La quarta serata del Festival di Sanremo 2016 prevede la finale a 4 tra i giovani Mahmood, Ermal Meta, Chiara Dello Iacovo e Francesco Gabbani. Il primo, se possibile, canta peggio dell’esordio, mentre Ermal Meta è stabile sul filo indie-pop ma aggiunge un po’ di colore truccandosi gli occhi. Gabbani canta gongolando e convince il pubblico, ma l'irritante veste da marpioncello un po’ rock non gliela toglie nessuno. "Introverso" di Chiara Dello Iacovo (Premio Lucio Dalla) non solo ha un gran ritmo, ma parla di un problema generazionale in maniera sottile, concisa, precisa, stizzita. Ma si sa, a Sanremo difficilmente c'è giustizia... e allora a vincere è proprio Gabbani – anche Premio Mia Martini – che in finale nemmeno ci doveva andare. Grida vendetta "Mentre ti parlo" di Miele, a cui viene permesso solo di riapparire sul palco dopo lo scippo di martedì.
Poi c’è la gara dei big. Pronti via e Annalisa si conferma comunque convincente al microfono, valorizzando un testo che regala chicche romantiche come "sei la canzone che non ho mai saputo cantare". Poi le canzoni meno ascoltabili si tolgono di mezzo: Caccamo e Iurato, scadenti ma probabili vincitori – insegnate alla buona Deborah a cantare senza quell'irritante tic al collo – Rocco Hunt in tutta la sua impresentabilità.
Enrico Ruggerisi conferma invece tra i migliori: energia, classe, voce, pezzo ritmato, c'è tutto. Le radio aspettano con ansia. Francesca Michielin è come la cuginetta brava e bella che tutti vorremmo avere, Patty Pravo è troppo diva per chiunque, è inarrivabile (provate voi a cantare di trequarti, che eleganza).
Il sipario da tv del sentimento tra Brignano – monologo melenso e noioso – e Conti è kitsch ai limiti dell'inverosimile. Strepitosa invece la Raffaele nei panni della chiacchieratissima "amica" Belèn Rodriguez. In palla anche Elisa, che presenta il nuovo brano – in inglese, purtroppo – "No Hero" ma rispolvera vecchi classici in italiano, compreso “Luce” che l’ha consacrata al mondo intero.
Bernabei continua a credere di essere Jovanotti, ma lo fa con meno – molto meno – stile. Un Jovanotti da Disney Channel. E poi è Infinito o Infinitò? Chissà. Sui suoi ex compagni Dear Jack, Lorenzo Fragola e Valerio Scanu è stato già detto troppo, così come è inutile infierire sull’inutilità degli ospiti internazionali di Conti, che invece li definisce “colpacci”. Ha il senso del mercato di Marco Branca. Il pezzo di Neffa non sarebbe malaccio, se non fosse per quell'atteggiamento troppo naif, da macchietta, che ha fatto un po' il suo tempo. Insomma, Neffa è troppo Neffa e penalizza un pezzo di stile. È il classico "bravo che non si applica".
Chi si applica tanto è Noemi, che rende merito a un testo che all’ascolto lungo diventa poco ficcante, poco interessante. Gli Stadio, ringalluzziti dalla vittoria nella serata cover, vanno meglio del debutto, mentre Arisa cala un po' e qualche acuto nella sua canzoncina si fa più grattato, facendo crollare tutto, “preghierina a Dio” inclusa. Al contrario, Morgan sfoggia qualche up in più e convince definitivamente: il pezzo dei Bluvertigo è uno dei migliori della rassegna nel testo, nello stile con cui viene presentato, nella musica e nelle parole. Elio in costume e con la faccia sotto effetto botox è una piacevole conferma, che come al solito si beccherà – speriamo – il premio della Critica. Perché al Festival non c’è giustizia.
La carrellata viene chiusa da Clementino, che per l'occasione osa un bel completo da ex galeotto, zuccotto compreso. Quel “e quann’ stong’ luntan’” è da “capate” nel muro, ma almeno il suo è rap vero, coerente e preciso. Con la finale di stasera – a rischio eliminazione Dear Jack, Bluvertigo, Neffa, Irene Fornaciari e Zero Assoluto – si chiuderà un Festival che si dilunga inutilmente tra la gelida autoironia di Gabriel Garko e i vestiti di Madalina Ghenea: ma quante volte deve scendere quelle scale?
Daniele Sidonio 13/02/2016