in cui l’umano sembra annullarsi a ritmo di beat digitali. Via le quinte, via il fondale: la scenografia si compone di uno spazio cantiere, di una pista da ballo disegnata dalle luci di Loris Giancola e dalla sonorità palpabile gestita direttamente dal palcoscenico e firmata Fabrizio Alviti.

Salvolombardo1Un sincro fisico e mentale, frutto di una ricerca sul campo: «il pretesto cinetico della performance si basa sulla memoria condivisa di una stessa esperienza, ovvero una serata in un music club, durante la quel i performer hanno osservato e incamerato un sistema di posture, atti motori e modalità relazionali delle persone presenti». Luci psichedeliche, drink, tempo musicale incalzante e ripetitivo. Due coppie uomo/donna interscambiabili e quattro singoli, l’uno alla scoperta dell’altro: Cesare Benedetti, Lucia Cammalleri, Daria Greco e lo stesso Lombardo mettono da parte le loro capacità fisiche extra-quotidiane e si confondono in una qualsiasi serata dove l’anonimato generale prende il sopravvento sulle singole avventure. Altro tema che Lombardo affronta in danza è quello della memoria: «la memoria del dato reale si apre al dato affettivo dei performer, oltre la fissità dell’adesso, nella progressione di un tempo in divenire». Un’analisi di quel tempo che mette in crisi lo studio delle arti performative stesse, che si nutrono del momento della messinscena senza realmente fissarsi; il coreografo ne è consapevole e supera questa problematica spettacolare imitando una realtà che mentre si verifica diventa ricordo: dell’autore, del danzatore, degli spettatori. Tale reminiscenza, moltiplicata in tante gemelle singolarità, cerca spazio in una memoria condivisa fatta di gesti, luci e suoni costruiti come un puzzle e, come scrive Isabel Allende in uno degli episodi di “Eva Luna Racconta”, «aggiungendo ciò che mancava con il ricorso alla fantasia».

“Present Continuous” è un prodotto tutto 2018 che rispecchia perfettamente e con rammarico un’epoca in cui non è più l’essere comune a imitare la perfezione artistica ma è l’estro che si plasma, si sporca, si deforma guardando il reale. Quest’ultimo prende le distanze dalla natura e si relega in una scatola chiusa, caleidoscopica e tendenzialmente simmetrica, un momento autoreferenziale che si ripete senza prospettive, almeno apparentemente.

Benedetta Colasanti 25-05-2018

Duplice occasione per riportare alla luce una creazione coreografica che Julie Ann Anzilotti ha presentato nel 1993: Fabbrica Europa di Firenze e Progetto RIC.CI – Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni 80/90, curato da Marinella Guatterini. “Erodiade – Fame di vento” rientra nel processo di ricerca spirituale e mistica che rappresenta un leitmotiv nel percorso artistico della coreografa Anzilotti. Si ispira all’omonimo poema incompiuto di Stéphane Mallarmé, un mito al femminile intriso di sentimenti come la solitudine, l’insoddisfazione e la sensualità. Erodiade Anzilotti2 minLa messinscena è arricchita dalle scenografie firmate Alighiero Boetti, deceduto nel 1994 ma costruttore di una dimensione «sacrale», semplice ma evocativo e segno dell’incontro fecondo tra danza e arti figurative. Una danza sulle musiche di Paul Hindemith, Walter Fähndrich e Wolfang Rihm e sulla voce fuori campo di Gabriella Bartolomei, espediente utilizzato anche in altre creazioni come “… E d’oro le sue piume”. Un’opera scelta e riproposta per costruire un repertorio di danza contemporanea a partire da lavori nati e fruiti negli anni Ottanta e Novanta, esempi di contemporaneità nel campo della cultura del movimento. In scena cinque personaggi femminili (Nutrice, Angelo, Spirito del Bene, Spirito del Male, Erodiade) e uno maschile (Giovanni Battista) in una performance che si avvale di costumi tradizionali nella danza contemporanea ma anche di relitti del balletto: un paio di scarpette con la punta di gesso, non convenzionalmente rosa ma nere. «La protagonista dello spettacolo Erodiade è “affamata di vento”, come mi suggerì lo stesso Alighiero Boetti durante i nostri incontri per l’ideazione della scenografia: vuole e ottiene tutto, ma poi resta più sola e vuota di prima, ancora alla ricerca di qualcosa che le piace» afferma Julie Ann Anzilotti. Tra voglia di conoscere il mondo e limiti imposti, si presenta sul palco del Teatro Goldoni una nuova Erodiade che esplora soprattutto sé stessa. Una danza giovane che porta con sé l’ingenuità di danzatrici forse poco consapevoli dell’importanza del tema e dell’azione di rimessa in scena a distanza di anni ma portatrici di una purezza di cui il mito deve farsi specchio per rendersi universale, senza tempo e senza luogo. Fondamentale in questo esperimento il rapporto tra vecchi e nuovi interpreti, dove i primi possono essere di aiuto e consiglio, cercando di trasmettere ai nuovi un sentimento che, a distanza di tempo e nonostante la perfezione tecnica, può andare persa.

Benedetta Colasanti 14/05/2018

 

12. Balletto di Roma Arcaico Gabin Dabire minA Fabbrica Europa, uno dei festival contemporanei per eccellenza, aperto alla sperimentazione e alle nuove proposte, sembra avere la meglio la produzione firmata Balletto di Roma, acclamata con calore dagli spettatori. Anche la danza classica va in cerca di nuovi percorsi, fondendosi alla contemporanea e scegliendo come colonna sonora una musica che distorce il suono classico. Martedì 8 maggio, alla Stazione Leopolda e con coreografie di Davide Bombana, va in scena un’altra prima assoluta: “Arcaico. Azioni coreografiche per cinque danzatori, pianoforte, percussioni e canto”. In scena le musiche originali composte ed eseguite dal vivo da una versatile Katia Pesti che realizza un tappeto sonoro talmente affascinante da distogliere a tratti l’attenzione dalla bellezza della danza. Ad animare la performance anche il cantante africano Gabin Dabiré: la sua voce è lo strumento protagonista, la finestra su un mondo arcaico proprio del Super Io umano e eden rievocato e ricercato nostalgicamente. 1. Balletto di Roma Arcaico Katia Pesti minCome osserva Curt Sachs all’inizio del suo libro “Storia degli strumenti musicali”, la prima manifestazione performativa dell’uomo primitivo è stata quella di soddisfare lo stimolo di battere i piedi ritmicamente, di battere le mani, di colpirsi varie parti del corpo; dunque danza e percussione. Senza prescindere dalla formazione classica, che contribuisce a una resa finale perfetta e ammaliante, Bombana spoglia i danzatori da tutù e scarpette con la punta di gesso, da tecnicismi codificati, da giri e salti. Tra assoli e passi a due, i danzatori mostrano le possibilità di un fisico nerboruto e armonico ma infrangono positivamente le aspettative dello spettatore: dove quest'ultimo si aspetta salti e giri, gli interpreti si lanciano verso il basso o si bloccano. Parallelamente Katia Pesti smonta il pianoforte e lo suona in modo non tradizionale: con una serie di strumenti sfrega, pizzica e colpisce le corde all’interno dello strumento a coda, esplorandone le più svariate potenzialità e creando suoni versatili più che dissonanti. Questo modo di fare musica si sposa felicemente con la voce di Gabon Dabiré, cantante ma anche suonatore di talking drum, kalimba e sonagli africani. È un ritorno al rito e all’origine, dalle eteree e bianche villi del balletto romantico a nere e terrene figure che intendono ripristinare il mondo a favore della tolleranza, della comunicazione, del rapporto con l’altro.

Benedetta Colasanti 9/05/2018

Multimedia e danza, Cina e Italia. Due coreografi, due tematiche e due modalità di messinscena simili ma anche due temperamenti diversi. Martedì 8 maggio, nell’ambito del festival Fabbrica Europa, vanno in scena alla Stazione Leopolda di Firenze “Re-Mark” di Sang Jijia e “Soggetto senza titolo” di Olimpia Fortuni.

SangJijia1 minUna creazione site specific nonché un intenso percorso di scambio fra il coreografo tibetano Sang Jijia e un gruppo di otto danzatori reclutati in territorio fiorentino. Con dieci repliche in quattro giornate consecutive, "Re-Mark" va in scena in prima assoluta, prodotta da Fabbrica Europa in collaborazione con City Contemporary Dance Company/Hong Kong, The Dance Industry/Spellbound Contemporary Ballet e Versiliadanza. «Ogni giorno nella nostra vita lasciamo dietro di noi, inavvertitamente, molti segni […] Questi segni evocano pensieri sulle persone che abbiamo avuto intorno, sulle cose che sono esistite o accadute, sul tempo che è passato. Alcuni segni potrebbero portarci a trovare noi stessi o suggerire agli altri di venire a cercarci». È il punto di partenza per la creazione coreografica; “Re-Mark” si avvale dei grandi spazi della Stazione Leopolda e, pur sviluppandosi in modo apparentemente non tradizionale, è portatrice di molti elementi di cui la danza contemporanea da sempre si nutre: video-danza, costumi di scena morbidi e in colori pastello, indagine sul proprio corpo e sulla presenza fisica altrui, esplorazione dei limiti anatomici, dello spazio e della memoria. La scena è scissa in due dimensioni, quella fisica e reale, in cui i danzatori agiscono e interagiscono, e quella virtuale o multimediale, che riproduce la realtà in atto e la mostra da diversi punti di vista. Danza e video-danza tornano a incontrarsi in una modalità originale ma non dimentichiamo che si tratta di un connubio già sperimentato e in gran parte superato; la novità di Sang Jijia sta nello svelare l’artificio del video e del montaggio, nel rendere il digitale funzionale alla messinscena e nel servirsi dell’hic et nunc spettacolare: due cameraman riprendono la performance che, in tempo reale, è trasmessa su un maxi-schermo alle spalle degli spettatori. L'espediente è utile sia per facilitare la fruizione sia per concedere prospettive inedite, primi piani, angolazioni difficili, dettagli. Suggestivi e in perfetta armonia con lo spazio della Leopolda, sono i colori tenui dei costumi, diversi ma complementari. Altro tocco contemporaneo è l’uso del calzino, usato e abusato ma degna parte di una divisa che, come la moda nel mondo esterno, non contempla la libertà assoluta del piede. Prestanza fisica dei danzatori, contatto, ripetizione, visibile impianto coreografico e preparazione: ci sono tutti gli ingredienti per una saggia messinscena contemporanea che, pur portando avanti una propria sperimentazione, rientra in quello che, istituzionale o no, è ormai un canone.

olimpia fortuni1 minCome Sang Jijia, Olimpia Fortuni sfrutta i mezzi multimediali ma lo fa in modo profondamente diverso: le immagini, di cui si serve solo nel finale, sono proiettate sullo sfondo di un unico spazio scenico e mostrano qualcos'altro da lei, la città, la natura, il tempo che passa. In un luogo più intimo e ristretto va in scena “Soggetto senza titolo”, la performance di una sola interprete diretta da sé stessa con il supporto di Cinzia Sità, Associazione Sosta Palmizi e Teatro la Cavallerizza di Torino. Olimpia Fortuni mette in scena una jungla quotidiana: ambiente freddo, sporco, spoglio, tessuto sonoro denso, evocativo. Si tratta di un’altra ricerca contemporanea sul corpo in quanto umano, di un viaggio a ritroso che parte da un prossimo futuro per tornare alle origini e infine inglobarsi in tutta la propria naturalezza nella metropoli, nella paesaggio, nel mondo. "Soggetto senza titolo" si apre su una figura nera incappucciata che rimanda alla paura contemporanea del criminale e del terrorista; ma è un problema in parte più grave: rappresenta la personificazione di un nessuno, di un individuo che perde la propria faccia e la sua identità diventando un fantoccio smidollato, capace di muoversi soltanto in virtù delle vibrazioni sonore. L’automa degli anni Duemila si accorge di indossare più di quello di cui ha bisogno; appende al chiodo la propria esteriorità, inizia a spogliarsi del di più e intraprende un viaggio a ritroso, trasformandosi in un essere primitivo e animalesco. La metamorfosi cessa quando l’individuo torna alla natura e si ingloba in essa: è nudo e forse si ricorda di provare pudore ma nessuno se ne accorge perché nella mimesi quotidiana torna a essere parte di un tutto, solo più consapevole.

Benedetta Colasanti 09/05/2018

 

Fabbrica Europa è un viaggio trasversale attraverso discipline e culture diverse, una vetrina internazionale per coreografi, musicisti e performers, un luogo di incontro fra diverse idee di creazione. Essenza è la parola chiave della XXV edizione che nel 2018 occupa, oltre ai canonici spazi della Stazione Leopolda e del Teatro Cantiere Florida, anche il Teatro Goldoni, il Teatro Studio Mila Pieralli di Scandicci, la Limonaia di Villa Strozzi e il PARC ex Scuderie Cascine, un nuovo luogo di conoscenza, indagine e sperimentazione in cui i giovani artisti avranno la possibilità di mostrare al pubblico le proprie opere. Il festival si svolgerà dal 4 maggio al 10 giugno e vedrà tra i momenti cardini del 2018 l’esibizione in prima nazionale firmata Anne Teresa De Keersmaeker e Compagnia Rosas: al Teatro della Pergola andrà in scena “Mitten wir im Leben sind/Bach6cellosuiten” con cinque danzatori su musica di Bach, suonata dal vivo dalla violoncellista Jean-Guihen Queyras.

5.TeatrulNottaraFotoAdiBulboaca min minTra prime nazionali e assolute, tra riproposte e omaggi, tra musica, teatro, danza e influenze reciproche tra discipline e tradizioni internazionali, Fabbrica Europa si muove in direzione del futuro, non per celebrare il venticinquesimo anno di lavoro ma per rinascere con un nuovo anno zero. Aprirà il festival Sang Jijia dal Tibet con “Re-Mark”, un’indagine sul corpo, sullo spazio e sulla memoria; le stesse tematiche sono affrontate da Salvo Lombardo con “Present Continuous”, dal duo Elisa Capecchi e Sara Campinoti con “Smash your mask” e da Olimpia Fortuni con “Soggetto Senza Titolo”. Altri artisti esplorano e superano il confine tra pubblico e palcoscenico; è il caso di Wim Vandekeybus con “Go Figure Out Yourself” e di Benoit Lachambre con “Lifeguard”. Ancora su musica classica danzeranno il tunisino Radhouane El Meddeb in un dialogo immaginario con il padre al ritmo di Bach e la francese Leila Ka sulla musica di Scubert. In un curioso spettacolo tra pattini a rotelle e danza, l’artista franco vietnamita Xuan Le con “Boucle”. Dall’Italia Julie Ann Anzilotti e la Compagnia Xe in “Erodiade. Fame di vento 1993/2017”, un recupero della pièce ispirata al poema incompiuto di Mallarmé ripresa dopo ventiquattro anni dalla prima messinscena. Cristina Kristal Rizzo omaggia Anna Pavlova con una rilettura della Morte del Cigno del 1924. Davide Bombana dialoga con l’”Arcaico” unendo i danzatori del Balletto di Roma con la musica di Katia Pesti e la voce dell’africano Gabin Debiré. Altri progetti internazionali sono quelli realizzati da Annamaria Ajmone con Marcela Santander e da Martina Francone con Anna Till e il musicista Dalibor Kocian. Aprono un dibattito sulla natura e sull’individualità Patrizia de Bari di Giardino Chiuso e Simona Bucci.

1.SANG JIJIAph.S.Jijia minSul fronte teatro, Mihai Manitiu dal nord con “Winter” e Roberto Bacci con “Quasi una vita. Scene dal Chissàdove”, presentato dalla Fondazione Teatro della Toscana in occasione di Fabbrica Europa. Si ispira alla letteratura è anche “L’ANITRASELVATICA” di Federica Santoro e Luca Tilli. Non solo la danza ma anche la musica dialoga con le altre arti e con sé stessa, operando a partire dalla tradizione folcloristica e in direzione dell’innovazione. Dall’Inghilterra John Parish tra cinema e concerto live; dalla Bosnia Natasa Mirkovic con Michel Godard (serpentone), Luciano Biondini (fisarmonica) e Harrod Cagwin (percussioni); dall’Ucraina il gruppo DhakaBrakha in uno stile tra elettronica e hip hop; dal Brasile Tulipa Ruiz. Arriva a Firenze anche Mark Guiliana con il suo Jazz Quartet mentre, nell’ambito della sperimentazione giapponese, Otomo Yoshihide e Chris Pitsiokos si incontrato in un concerto creato in collaborazione con Tempo Reale. Non ultimo l’uso dei mezzi multimediali, sia come incremento della messinscena musicale e di danza sia come spettacolo a sé stante con creazioni site specific e happening, fiore all’occhiello di ogni evento danzante. Da una parte la tecnologia sembra voler prendere il sopravvento catturando e riproducendo lo spettacolo, dall’altra viene riconfermato il carattere effimero dell’evento performativo.

Benedetta Colasanti 18/04/2018

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